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Stati Uniti e Israele: Giustizia per tutti

di The Economist - 16/04/2008





Una delle questioni più spinose negli accordi di pace israelo-palestinesi, se mai ci saranno, sarà che ricompensa assegnare ai 4,5 milioni di profughi palestinesi e loro discendenti, dei quali solo a una piccola minoranza, semmai, verrà verrà concesso di tornare in quella che oggi è Israele. Ma adesso una coalizione di organizzazioni ebraiche si è adoperata per infilare nell’agenda un problema non meno spinoso: le compensazioni per gli ebrei che sono fuggiti dal mondo arabo.

Circa 850mila ebrei vivevano nei paesi arabi all’inizio del XX secolo, ma iniziarono ad andare via quando l’atteggiamento degli arabi nei loro confronti si inasprì alla vigilia dell’immigrazione ebraica in Palestina e alla successiva creazione di Israele. In molti casi essi fuggirnono dopo aver subito attacchi o essere stati privati dei loro averi e della cittadinanza. Circa 700mila palestinesi fuggirono o furono spinti fuori da Israele alla nascita dello Stato. Ma mentre la maggior parte dei palestinesi è rimasto senza Stato, vivendo in campi profughi sparsi nel mondo arabo, tutti gli ebrei finirono per diventare cittadini di Israele e di altri paesi dell’Europa e dall’America.

Cinque anni di lavoro da parte del Justice for Jews from Arab Countries, un gruppo lobbistico con sede a Washington, si sono  concretizzati all’inizio di questo mese sotto la forma di una risoluzione approvata dalla Camera dei rappresentanti Usa, che chiede al governo di spingere politicamente per le compensazioni ai profughi ebrei cosi come a quelli palestinesi. Sebbene non vincolante, la risoluzione rappresenta un grande passo simbolico nella campagna.

Gli avvocati sostengono che mettere sul tavolo la questione delle compensazioni agli ebrei non è solo un fatto di giustizia, ma può anche aiutare a risolvere il conflitto israelo-palestinese portando a un riconoscimento reciproco della condizione dei profughi delle due parti. “Trattare [entrambe le questioni dei profughi] in maniera onesta e aperta aumenterà le probabilità di una soluzione pacifica”, dice Jerrold Nadler, un membro democratico del Congresso che è stato uno dei sostenitori della bozza.

Ma egli ha menzionato anche un altro obiettivo: mostrare come i leader arabi - mantenendo i profughi palestinesi in miseria mentre l’Occidente accettava quelli ebrei – abbiano usato i palestinesi come pedine per rinfocolare i sentimenti anti-israeliani. Per quanto vero, questo fa sembrare tutto ciò come poco più che uno sforzo per ridurre il costo per Israele di un accordo di pace. Di certo, i palestinesi la vedranno come una maniera per eliminare ogni compensazione che potrebbero ottenere. E ai critici ebrei della campagna sembrerà solo un tentativo per far deragliare il processo di pace. “Dire che esiste un probema profughi ebrei equivale a negare il successo di Israele come rifugio per tutti gli ebrei che desiderino viverci”, dice M.J. Rosenberg dell’Israel Policy Forum, un think-tank pacifista di Washington.

Rosenberg è ottimista sul fatto che la risoluzione, essendo non vincolante, “sparirà dalla vista”. Le compensazioni per gli ebrei arabi non costituiscono un argomento caldo in Israele, dove la stampa ha per lo più ignorato il voto del Congresso, sebbene un gruppo di israeliani di spicco abbia avviato una campagna per pubblicizzare la questione. Per il momento il governo sta evitando la questione, per timore di mettere in pericolo i fragili negoziati in corso con la leadership palestinese. In ogni caso, la questione compensazioni dovrà essere risolta non con i palestinesi ma con i paesi arabi in cui gli ebrei vivevano; fino ad ora, Israele non lo ha chiesto a paesi come l’Egitto e il Marocco, con i quali ha relazioni diplomatiche di lunga data.

Ma resta il fatto che una risoluzione di dubbio valore anche per il governo israeliano, ignorata dalla politica estera Usa, approvata con il supporto bipartisan, mostri ancora una volta il potere della lobby pro-Israele a Washington. I critici della lobby spesso si lamentano dicendo che essa non rappresenta Israele, ma la destra israeliana. Questo mese un gruppo lobbistico israeliano più spostato a sinistra ha messo in dubbio che il “J-Street Project” debba essere lanciato, sulla premessa che il generoso sostegno agli esponenti della linea dura israeliana, che esacerba il confronto col mondo arabo, non costituisce al momento il migliore interesse di Israele. Resta da vedere se sia possibile affievolire l’influenza sul Congresso Usa della lobby attuale.

(Traduzione di Carlo M. Miele per Osservatorio Iraq)