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Quando lo Stato diventa Pantalone. Migliaia di miliardi a chi non li doveva avere

di P.L.F. - 12/04/2007

 

Il primo clamoroso caso di pensioni in gran parte pagate da “Pantalone” si registrò nel 1970 con la legge 336 del 1970 a favore degli ex combattenti della seconda guerra mondiale poi assunti come dipendenti pubblici. Ebbero in regalo da 7 a 10 anni di contributi previdenziali (per i dipendenti del settore privato anch'essi combattenti tra il ‘39 e il ‘45 non fu, invece, previsto alcun beneficio; di qui la presunta discriminazione tra le due categorie di lavoratori finita davanti alla Consulta). Il Parlamento sbagliò totalmente i conti prevedendo una spesa complessiva di appena 16 miliardi di lire (7 per il ‘69 e 9 per il ‘70). Infatti nel 1980 il ministero del Tesoro rese noto alla Corte Costituzionale che fino ad allora l’onere effettivo sostenuto dall'Erario aveva addirittura superato i 10 mila miliardi di lire! Insomma, in appena 10 anni si erano spesi ben 9 mila 984 miliardi in più rispetto allo stanziamento di bilancio.

Un analogo privilegio fu concesso nel ‘93 dal governo Ciampi che regalò 7 anni di contributi ai portaborse dei politici. Costo per l’Erario 74 miliardi di lire. L’effetto Tangentopoli favorì così paradossalmente i dipendenti dei partiti. Un’identica spesa di 74 miliardi di lire fu, invece, pagata dallo Stato nell’88 per coprire gli effetti della riassunzione in servizio del magistrato Luigi Vuerich con contestuale sua promozione a consigliere della Corte d’appello di Roma. Il Csm l’aveva sospeso perchè nel ’65 era stato condannato in 1° grado per corruzione di minore per essersi intrattenuto nel bagno di un cinema con un 14enne. Ottenuta l’amnistia dalla Cassazione, il giudice chiese di tornare al lavoro, ma il Csm accolse la sua richiesta solo dopo 23 anni. Tuttavia, per effetto della discussa legge sul cosiddetto “galleggiamento e trascinamento”, la sua promozione ebbe un effetto-cascata micidiale per le casse dello Stato, di cui beneficiarono i circa mille magistrati che lo precedevano nella graduatoria dei consiglieri di corte d’appello. Per legge nessuno di loro poteva guadagnare meno del loro collega. Di qui anche i successivi effetti negativi per lo Stato sulle pensioni dei mille giudici risultate così gonfiate. L’ingiustificato privilegio fu, però, cancellato nel ‘92 dal governo Amato. In precedenza fu abolita nel 1985 un’altra assurda legge dell’Ottocento che imponeva allo Stato addirittura il pagamento di un vitalizio rivalutabile solo per alcuni cittadini danneggiati nell'Ottocento durante le guerre d’indipendenza. Si trattava in particolare dei danneggiati politici di saccheggi e incendi avvenuti il 15 maggio 1848 a Napoli, nel settembre 1848 a Messina e nell’aprile 1849 a Catania, nonché di coloro che furono perseguitati o condannati o che finirono in carcere per causa politica o che furono violentemente espulsi dallo Stato. La legge estese poi il vitalizio fino ai loro nipoti. Tenendo conto che nel 1985 ne erano sopravvissuti solo 470 nipoti ai quali spettava un assegno annuo di 60 mila lire , lo Stato spese ogni anno circa 25 milioni di lire. In pratica, venne a costare di più lo stipendio dell’impiegato del Tesoro che doveva tenere aggiornato il loro albero genealogico. Uno dei “premiati” fu il padre dello scomparso ex direttore de La Stampa Gaetano Scardocchia, che si rifiutò di incassare il vitalizio, ma chiuse lo cheque in un quadretto e lo appese a ricordo in bagno!

L’ultima “leggina” della Prima Repubblica (la n. 54 del ’94), approvata in 2 giorni dalle Camere prima del loro scioglimento, porta, invece, il nome dell’allora presidente della Stet Biagio Agnes perché il giornalista, ex direttore generale della Rai e cavaliere del lavoro ottenne una pensione d’oro erogata dal “Fondo telefonici” in gran parte a spese di “Pantalone”. Due anni prima il Parlamento aveva infatti consentito a tutti i dipendenti Sip e Stet di ricongiungere gratis nel “Fondo telefonici”(considerato uno dei migliori in assoluto per i vantaggiosi meccanismi di rivalutazione delle pensioni) i contributi previdenziali esistenti presso altri enti. Il costo dell’operazione restò per metà a carico dello Stato e per metà di Sip e Stet. Agnes, rimasto fuori dalla legge del ‘92 perché già percepiva da 9 anni la pensione dei giornalisti, ottenne così il privilegio di poter restituire all’Inpgi l’intero ammontare delle pensioni incassate ogni mese a partire dal ‘85 (circa 1 miliardo di lire), trasferendo tutti i contributi al “Fondo telefonici”. E, come d’incanto, la sua pensione mensile si è da allora miracolosamente triplicata.