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Troppi scrittori senz’anima

di Alessandro Bottelli - 23/11/2007

 


 

 U
n eremita viaggiatore. Un emerito oratore abitato dal richiamo del deserto.
  Assorto cacciatore di miraggi d’oggi. Leggendolo, uno che solfeggia la prosa come fosse il refrain di una canzone. O altro ancora. Gianni Celati ha intonato, negli anni, parole in linea d’aria, che non sbiadiscono. A lui, domani pomeriggio, l’Associazione Premio Nazionale di Narrativa Bergamo assegnerà 'Il Calepino' 2007, consolidato omaggio alla sua pascolante traiettoria di scrittore.

 Sulla rivista «Vita e Pensiero» è apparso uno degli ultimissimi scritti di Raffaele Crovi, dove, tra l’altro, si legge: «Così, c’è stato un periodo in cui lo scrittore innovativo per eccellenza era Gianni Celati, mentre oggi lo scrittore innovativo è Alessandro Baricco […] Celati è immaginazione pura, Baricco è multimedialità applicata. Non a caso Cavazzoni e Celati piacevano a Federico Fellini, mentre non gli è piaciuto, agli esordi, Baricco». Le chiedo: l’innovazione passa sempre e necessariamente attraverso l’immaginazione?

 «L’innovazione passa per forza attraverso l’immaginazione, fin dai tempi di Aristotele. Con immaginazione si intende la capacità di proiettare ciò che è ancora pensiero, o questa mistura di pensiero e opinione di cui parlava Aristotele, in qualcos’altro che deve ancora avvenire. La stessa cosa dice Heidegger quando afferma che il mondo si fonda sul fatto che noi immaginiamo qualcosa fuori di noi. Siamo cioè entità estatiche che ci proiettiamo verso l’esterno. La questione è piuttosto antica, dunque, ripresa poi da chi, come Heidegger, ha ben indagato il fenomeno fino in fondo e, più di recente, da alcuni nuovi filosofi che vedono in tutto quello che sta succedendo l’avverarsi di questa idea. L’immaginazione è proiezione emotiva. E la proiezione emotiva è ciò che costituisce il progetto, non tanto il calcolo di qualcosa che ancora non c’è e che verrà. O che potrebbe esserci al di là di ciò che noi non vediamo».

 In quali scrittori riscontra oggi più innovazione?

 «Io mi sono ritirato dalla letteratura
da tanti anni e non leggo quasi più niente. Faccio altri mestieri.
  Quindi, non so. Stanotte rileggevo Kafka, per esempio. La disgrazia della letteratura è di essere stata presa in mano violentemente dai cosiddetti esperti, i quali hanno l’idea che essa esista in generale, come fenomeno, e non come fatto vario e sempre indecidibile. Gente come Magris o Umberto Eco incarna quello che sarà l’assassinio della letteratura. In un suo scritto Gilles Deleuze diceva che la letteratura finirà assassinata come nei paesi socialisti o sotto la dittatura di Stalin, ma noi non ce ne accorgeremo neppure. Più esiste successo, più ci dev’essere
aderenza a qualcosa che si suppone già dato, cioè noto.
  Questa faccenda del noto, della notizia, dell’attualità, che per Hegel era proprio il contrario esatto della verità, oggi domina dappertutto.
  Adesso è il trionfo dei libri e dei giornali. Ma ci stiamo avvicinando a un’era in cui gli uomini troveranno altre soluzioni per raccontare i loro problemi e le loro storie».

 Pensa che l’immaginazione aiuti anche a dare forma compiuta e a interpretare i segni che sono nell’aria, i suoni, le parole 'in cui viviamo immersi'? In che modo?

 «Non solo aiuta, semplicemente ci fa capire che quella che chiamano
attualità è uno sprofondamento nella chiacchiera da cui non ci risolleviamo più in nessun modo, almeno per il momento. Solo la fuga dalla falsa curiosità riapre la possibilità di poter immaginare qualcosa di nuovo. Poco tempo fa Carlo Mazzacurati mi ha chiesto di scrivere con lui un film. E per farlo devo abolire la chiacchiera che mi circonda. Allora mi sono messo a leggere Kafka, come una specie di vangelo della ripulitura, per ritrovare un tono di incertezza su tutto».
 Oltre che da 'apparenze', i suoi libri sono attraversati spesso da 'apparizioni'. Che importanza dà a tutto ciò che appartiene alla
sfera del misterioso, del soprannaturale e, in senso più lato, del religioso?
 «Gli uomini, nella loro stoltaggine generale, credono di sapere tutto della vita. E la causa di questa stoltaggine sono ancora una volta i mass media, i quali contribuiscono in maniera massiccia, giorno per giorno, a creare una barriera di stupidità. La vita è mistero. E le cose più misteriose sono quelle che vediamo più chiaramente, ma che più neghiamo. Quand’è che un padre e un figlio si congiungeranno nei loro pensieri?
  In un aldilà, non c’è dubbio. Tra padre e figlio, durante la vita, c’è sempre uno scarto, una difficoltà di
intesa. Quando qualcuno dei due sarà di là, allora si realizzerà il mistero del congiungersi parentale, del tramandarsi. Ma di fronte a queste cose i giornali - che per come sono fatti non solo sono atei, sono cinici - mostrano indifferenza. L’idea che i nostri morti siano sempre con noi e con i quali, quando sarà il nostro turno, ci ricongiungeremo, costituisce qualcosa di cui non si deve assolutamente parlare. Altrimenti finisci addirittura per essere disprezzato».
 Ritiene che in parte anche le tecniche fotografiche abbiano contribuito a rendere più precisa, più visibile, e di conseguenza meno vaga e 'apparente', la sua scrittura?

 «Sì. Ho imparato molto dai fotografi, prima di tutto la modestia. Lo stare ore a guardare qualcosa. A un certo momento mi è venuto proprio un rigetto nei confronti dei letterati, i quali portano con sé questa tradizione falso-umanistica del dire le grosse frasi, dell’usare i grossi aggettivi.
  Tutte cose che ho sempre aborrito.
  Quando ho iniziato a collaborare con Ghirri, Basilico, Barbieri e tanti altri fotografi, e insieme abbiamo realizzato il libro sulla Val Padana, ho scoperto un modo di lavorare diverso, che non si concentrava tanto sulla precisione del fatto in sé, quanto sul tempo dedicato all’osservazione, alla proiezione immaginativa sulla cosa vista. Non a caso gli eroi di Luigi Ghirri erano i personaggi dei quadri di Friedrich, con la schiena voltata, intenti a contemplare qualche misteriosa lontananza. Allo stesso modo, per scrivere bisogna prendere e sprecare tempo, ozio. Ecco, quello l’ho imparato da loro».

 «Prevale una stupidità che ignora che la vita è mistero. E un cinismo di fondo congiunto a un facile ateismo che mostra indifferenza verso temi come l’aldilà. Bisogna avere il coraggio di guardare le cose in maniera diversa, come fanno i grandi fotografi»




Lo scrittore e critico letterario Gianni Celati