Ricordo di Julius Kugy, alpinista-poeta delle Alpi Giulie
di Francesco Lamendola - 27/11/2007
"Queste esortazioni non sono frequenti e se si colgono non si deve indugiare, ma apprestarsi subito, con gioia, fiduciosi e consapevoli dell'importanza della missione.
"Solo uno di noi vecchi può scrivere una stria di tal genere e prima di andarsene per sempre. Noi l'abbiamo in parte vissuta e volentieri la ripercorriamo. Non è un compito per un giovane che per natura è proiettato verso il domani, sicuro di sé; perché ha tutto il futuro davanti e nessun passato.
"Mi sento chiamato a svolgere questo lavoro e giustamente prescelto.
"Sono già trascorsi sessantadue anni da quando salii per la prima volta sulla cima della venerabile montagna, ma da sempre ha vegliato su di me, sin dai tempi della mia infanzia e della mia giovinezza. Nella mia lunga esistenza ha inciso su di me le sue rune misteriose e i suoi segni.
"In questi tempi, in cui la degenerazione del sentimento di attaccamento alla propria nazione sta diffondendosi, è oltremodo positivo che un uomo, ponendosi al di sopra di ogni nazionalismo, sii cimenti in un lavoro del genere e dimostri che il suo orizzonte non finisce là dove confina la sua lingua. Si commetterebbe un errore a mio parere scrivere la storia di questa montagna limitandosi alla visione di un popolo e al suo aspetto nazionalistico, mentre è auspicabile iniziarla narrando le imprese delle genti cui la montagna appartiene. La storia così impostata non risentirà di influenze estranee perché la montagna rimarrà comunque e sempre l'unica protagonista."
Così iniziava il suo libro Tricorno, cinquecento anni di storia l'alpinista-poeta Julius Kugy, massima autorità in fatto di conoscenza elle Alpi Giulie tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento e ultimo rappresentante di un modo di andare sui monti romantico e rispettosissimo della natura, quando la tecnica e la smania del risultato non avevano ancora sopraffatto ogni altra considerazione.
Era nato nel 1858, a Gorizia, da madre slovena e padre austriaco. I suoi genitori si erano stabiliti a Triste, ove il padre aveva fondato un'impresa commerciale che si occupava di caffè, olio e altri prodotti coloniali. Fin da piccolo egli parlava le tre lingue principali di Trieste: il tedesco, l'italiano e lo sloveno, e nutriva grande rispetto per ciascuna di tali culture. Come si è visto dal brano sopra riportato, in piena era dei nazionalismi egli non era un nazionalista. Sentiva l'Austria come la sua patria, ma non in senso nazionale, bensì in senso ideale: e quando, nel 1915, l'Italia dichiarò guerra all'Austria, egli corse ad offrirsi volontario, pur avendo già cinquantasei anni, affermando che solo un vile avrebbe potuto negare il suo aiuto alla patria nel momento del pericolo. Esperto com'era dei sentieri e delle vette delle Alpi Giulie, venne nominato referente per le questioni alpine del fronte sud-occidentale dell'Impero austro-ungarico, incarico che svolse fino all'indomani dello sfondamento nella dodicesima battaglia dell'Isonzo (Caporetto), il 24 ottobre 1917.
Quindi si ritirò a vita privata, chiuse la sua impresa commerciale ereditata dal padre e passò il resto della sua vita scrivendo libri e tenendo conferenze in Austria, Germania, Jugoslavia; meno in Italia che pure, dopo il 1918, era divenuta la sua nuova patria giuridica, avendo annesso la sua città natale con Triste, la valle dell'Isonzo e tutta l'Istria fino al Monte Nevoso. Ed è forse a questa minor conoscenza di Kugy nel nostro paese, mentre la sua figura e la sua opera sono notissime in quelli di lingua tedesca e di lingua slava, che si deve la deplorevole assenza del suo nome nell'Enciclopedia Biografica Universale edita dalla Biblioteca Treccani nel 2007, l'opera più completa e aggiornata nel suo genere esistente in Italia.
Morì all'inizio del 1944, nella sua cara Trieste, mentre la città conosceva un effimero periodo di annessione alla Germania nella forma istituzionale dell'Adriatischen Küstenland, voluta da Hitler e attuata dal commissario supremo, l'austriaco Friedrich Rainer.
