D a dove vengono le norme morali? Da Dio e/o dalla ragione, hanno sempre risposto gli uomini. Oggi, alcuni studiosi avanzano una terza possibilità: dall’evoluzione darwiniana e, in definitiva, dalla biologia. Ipotesi controversa che, tra l’altro, viene declinata secondo modelli alternativi. Uno dei più articolati e discussi è quello dello psicologo di Harvard Marc Hauser. La presentazione delle sue ricerche arriva ora in traduzione italiana ( Menti morali. Le origini naturali del bene e del male, il Saggiatore, pagine 505, euro 24,00). Basandosi su esperimenti, test con migliaia di volontari, esami di pazienti neurologici e fatti di cronaca, l’autore in sintesi dice che il senso di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato, evolutosi nell’uomo per milioni di anni, precede i nostri giudizi coscienti e le emozioni collegate, dotandoci di una fonte nascosta di intuizioni etiche universalmente condivise, tanto da poter parlare di una facoltà morale innata, patrimonio di tutti gli uomini. Secondo Hauser, «i nostri istinti morali sono immuni dai comandi espliciti tramandatici da religioni e autorità. Qualche volta le nostre intuizioni etiche convergono con quelle espresse dalla cultura, a volte divergono». L’idea di una grammatica morale universale trae diretta ispirazione dalla grammatica generativa che il linguista Noam Chomsky introdusse negli anni Cinquanta: nello stesso modo in cui siamo dotati di una facoltà del linguaggio, che consiste in una scatola universale degli attrezzi per costruire i linguaggi possibili, così siamo dotati di una facoltà morale costituita da una scatola universale degli attrezzi per costruire i sistemi morali possibili. Per grammatica, Hauser intende un insieme di principi o di operazioni mentali necessari a produrre giudizi su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Ogni parlante di una lingua è capace di valutare se un’espressione è grammaticalmente adeguata, ma spesso non è consapevole dei motivi per cui emette quel giudizio. In analogia con la teoria chomskiana, gli elementi fondamentali della moralità che operano a livello inconscio non impongono i contenuti specifici dei nostri giudizi, né la decisione di aiutare o danneggiare il nostro prossimo in una data situazione. Essi limitano però il ventaglio delle scelte, come l’idioma cui siamo esposti da bambini ci permette di far scattare alcuni 'interruttori' linguistici (ad esempio il tipo di costruzione della frase, in giapponese diverso dall’italiano), già pronti ad assumere alcune posizioni. Anche gli argomenti a favore dell’innatismo morale coincidono con quelli che sorreggono l’innatismo linguistico: l’universalità dei contenuti, la povertà dello stimolo (i dati cui sono esposti i bambini sono insufficienti a spiegare quello che sanno se dovessero impararlo da zero), il percorso di sviluppo degli individui simile nelle diverse culture. Ma come si sarebbe evoluta la grammatica universale? Hauser dà una doppia risposta. È possibile che (quello che oggi chiamiamo) l’istinto morale sia stato in origine selezionato a motivo delle sue conseguenze sull’efficienza della specie nel mantenere le norme sociali, alcune delle quali sarebbero comparse già negli animali superiori. In secondo luogo, non va escluso che alcune delle componenti che stanno alla base dell’istinto morale (come la capacità di distinguere azioni intenzionali e azioni accidentali, decisiva per il concetto di responsabilità) non si siano evolute per ragioni che sono specifiche della moralità (ovvero, per ciò che noi oggi chiamiamo moralità), ma siano state in seguito 'cooptate' o 'adottate' dalla facoltà morale. Il fatto che si supponga l’esistenza di una grammatica morale universale non equivale comunque al rifiuto della variabilità dei sistemi etici dovuta alla cultura. Ma, come detto, la facoltà morale porrebbe limiti alla gamma di variazioni interculturali possibili e, quindi, anche alla misura in cui religione, diritto e trasmissione intergenerazionale (famiglia, scuola) possono modificare i nostri giudizi morali, che sarebbero intuitivi e resistenti alle influenze ambientali. Tre le critiche principali a questa impostazione, che pure ha dalla sua una crescente mole di prove sperimentali. Primo, si sottovaluta la storia. Le norme morali cambiano (e molto) nel tempo: uccidere neonati o tenere schiavi è stato lecito e accettato, ora ci fa orrore. Secondo, molti filosofi morali ritengono che quelle descritte da Hauser siano soltanto condizioni che rendono fisicamente possibile la produzione dei comportamenti e degli enunciati morali: sono assai varie e, soprattutto, nessuna è in grado di rendere conto del contenuto specificamente morale delle pratiche umane. Terzo, alcuni scienziati cognitivi che non rifiutano la base biologica negano però che esista una grammatica morale universale, ribaltando l’impostazione di Hauser e cercando di dimostrare che non risponde ai criteri della teoria generativa di Chomsky. Ad esempio, sperimentiamo spesso dilemmi morali tra principi confliggenti, mentre nulla di simile si ha quando decidiamo sulla correttezza di un’esperienza linguistica. Di certo, è finita l’era in cui l’etica si studia soltanto a tavolino. significati totalizzanti, i quali non si lasciano facilmente ridurre o eliminare da un gioco epistemologico». Si sostiene che, se l’ipotesi di una facoltà morale innata fosse corroborata, bisognerebbe ripensare il ruolo delle agenzie morali che operano nella società. È d’accordo? «Sono in gioco due visioni antropologiche incompatibili. Quando si considera solo il determinismo biologico-ambientale, è ovvio che la realtà morale come la conosciamo evapora. A mio avviso, però, la ricerca empirica non è in grado di esaurire il discorso sulla coscienza morale. Qualcosa resta fuori, ed è ciò di cui parlano all’uomo libero coloro che propongono modelli di comportamento individuale e sociale».
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