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Se l’etica è ridotta al Dna

di Andrea Lavazza - 25/10/2007


La provocazione dello psicologo Usa Hauser: le norme morali sono figlie dell’evoluzione.
Ma questa ambiziosa 'grammatica universale' non spiega il corso storico dell’etica


 

 D
a dove vengono le norme morali? Da Dio e/o dalla ragione, hanno sem­pre risposto gli uomini. Oggi, alcuni studiosi avanzano una terza possibilità: dal­l’evoluzione darwiniana e, in definitiva, dal­la biologia. Ipotesi controversa che, tra l’al­tro, viene declinata secondo modelli alter­nativi. Uno dei più articolati e discussi è quel­lo dello psicologo di Harvard Marc Hauser. La presentazione delle sue ricerche arriva o­ra in traduzione italiana ( Menti morali. Le o­rigini naturali del bene e del male, il Saggia­tore, pagine 505, euro 24,00). Basandosi su esperimenti, test con migliaia di volontari, e­sami di pazienti neurologici e fatti di crona­ca, l’autore in sintesi dice che il senso di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato, evolu­tosi nell’uomo per milioni di anni, precede i nostri giudizi coscienti e le emozioni colle­gate, dotandoci di una fonte nascosta di in­tuizioni etiche universalmente condivise, tanto da poter parlare di una facoltà morale innata, patrimonio di tutti gli uomini.
  Secondo Hauser, «i nostri istinti morali so­no immuni dai comandi espliciti traman­datici da religioni e autorità. Qualche volta le nostre in­tuizioni etiche convergono con quelle espresse dalla cultura, a vol­te divergono». L’i­dea di una
gram­matica morale uni­versale
  trae diretta ispirazione dalla grammatica gene­rativa che il lingui­sta Noam Chom­sky introdusse ne­gli anni Cinquanta: nello stesso modo in cui siamo dotati di una facoltà del linguaggio, che consiste in una scatola universale degli attrezzi per costruire i linguaggi possibili, co­sì siamo dotati di una facoltà morale costi­tuita da una scatola universale degli attrez­zi per costruire i sistemi morali possibili.
  Per grammatica, Hauser intende un insieme di principi o di operazioni mentali necessa­ri a produrre giudizi su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Ogni parlante di una lingua è capace di valutare se un’espressione è grammaticalmente adeguata, ma spesso non è consapevole dei motivi per cui emet­te quel giudizio. In analogia con la teoria chomskiana, gli elementi fondamentali del­la moralità che operano a livello inconscio non impongono i contenuti specifici dei no­stri giudizi, né la decisione di aiutare o dan­neggiare il nostro prossimo in una data si­tuazione. Essi limitano però il ventaglio del­le scelte, come l’idioma cui siamo esposti da bambini ci permette di far scattare alcuni 'interruttori' linguistici (ad esempio il tipo di costruzione della frase, in giapponese di­verso dall’italiano), già pronti ad assumere
alcune posizioni. Anche gli argomenti a fa­vore dell’innatismo morale coincidono con quelli che sorreggono l’innatismo linguisti­co: l’universalità dei contenuti, la povertà dello stimolo (i dati cui sono esposti i bam­bini sono insufficienti a spiegare quello che sanno se dovessero impararlo da zero), il per­corso di sviluppo degli individui simile nel­le diverse culture.
  Ma come si sarebbe evoluta la grammatica universale? Hauser dà una doppia risposta. È possibile che (quello che oggi chiamiamo) l’istinto morale sia stato in origine selezio­nato a motivo delle sue conseguenze sul­l’efficienza della specie nel mantenere le nor­me sociali, alcune delle quali sarebbero com­parse già negli animali superiori. In secon­do luogo, non va escluso che alcune delle componenti che stanno alla base dell’istin­to morale (come la capacità di distinguere a­zioni intenzionali e azioni accidentali, deci­siva per il concetto di responsabilità) non si siano evolute per ragioni che sono specifiche della moralità (ovvero, per ciò che noi oggi chiamiamo moralità), ma siano state in se­guito 'cooptate' o 'adottate' dalla facoltà morale.
  Il fatto che si supponga l’esistenza di una grammatica morale universale non equiva­le comunque al rifiuto della variabilità dei sistemi etici dovuta alla cultura. Ma, come detto, la facoltà morale porrebbe limiti alla gamma di variazioni interculturali possibili e, quindi, anche alla misura in cui religione, diritto e trasmissione intergenerazionale (fa­miglia, scuola) possono modificare i nostri giudizi morali, che sarebbero intuitivi e re­sistenti alle influenze ambientali.
  Tre le critiche principali a questa imposta­zione, che pure ha dalla sua una crescente mole di prove sperimentali. Primo, si sotto­valuta la storia. Le norme morali cambiano (e molto) nel tempo: uccidere neonati o te­nere schiavi è stato lecito e accettato, ora ci fa orrore. Secondo, molti filosofi morali ri­tengono che quelle descritte da Hauser sia­no
soltanto condizioni che rendono fisica­mente possibile la produzione dei compor­tamenti e degli enunciati morali: sono assai varie e, soprattutto, nessuna è in grado di ren­dere conto del contenuto specificamente morale delle pratiche umane. Terzo, alcuni scienziati cognitivi che non rifiutano la base biologica negano però che esista una gram­matica morale universale, ribaltando l’im­postazione di Hauser e cercando di dimo­strare che non risponde ai criteri della teoria generativa di Chomsky. Ad esempio, speri­mentiamo spesso dilemmi morali tra princi­pi confliggenti, mentre nulla di simile si ha quando decidiamo sulla correttezza di un’e­sperienza linguistica. Di certo, è finita l’era in cui l’etica si studia soltanto a tavolino.
 
significati totalizzanti, i quali non si la­sciano facilmente ridurre o eliminare da un gioco epistemologico».
 Si sostiene che, se l’ipotesi di una facoltà morale innata fosse corroborata, biso­gnerebbe ripensare il ruolo delle agenzie morali che operano nella società. È d’ac­cordo?

 «Sono in gioco due visioni antropologiche incompatibili. Quando si considera solo il determinismo biologico-ambientale, è ovvio che la realtà morale come la cono­sciamo evapora. A mio avviso, però, la ri­cerca empirica non è in grado di esaurire il discorso sulla coscienza morale. Qual­cosa resta fuori, ed è ciò di cui parlano al­l’uomo libero coloro che propongono modelli di comportamento individuale e sociale».