Si può dire che la passione di Kugy per le Alpi Giulie, di cui fu instancabile viaggiatore e fervido ammiratore, nacque in realtà con la botanica e più precisamente con la ricerca di una misteriosa pianta che lo fece rassomigliare a un antico cavaliere alla ricerca del sacro Graal. Si trattava della Scabiosa Trenta, che si sarebbe poi rivelata inesistente; ma intanto egli aveva cominciato a percorrere le valli e a salire, una dopo l'altra, le cime delle Alpi Giulie, delle quali diceva che non esisteva l'eguale, per bellezza, in tutto il resto del mondo. Grazie alla collaborazione di alcune guide locali egli aprì numerosissime nuove vie e legò il suo nome alla scalata del Jôf di Montasio (di cui salì in pieno inverno la temutissima parete nord), del Monte Canin, della Skrlatica e soprattutto del Triglav (Tricorno, metri 2.863 s.l.m.), che risalì poi decine di volte, innamorandosene al punto da percepirlo come un essere vivente, un maestoso signore del regno incantato della valle superiore dell'Isonzo (cfr., a questo proposito, il nostro articolo Le montagne sono esseri viventi dotate di un'anima e di una volontà?).
Kugy non fu solo alpinista né solo scrittore. Dopo aver compiuto gli studi classici, si era laureato in giurisprudenza a, Vienna, nel 1882, anche se poi (come il suo concittadino Aaron Hector Scmitz, in arte Italo Svevo) i casi della vita avevano fatto di lui un commerciante. Ma accanto al lavoro e alla passione per la montagna, cui dedicava tutte le sue domeniche, coltivò sempre una passione quasi altrettanto intensa per la musica, sicché si può dire che egli fu un uomo veramente completo, un umanista nel significato originario della parola, aperto e ricettivo verso ogni manifestazione del bello. E a tutti questi interessi si aggiunga quello per la botanica che, in un certo senso, fu lo stimolo iniziale e l'occasione per sviluppare l'amore per le escursioni in montagna e, poi, per le scalate vere e proprie.
Come scrittore, oltre al fondamentale libro sul Tricorno (tradotto in italiano da Marina Bressan per le Edizioni Lint di Trieste nel 2001), per il quale si avvalse della collaborazione di numerosi esperti della sua storia, ricordiamo almeno: Dalla vita di un alpinista del 1925; La mia vita nel lavoro, per la musica, sui monti, del 1931; Anton Oitzinger, vita di una guida alpina, del 1935; e alcuni altri, non tradotti in italiano.
Nei confronti dell'alpinismo egli ebbe un atteggiamento contemplativo, apertamente contrario all'agonismo esasperato di coloro i quali vedevano - e vedono - nell'arrampicata solo un problema tecnico da risolvere e, nei monti, solo un trampolino verso il successo e la notorietà. La disposizione di spirito con la quale Kugy - pipa in bocca, cappello a falde rialzate e, sulle spalle, il lungo mantello di foggia ottocentesca - si accostava alle montagne, è ben illustrata da alcune sue frasi caratteristiche, come: "Sono del parere che l'assalto alle vette non debba considerarsi l'essenziale dell'alpinismo. Camminare in montagna è altrettanto importante. E la sosta, il risposo sui monti, non è da meno"; oppure: "L'alpinista deve vivere non morire sui monti"; e ancora: "L'alpinismo deve essere una gioia".
Ecco come Eugen E. Hüsler, nel suo libro Alpi Giulie (Ed. Frasnelli-Keitsch Coop., Bolzano, 1998, p. 82) rievoca la figura sobria, dignitosa e ispirata di questo pioniere dell'alpinismo nelle Alpi Giulie, al quale è stato anche innalzato un monumento in bronzo ai piedi del suo amatissimo Monte Tricorno:
"Nel 1867 il celebre alpinista inglese F. F. Tuckett, accompagnato dalla guida svizzera Melchior Anderegg, conquistava il Triglav. In quell'epoca erano state conquistate già numerose altre cime delle Alpi Giulie, alcune da cacciatori locali, altre da forestieri che si erano fatti guidare: lo Jôf Fuart, il Canin, il magart, il Prisojnik, il Razor. L'interesse all'epoca si indirizzava verso le montagne che conservavano l'aura di cime inviolate: lo Jôf di Montasio, lo Jalovec, lo Skrlatica. Il 2 settembre 1875 C. Wurmb e compagni raggiunsero la vetta dello Jalovec. Due anni più tardi fu H. Findenegg a salire sullo Jôf di Montasio. Nell'estate del 1880 provò anche la scalata dello Skrlatica, ma fu preceduto da un altro: Julius Kugy.
