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La sciamanizzazione dell’arte

di Antonello Colimberti - 11/01/2006

Fonte: Antonello Colimberti

 

“Il maestro di metamorfosi acquista effettivo potere quale sciamano.
 Durante i suoi accessi estatici, egli aduna presso di sé spiriti che sottomette,
parla la loro lingua, diviene un loro pari e può comandarli al loro modo.
Diviene uccello quando viaggia per i cieli e animale marino
 quando scende in fondo al mare.
Egli può tutto; il parossismo che raggiunge
deriva dall’accresciuta e rapida sequenza di metamorfosi
che lo scuotono finché non ha scelto fra di esse il suo vero scopo.”
Canetti 1981, p.462


Georges Lapassade ha definito come società dello sciamanesimo quelle che «trasformano le allucinazioni in visioni» (Lapassade 1993, p. 16). Ebbene, ciò è proprio quello che la nostra cultura attribuisce al “malinconico”.
Tale procedura di trasformazione dell'allucinazione in visione è ben descritta da Giorgio Agamben, sulla scia di alcune intuizioni freudiane : «se il mondo esterno è infatti narcisisticamente negato dal malinconico come oggetto d'amore, il fantasma riceve però da questa negazione un principio di realtà ed esce dalla muta cripta interiore per entrare in una nuova e fondamentale dimensione. Non più fantasma e non ancora segno, l'oggetto irreale dell'introiezione malinconica apre uno spazio che non è né l'allucinata scena onirica dei fantasmi, né il mondo indifferente degli oggetti naturali; ma è in questo intermediario luogo epifanico, situato nella terra di nessuno fra l'amore narcisistico di sé e la scelta oggettuale esterna, che potranno collocarsi le creazioni della cultura umana <...> è nello spazio aperto dalla sua ostinata intenzione fantasmagorica che prende avvio l'incessante fatica alchimica della cultura umana per appropriarsi del negativo e della morte e per plasmare la massima realtà afferrando la massima irrealtà» (Agamben 1977, pp. 32-33).
Queste parole, nel delineare un rapporto stretto fra malinconia e cultura nelle civiltà umane, ci suggeriscono già il rapporto decisivo, che indicheremo in seguito, fra sogno e cultura nello sciamanesimo. Ma dalle analisi di Agamben possiamo individuare, oltre alla malinconia, un altro tratto pertinente alla conoscenza dello sciamanesimo: il feticismo: «come nella Verleugnung feticista, nel conflitto fra la percezione della realtà, che lo costringe a rinunciare al suo fantasma, e il suo desiderio, che lo spinge a negare la percezione, il bambino non fa né una cosa né l'altra, o, piuttosto, fa simultaneamente le due cose, smentendo, da una parte l'evidenza della sua percezione e riconoscendone dall'altra la realtà mediante l'assunzione di un sintomo perverso, così, nella malinconia, l'oggetto non è né appropriato né perduto, ma l'una e l'altra cosa nello stesso tempo. E come il feticcio è, insieme, il segno di qualcosa e della sua assenza, e deve a questa contraddizione il proprio statuto fantomatico, così l'oggetto dell'intenzione malinconica è nello stesso tempo reale e irreale, incorporato e perduto, affermato e negato» (Ibidem, pp. 26-27).
Tali caratteri, che nelle pagine successive del suo lavoro Agamben estende ad alcuni procedimenti del linguaggio come la metonimia e la metafora, nonché alla sfera oggettuale dei giocattoli e della merce, ci sembrano particolarmente appropriati per cogliere il senso degli oggetti rituali sciamanici .
