L'agricoltura naturale di Fukuoka: alla scoperta del quarto elemento
di redazionale - 28/09/2007
Fonte: bagiue
UNA TEORIA RIVOLUZIONARIA
Dice il saggio: "Questo metodo contraddice completamente le moderne tecniche agricole: butta tutte le conoscenze scientifiche e l’agricoltura tradizionale direttamente fuori della finestra. Con questo modo di coltivare che non usa né macchine, né alcun concime preparato e nessun prodotto chimico, è possibile ottenere una produzione uguale o superiore a quella della media azienda moderna".
Caspita! - mi sono detta, — come è possibile?
L’agricoltura precapitalistica usava molta terra, molto lavoro e poco capitale, e produceva poco e male.
Poi, l’avvento del capitalismo ha portato un aumento dell’intensità d’uso del capitale (trattori, concimi chimici e antiparassitari micidiali), ottenendo in questo modo un aumento della produttività del lavoro e della terra.
Ecco cosa ci dice la teoria economica: per ridurre l’intensità d’impiego e aumentare la produttività di un fattore produttivo, ad esempio terra o lavoro, bisogna aumentare l’intensità d’impiego di almeno un altro fattore, ad esempio il capitale.
È una norma fisica, prima ancora che economica, e deriva dalla seconda legge della termodinamica.
L’entropia fa sì che non si può ottenere il più dal meno.
Fukuoka invece pretende proprio questo: meno lavoro, meno capitale, meno terra e, ciononostante, più prodotto.
Come è possibile? — continuavo a chiedermi, — sta barando? La risposta che mi sembrava di aver trovato nei libri del guru giapponese era ancora più sorprendente della domanda.
Non esistono solo tre fattori produttivi - terra, lavoro e capitale - ma quattro. Così, basta aumentare l’impiego del quarto fattore, per ottenere un aumento della produttività degli altri tre.
QUAL'E' IL QUARTO FATTORE DI FUKUOKA? E PERCHE' L'AGRICOLTURA TRADIZIONALE LO IGNORAVA?
Fukuoka era uno scienziato che aveva studiato e sperimentato in laboratori agricoli per agenzie governative giapponesi. Un giorno, stanco e deluso dal mondo, aveva mollato tutto e si era dato al bighellonaggio. Aveva continuato a vagare tra i monti e le campagne del Giappone in cerca di qualcosa che non sapeva cosa fosse. Finché ebbe una sorta d’illuminazione: "L’umanità non sa assolutamente nulla. Nessuna cosa ha valore in se stessa e ogni azione è inutile, senza senso […] ogni comprensione o sforzo umano è senza importanza".
Tragica rivelazione, ma quanto liberatrice! Infatti "tutto ciò che mi aveva dominato, tutte le angosce, scomparvero come sogni e illusioni e una cosa che si potrebbe chiamare ‘natura vera’ se ne stette lì davanti rivelata" (ivi, p. 38).
Allora decise di tornare al lavoro dei campi. Ma ora, non più dominato dall’hubris tecnologico, bensì alla ricerca di "un modo simpatico e naturale di coltivare che si risolvesse nel rendere il lavoro più facile invece che più duro. ‘E se si provasse a non fare questo? E si provasse a non fare quest’altro?’ […]
Alla fine arrivai alla conclusione che non c’era alcun bisogno di arare, alcun bisogno di dare fertilizzanti, alcun bisogno di fare il composto, alcun bisogno di usare insetticidi" (ivi. P. 43).
Proprio così, una rivolta contro dell’entropia!
Tornò al campicello del vecchio padre e, lottando contro le sue resistenze, decise di non potare più gli alberi, non concimarli, non trattarli chimicamente, insomma, di lasciar fare la natura. Dopo quattro anni l’agrumeto era morto.
E capì che non bastava lasciar fare la natura.
Bisognava prima liberarla.
Secoli e secoli di agricoltura intensiva, di monocoltura, di distruzione degli insetti e dell’humus naturale del terreno, di produzione per il profitto, di concimazioni chimiche, di selezione artificiale delle specie, avevano alterato l’intima struttura della terra e la vita di ciò che vi brulica e vi vegeta sotto e sopra.