"Chi mai avrebbe potuto o voluto stare al suo cospetto, quando si trattava delle Alpi Giulie, delle sue Giulie? Non era stato proprio lui a guidare per anni il lavoro di apertura di vie in queste montagne e a tracciare innumerevoli nuovi sentieri?
"Il dottor Julius Kugy (1858-1944) non fu soltanto alpinista, ma anche scrittore. Le sue opere illustrano le sue montagne in modo profondamente sentito, testimoniando una vita improntata ad una vera intesa con l'essenza della natura. Il narratore amava sinceramente le montagne: non le considerava soltanto luoghi per praticare lo sport o per soddisfare ambizioni irrefrenabili. Il grande merito di Kugy è quello di essere stato un pioniere dei sentieri delle Alpi Giulie. Con le parole e coi fatti egli è divenuto un esempio per tutti coloro che si apprestano a conoscere questa parte meravigliosa dell'arco alpino sudorientale."
Prima di chiudere questa breve rievocazione della bella, mite e pensosa figura del nostro alpinista-poeta, ci piace riportare una pagina della sua prosa, tratta dal XXIII (e ultimo) capitolo della sua grande opera dedicata al Monte Tricorno, ove maggiormente rifulgono le sue doti di scrittore ispirato e profondamente partecipe della vita della natura:
"Nel 1825 il sommo Goethe affermò: «Lasciateci per quanto possibile nell'intenzione cui siamo pervenuti; saremo forse con pochi altri gli ultimi di un'epoca che non si ripeterà facilmente». Ispirandomi a queste considerazioni così illuminate e profonde, anch'io nello scrivere e sovrintendere a quest'opera non sono riuscito a reprimere la sensazione di appartenere ad un'epoca che ormai sta definitivamente tramontando. È già cambiato molto e molto ancora cambierà.
"Un caro amico all'inizio di quest'anno mi scrisse: «Allo stato attuale delle cose, spero di completare entro l'anno il secondo volume. Un'attività può appagare una persona anche se non ne trae profitto, solo perché può dare un significato alla sua vita. La sola ricompensa è il silente e solitario contemplare e l'abbandonarsi al mondo della montagna».
"Anch'io spero di essermi calato in religiosa contemplazione nel presentare i cinque secoli del Tricorno. Mezzo millennio! A noi uomini mortali questo tempo appare lunghissimo. Cinquecento anni fa l'America non era stata scoperta e l'arte della stampa non era stata ancora inventata. Per le montagne il tempo è relativo, cinquecento anni sono paragonabili al respiro di una persona forte e sana.
"I lettori di questo libro capiranno certamente, che per una conoscenza e soprattutto per una completa comprensione del Tricorno non basta salire fino alla sua cima. Se si crede che sia sufficiente solo arrivare alla vetta, la conoscenza rimarrà superficiale e solo marginale. Oggi tutti possono farlo, la sua cima un tempo temuta, difficile e pericolosa è diventata accessibile. A tal proposito il grande scalatore inglese Mummery direbbe: «È una montagna che va di moda, frequentata da tutti». Ma pur aprendosi alle masse il Tricorno è rimasto avvolto in un'aura mitica, misteriosa, oscura ai più., come un tempo. La venerabile montagna non esige solo una visita, un atto di ammirazione o un'ascesa. Pretende molto di più. E questo sa chi gli si avvicina con cuore sincero e con animo sensibile. Il Tricorno non è una bella, grande e orgogliosa cima, è un regno, il regno incantato della bellezza e del prodigio e ancora più di tutto è il trono degli dei, un simbolo vissuto con religioso e imperituro amore, un simbolo di luce. Per il popolo sloveno è una montagna sacra. Molto più alto delle altre si protende verso la divinità. E molto di più delle altre si connette al concetto di essere e di divenire legato alla nostra condizione di uomini, e quindi a quello di eternità.