L'impostazione ideologica «metafisica» di Mircea Eliade, infatti, non ci sembra cogliere nel segno con la sua interpretazione tesa a riconnettere il simbolismo degli oggetti rituali sciamanici ad un significato cosmico (manifestazione dell'illud tempus primordiale, ecc.).  Ciò che ci sembra discutibile di tale impostazione non è tanto il suo vero o presunto «irrazionalismo», quanto la sua persistente «semiologia». In altri termini, per quanto Eliade venga spesso incluso fra i maestri di un’«ermeneutica instaurativa» , non si può non cogliere i limiti di una riduzione delle immagini ai loro significati, da lui costantemente praticata. Ad esempio, nel parlare del simbolismo del costume sciamanico, Eliade scrive che «il costume sciamanico costituisce di per sé una ierofania ed una cosmografia religiosa: esso non rivela soltanto una presenza sacra ma anche simboli cosmici e itinerari metapsichici. Ove lo si esamini attentamente,il costume ci dà a conoscere il sistema dello sciamanismo nella stessa trasparenza propria ai miti e alle tecniche sciamaniche » (Eliade 1992, p. 169).
Questa lettura è molto più «semiologica» che «simbolica»; eppure il riferimento ai sogni del candidato avrebbe dovuto mettere sull’avviso Eliade che lo sciamano non “riduce” i simboli, neppure interpretandoli in chiave «cosmica» o «metafisica», ma li “amplifica”, attraverso una specifica “arte del sognare”: «Il candidato nei suoi sogni deve riuscire a vedere il luogo esatto ove si trova il suo futuro costume e deve poi andare lui stesso a cercarlo»(Eliade 1992, p. 171).
Il modello semiologico si pone sotto il segno di Edipo, quello simbolico sotto il segno della Sfinge: «ogni interpretazione del significare come rapporto di manifestazione o di espressione (o, all'inverso, di cifra e occultamento), fra un significante e un significato (e tanto la teoria psicoanalitica del simbolo che quella semiotica del linguaggio appartengono a questa specie) si pone necessariamente sotto il segno di Edipo, mentre si pone invece sotto il segno della Sfinge ogni teoria del simbolo che, rifiutando questo modello, porti innanzitutto la sua attenzione sulla barriera fra significante e significato che costituisce il problema originale di ogni significazione» (Agamben 1977, p. 165) .
Agamben tratta tale problema nella parte IV del suo volume, non a caso intitolata L’ immagine perversa. Anche lo psicanalista James Hillman, nel riprendere alcune intuizioni di Gaston Bachelard sull'attività deformante dell'immaginazione , parla di «patologizzazione» dell'immagine: «l'immagine patologizzata o deformata è fondamentale per l'alchimia e per l'arte della memoria, che presentano entrambe metodi complessi per fare anima. È all'immagine patologizzata del sogno, alla figura bizzarra, particolare, malata o ferita- l’elemento di scompiglio- che dobbiamo rivolgerci per trovare la chiave del lavoro del sogno. <...> La deformazione patologizzata che restituisce a un'immagine la sua capacità di perturbare l'anima al punto che, portando un'immagine in prossimità della morte la fa al tempo stesso rivivere. Perché è il sogno scioccante, di cui è paradigma l'incubo quello che maggiormente ricordiamo, quello che risveglia la memoria dell'anima» (Hillman 1996, pp. 122-124).
 Quale esempio migliore da questo punto di vista si può dare se non quello relativo ai sogni iniziatici sciamanici? Vasta è la bibliografia su smembramenti del corpo, lacerazioni della carne e torture varie. Basti il seguente riassunto di Eliade: «i momenti importanti di un'iniziazione sciamanica comportano: 1. la tortura e la lacerazione del corpo; 2. il raschiamento delle carni fino alla riduzione del corpo a scheletro; 3. la sostituzione delle viscere e il rinnovamento del sangue; 4. un soggiorno abbastanza lungo agli Inferi, durante il quale il futuro sciamano viene istruito dalle anime degli sciamani morti e da "demoni"; 5. un'ascensione al Cielo per ottenere la consacrazione dal Dio del Cielo. A differenza dei neofiti delle altre iniziazioni, il futuro sciamano subisce in modo più radicale l'esperienza della morte mistica. Egli rischia più di una volta di precipitare nella "pazzia", e affronta questo pericolo nella speranza di accedere a un'esistenza totalmente diversa dall'esistenza profana» (Eliade 1988, p. 147).