La "natura vera" non esisteva più, era stata distrutta dal capitalismo.
Bisognava dunque ricrearla. Si mise all’opera pazientemente.
Sperimentò, inventò, seminò, raccolse.
Successi e fallimenti si susseguirono senza apparente logica.
Ma lui insistette.
Ora non sto a farvela troppo lunga. Ma alla fine la vinse. Ottenne quello che voleva. Oggi la sua fattoria è visitata da scienziati e agrimensori di tutto il mondo. Si è sparsa la voce, e una processione di scettici si reca ogni anno a vedere questo miracolo della pratica del Mu.
Fukuoka ha ricreato la ‘natura vera’.
Nella sua fattoria alberi e ortaggi crescono rigogliosi e mescolati in disordine come in una foresta. La terra non viene lavorata con l’aratro. Le erbacce crescono insieme ai fagioli e ai cavoli, assistendoli nella lotta contro i parassiti. I ragni contrastano gli insetti nocivi. Le piante si sono autoselezionate e vivono in un ambiente di stabile riproduzione. Molti semi cadono naturalmente in terra e naturalmente si riproducono.
L’uomo li assiste seminando durante la raccolta.
Il concime viene fornito da anatre e galline che pascolano felicemente sui campi.
Libellule e farfalle, api, talpe e lombrichi, lucertole e rane, si danno tutti da fare, lavorando liberamente, per liberare l’uomo dal lavoro.
Il riso, principale prodotto della fattoria, viene coltivato in alternanza con cereali invernali, in modo semplice e rilassante: si getta il seme a spaglio e si sparge la paglia. Si raccoglie usando un falcetto.
Nient’altro. "Questo è l’ecosistema del campo di riso in equilibrio. Le popolazioni di piante ed insetti qui mantengono fra loro dei rapporti stabili. Non è raro che qualche malattia delle piante venga a devastare questa regione, lasciando intatti i raccolti dei miei campi" (ivi, p. 57) "Mi ci sono voluti più di trent’anni per arrivare a questa semplicità" (ivi, p. 69).
L'AGRICOLTURA DI FUKUOKA E' BASATA SU QUATTRO PRINCIPI FONDAMENTALI:
- nessuna lavorazione del terreno
- nessun concime chimico né composto preparato
- nessun diserbo né con l’erpice né coi diserbanti
- nessuna dipendenza da prodotti chimici
Ma c’è ovviamente molto di più.
C’è una filosofia della vita che rifiuta di vedere nel lavoro un mezzo per la massimizzazione dei profitti, e che insiste nel veder nell’unione dell’uomo con la natura un fine valido in sé. Una filosofia della vita per cui la vita non è lotta, non è fatica, non è un mezzo, è un fine.
La pratica del Mu è stata sviluppata nello zazen.
Un monaco chiese al maestro Chao-Chou (778-897) se i cani avessero la natura buddhica.
Lui rispose: "Mu!"
Che significa? Nulla, in entrambi i significati.
La sillaba viene pronunciata interiormente negli esercizi di respirazione durante la meditazione. La dottrina sottesa viene dal taoismo, ed è una filosofia del "non fare", del "lasciar fare".
Recita una poesia dello Zenrin:
Sedendo quietamente,
senza far nulla,
viene la primavera,
e l’erba cresce da sé.
Lasciando fare l’essere che è il nulla si scopre che tutto è come deve essere.
"In definitiva, il fattore più importante non è la tecnica colturale, ma piuttosto lo stato d’animo di chi coltiva" (ivi, p. 69).
Dove - va da sé - non si tratta di coltivare solo la propria terra, ma la propria vita.
Eccolo il quarto fattore produttivo.
L’"agricoltura" naturale è una tecnica a bassa intensità di terra, di capitale e di lavoro, e ad alta intensità di Mu.
Cioè, non è una tecnica, ma un modo di essere. E mi rendo conto che sarà difficile convincerne gli economisti.