"Non passerà molto tempo , forse solo l'attimo di un respiro uscito dal suo petto roccioso e tutti noi saremo stati già calati nelle profonde fosse della dimenticanza e scompari senza lasciare traccia. Tutti noi, di cui si parla in questo libro. Speranze, sogni nostalgici e desideri, aspettative, vittorie, competizioni e glorie, contrasti sulle finalità dell'alpinismo se basta amare la natura o muovere alla scoperta estrema, segreti, incomprensioni, invidie, eroismi e ogni tipo di bassezza propria dell'uomo di oggi, scompariranno come pula spazzata dal vento e verranno affossati nel mare dell'eterno oblio. Ma l'uomo con le sue debolezze è parte integrante della storia della montagna, un uomo che continuerà ad apparire sulla scena mettendo in luce il suo egoismo, la sua frivolezza, la sua presunzione e la sua insufficienza.
"Passeranno secoli, millenni e il Tricorno orgoglioso e fiero non baderà a quegli uomini che gli si avvicineranno impazienti e rumorosi: li osserverà imperturbabile nella sua regale maestosità. Nelle giornate di sereno sarà il primo a essere baciato dai raggi del sole che lo circonderà di lue come un'aureola di gloria, l'ultimo alla sera,, a essere cinto della porpora regale prima del commiato giornaliero dell'astro. Le terre che si estendono ai suoi piedi e le navi sull'esteso azzurro del mare che hanno sempre rivolto verso di lui lo sguardo in reverenziale omaggio continueranno a farlo fino alla fine dei secoli.
"E che cosa ne sarà delle tue leggende? Taceranno o moriranno? Non appare doveroso che intimidite e spaventate incomincino gradualmente ad abbandonare il linguaggio popolare e rifugiarsi con pieno diritto nei libri? Sono una musica nascosta che esce sommessamente dalle tue grigie pareti e, staccandosi dai tuoi pendii sfiorati dalla lue del tramonto, diventano dolce e malinconica melodia di magici accordi, di suoni profondi e misteriosi che sembrano rintronare nei tuoi profondi abissi.
"Possano continuare ad esistere le tue leggende. Proteggile e conservale finché ti è possibile. Ci sarà ancora qualche animo sensibile e umile che busserà al tuo portone, cui potrai raccontarle. Non nasceranno delle nuove. Come potrebbero in questo mondo che ha la pretesa di essere sempre più razionale?
"Se qualcuno poi si avvicina alla tua preziosa e meravigliosa flora con intenti egoistici solo per ricavarne vantaggi e gloria, colpiscilo con i sassi di Zlatorog e con i fulmini che perseguitarono anche Bosio: allora il suo animo avido proverà spavento. Non potrà meritare sorte migliore.
"Ed ora, caro Tricorno, il mio umile grazie. Ti sono riconoscente per tutto quello che sei stato e che continui ad essere per me, ti ringrazio perché mi hai concesso l'opportunità di parlare di te. Mi inchino davanti alla tua potenza e magnificenza, davanti alla tua maestà. Ti saluto Tricorno, potente e glorioso signore e re, accogli il supplice dono del mio amore ardente e della devota fedeltà che ho provato verso di te in tutta la mia vita."
Nobili parole, pervase di un autentico spirito religioso.
Parole sulle quali gli scalatori d'oggi, sempre più tentati di divenire dei meri tecnici dell'arrampicata, nonché le torme di turisti ed escursionisti che, nell'epoca dell'alpinismo e del turismo di massa, si riversano sui monti senza rispetto e senza ritegno, dovrebbero riflettere a lungo.
Come quando un credente, entrando in chiesa, si inchina e procede in punta di piedi lungo le navate, così colui che ama la montagna dovrebbe avvicinarlesi riverente e devoto, quasi trattenendo il respiro.
Anche dal punto di vista della comprensione spirituale delle montagne, Julius Kuguy è stato veramente un maestro insuperato, come oggi - forse - non ce ne sono più.
I brani citati sono tratti da: Julius Kugy “Dalla vita di un alpinista”, “Anton Oitzinger. Vita di una guida alpina” e “Tricorno. Cinquecento anni di storia” Casa Editrice LINT Editoriale
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