Questo riassunto va tenuto costantemente a mente se, parafrasando Hillman , si vuole lavorare sullo sciamanesimo tenendo dietro al lavoro dello sciamanesimo. Studiare lo sciamanesimo dal punto di vista della Sfinge e non di Edipo non esclude l'analisi, ma implica un atteggiamento diverso da quello consueto. Insiste Hillman : «il dividere in parti analitico è una cosa e l'interpretazione concettuale è un'altra. Può esserci analisi senza interpretazione. L'interpretazione trasforma il sogno nel suo significato. La traduzione del sogno prende il posto del sogno. La dissezione invece opera un taglio nella carne e nelle ossa dell'immagine, esamina il tessuto delle sue connessioni interne e si muove tra i suoi pezzi, eppure il corpo del sogno è ancora lì, sul tavolo. Non ci siamo chiesti che cosa significa, ma chi, che cosa, e come è» (Hillman 1996, p. 124).
Rinunciare a ridurre lo sciamanesimo ad una costellazione di significati, palesi od occulti che siano, non significa mettersi a sciamanizzare tout-court, ma assumere innanzitutto il punto di vista della conoscenza onirica, mettendo da parte ogni idea di sciamanesimo come esoterismo, in cui presunti iniziati detengono la conoscenza di significati occulti solo da essi trasmissibili; l'origine di tali concezioni “esoteriche” fa tutt'uno con le culture cosiddette “alte”, nelle quali si attua un passaggio, come efficacemente sintetizza Francesco Saba Sardi a proposito dell’avvento degli Incas, “dallo sciamano al sovrano”: «se lo sciamano cerca la solitudine, diventa sognatore, ha visioni, il sovrano si circonda di solitudine (è solo in cima al suo inaccessibile trono) le sue visioni si traducono in scelte politiche, il suo comportamento è bizzarro e idiosincratico (capricci di re) <...> Se lo sciamano è concretamente dotato di "poteri meravigliosi", che rivelano l'accesso allo stato di ek-stasis, il sovrano domina le forze: vince l'acqua che incanala, la siccità che previene con l'accortezza, la carestia alla quale ovvia creando scorte di viveri. Non ha effettivi "poteri meravigliosi", ma è come se li avesse: gli vengono attribuiti senz'altro ex lege <...> Mentre lo sciamano non pretende di essere un dio, il sovrano tale si dichiara. Gli sciamani sono dunque al suo servizio e, a tale scopo, li isola in santuari, li chiude in recinti, li obbliga a pronunciare profezie a lui favorevoli<...> Ancora, se lo sciamano "ascende" o "discende" lungo l'albero-centro del mondo per raggiungere il cielo o il mondo ctonio, il sovrano dichiara il santuario, il palazzo, la città regale centro del mondo» (Saba Sardi 1982, pp. XLV-XLVI). 
Alla subordinazione della conoscenza onirica nell’ antichità, con il connesso statuto dell’immaginazione che essa possedeva, fa seguito la sua emarginazione nella modernità, con la conseguente nascita della follia:« e, dal momento che è la fantasia che, secondo l’antichità, forma le immagini dei sogni, ciò spiega il particolare rapporto che, nel mondo antico, il sogno intrattiene con la verità e con la conoscenza efficace. Ciò è ancora vero nelle culture primitive…l'espropriazione della fantasia si manifesta nel nuovo modo di caratterizzarne la natura: mentre essa non era, in passato, qualcosa di soggettivo, ma era piuttosto la coincidenza di soggettivo e oggettivo, di interno e di esterno, di sensibile e intelligibile, ora è il suo carattere combinatorio e allucinatorio, che l'antichità relegava sullo sfondo, a emergere in primo piano. Da soggetto dell'esperienza, il fantasma diventa il soggetto dell'alienazione mentale, delle visioni e dei fenomeni magici, cioè di tutto ciò che resta escluso dall'esperienza autentica». (Agamben 1978, p. 19).
Se questo è vero, allora la dimensione onirica nelle società sciamaniche non è uno specifico aspetto della cultura, quanto la modalità che fonda la conoscenza e dunque la cultura stessa. Tra coloro che meglio hanno colto questo punto essenziale vi sono l’etnopsichiatra George Devereux e, sulla sua scia, l’antropologo Roger Bastide., i quali hanno segnalato i limiti etnocentrici delle attuali teorie sul sogno.
Devereux, in particolare, riferisce, a proposito della cultura mohave (in questo non dissimile da altre culture sciamaniche), che, contrariamente a quanto sostiene Mircea Eliade, il mito non è riattualizzazione dell'illud tempus primordiale, ma creazione continua. La cultura sciamanica non è «contro» la storia, piuttosto per essa storia e sogno sono inscindibili: «il mito della creazione è , d’altronde, un’opera incompiuta. Il mito della creazione, quale era raccontato, per esempio nel 1900, contiene semplicemente quelle porzioni della creazione che erano state rivelate in sogno fino a quell’epoca. Così, quando le armi da fuoco fecero la loro apparizione e inflissero ferite da pallottole, uno sciamano sognò subito di essere stato testimone di quella fase della creazione che si riferiva alla istituzione iniziale –prototipo costituente un precedente-di ogni ferita da arma da fuoco e della sua guarigione. In linea di principio, domani o il giorno dopo, uno sciamano mohave può sognare la creazione di ustioni dovuti a radiazioni o il mal di spazio e la loro cura. Questi nuovi sogni esigono automaticamente un completamento delle versioni anteriormente conosciute del mito della creazione, così come la scoperta di un nuovo fossile impone l’aggiornamento di un manuale di paleontologia pubblicato precedentemente. » (Devereux 1978, p.291). La conclusione è esplicita: “soltanto il sogno rende valido l’apprendimento culturale: chiunque può imparare a cantare un canto terapeutico, ma questo è una terapeutica inefficace e rimane un atto puramente extraculturale e individuale, se non è appoggiato e convalidato da sogni sciamanici appropriati…mi sembra che i Mohave interpretino la loro cultura in termini di sogno, anziché interpretare i loro sogni in termini di cultura” (Ibidem, p.293).
A partire dalle conclusioni di Devereux, Bastide formula una vera e propria “teoria generale del sogno”, nella quale contrappone la «naturalizzazione del sogno presso i primitivi» alla «culturalizzazione del sogno negli occidentali» . Nel primo caso il sogno «permette il passaggio, dal soggettivo al collettivo, attraverso la comunicazione ad altro e l'accettazione degli altri» (Bastide 1976, p. 56). Ma nel secondo caso «si è spezzato il legame tra il sogno e la realtà per respingere il primo nell'immaginario e costruire la realtà sull'efficacia» (Ibidem p. 58). Sono due processi, quello del primitivo e quello dell'occidentale, decisamente antitetici. Come riassume ancora Bastide «separando l'onirico dal mondo reale, facciamo dell'onirico un "aldilà del mondo", un "altro luogo"; possiamo certamente compiacerci in lui (per reazione alla nostra società industriale e costruire, per la nostra gioia, ogni giorno nuove fabbriche di sogni opposte alle fabbriche dei prodotti di consumo pratico), ciò non toglie che in noi il sogno non abbia più legami con la storia o la metafisica, perlomeno per gli "spiriti forti". Al contrario, per i primitivi il sogno è incorporato nella realtà, segue la storia, fabbrica la storia e nello stesso tempo è il riflesso del trascendentale, la parola esplicitata dei morti e degli dei» (Ibidem, p. 61)
Se questo è vero, allora possiamo cogliere il punto di contatto “politico” fra la funzione dello sciamano e il compito dell'intellettuale, definito da Benjamin «solo ex negativo: egli "deve organizzare il pessimismo" e portare avanti "la distruzione dialettica" delle immagini false sulle cui proiezioni si costruisce lo spazio sociale. <...> Le manifestazioni storiche della società vengono comprese come immagini oniriche: è compito dello storico interpretare la loro complessa dinamica. Lo storico, esattamente come il Messia nel giorno del compimento della storia, ha il compito di rimettere a posto le immagini "impazzite", e, in questo modo, di attribuire al mondo il suo vero significato» (Witte 1991, pp. 106-108). 
Si compie così il passaggio “dal sovrano allo sciamano”, fine della storia e inizio del regno messianico secondo Benjamin, per il quale «comprendere la storia dell'umanità come il suo sogno, significa capire che le vere pulsioni e i veri desideri dell'umanità, ad esempio quelli di compimento e di felicità, trovano espressione nella storia solo in forma spostata, censurata e rimossa. Questo lavoro onirico preclude all'umanità la possibilità del risveglio che porterebbe alla fine della storia e all'inizio del regno messianico. La dottrina dei sogni storici del collettivo riflette quindi il volto ambivalente dei fenomeni storici che esprimono sia il fallimento che, nel contempo, la riuscita  <...> Per non riprodurre semplicemente il sogno, come fanno Aragon e i surrealisti, rimanendo però all'interno del mito, è necessario analizzarlo, riconoscere e sciogliere il "nesso espressivo" esistente fra la situazione economica del XIX secolo e le sue strutture socio-culturali e portare in questo modo alla superficie il contenuto utopico in esso racchiuso. La dialettica è lo strumento di quest'analisi, il "montaggio letterario" il suo metodo» (Witte 1991, p. 180).
 Ma l'uso del termine «dialettica» va oggi specificato in «dialettica immobile» e/o «dialettica sincretica».
Il primo termine (dialettica immobile) è utilizzato da Agamben per definire proprio la concezione benjaminiana, che sopprime radicalmente la separazione fra struttura economica e sovrastruttura culturale: «lo storico che vede separate davanti a sé struttura e sovrastruttura e cerca di spiegare dialetticamente l'una in base all'altra (in un senso o nell'altro, secondo che lui sia idealista o materialista), può essere assimilato al chimico di cui parla Benjamin, che vede solo legna e cenere, mentre il materialista storico è l'alchimista, che tiene fisso lo sguardo sul rogo in cui, come tenore cosale e tenore di verità, così struttura e sovrastruttura tornano a identificarsi» (Agamben 1978, p. 126).
Il secondo termine (dialettica sincretica) è utilizzato da Massimo Canevacci che vi perviene attraverso i concetti di «dialettica negativa» di Theodor Wiesegrund Adorno e «dialettica spezzata» di Paul Ricœur: «quanto la dialettica sintetica pulisce, ordina, classifica, supera, tanto la dialettica sincretica sporca, disordina, mescola, frammenta e giustappone. Trasloca. Nel sincretismo culturale il montaggio o il collage perviene dentro la stessa metodologia della ricerca e della rappresentazione» (Canevacci 1995, p. 40).
Su queste basi possiamo comprendere quella saldatura fra immaginazione messianica e conoscenza onirica che assillò la mente di Walter Benjamin, come ci segnala il seguente commento di Ferruccio Masini: «le forze dell'ebbrezza possono essere conquistate per la rivoluzione solo ad opera di quella surdeterminazione della dynamis profana che la rende produttiva di effetti trasferendoli sul vettore, diretto in senso opposto, della "intensità messianica" <...> L'illuminazione profana ha a che fare col quotidiano e con il mistero quando riguarda l'ebbrezza come luogo aporetico, in cui, appunto, quotidiano e mistero s'incrociano» (Masini 1983, p. 24).
Parafrasando Benjamin,  possiamo dire che oggi alla spettacolarizzazione dello sciamanesimo, si debba rispondere con la sciamanizzazione dell’arte.
Se la spettacolarizzazione dello sciamanesimo traduce il mondo dello sciamano nel mondo della veglia, la sciamanizzazione dell’arte restituisce piuttosto il mondo della veglia al mondo dello sciamano. Da questo punto di vista potremmo assimilare quest'ultimo lavoro a quello di uno specchio deformante, che restituisce appunto un'immagine spostata, una prospettiva rovesciata. Ma questo è dopo tutto proprio il senso di una escatologia realizzata, la quale non attende il millennio perché si sa già avvenuta. Escatologia realizzata è il paradosso per cui l'ostacolo è la chiave, il quotidiano il mistero, ovvero, sciamanicamente, la follia è la guarigione.
 
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