L'alternativa mediterranea di Franco Cassano e Danilo Zolo
di Francesca Borri - 31/05/2008
A cura di Franco Cassano e Danilo Zolo, Feltrinelli 2007 |
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Nelle sue lezioni americane, Italo Calvino avrebbe voluto parlare della leggerezza. Perché osservava il movimentato spettacolo del mondo, e cercava un'agilità di scrittura che sapesse raccontarlo, e così, scattante, dinamico riconsegnarlo: ma a volte quasi gli sembrava che tutto stesse diventando pietra, e niente più sfuggisse all’inesorabilità di sguardo della Medusa: e l’unico capace di tagliare la testa della Medusa era stato Perseo, di riflesso attraverso l’immagine nello scudo di bronzo - in un rifiuto della visione diretta, ma non della realtà del mondo in cui gli era toccato vivere, Perseo che con i suoi sandali alati volava in un altro spazio, e ma mai verso il sogno, semplicemente leggero verso altri approcci altre pratiche, altri metodi di conoscenza e azione. La leggerezza - perché l’alternativa mediterranea, “il tentativo di resistere alla deriva fondamentalista degli opposti monoteismi dell’imperialismo occidentale e dell’integralismo islamico”, non è altro che questo: e contro ogni esodo dalla politica, un’Europa dalle idee coniugate alla prima persona plurale, capace di riprendersi la dignità di soggetto, non più oggetto del pensiero. ![]() Un Mediterraneo che ha attraversato il colonialismo, le guerre mondiali il bipolarismo, l’incendio arabo-israeliano, il muro di Berlino l’Undici Settembre - e ogni volta più ostaggio di scelte e narrazioni altrui. Fino a truccarsi oggi europeo con l’innesco del Processo di Barcellona - preteso partenariato euro-mediterraneo, ma saldo invece al guinzaglio del new world order statunitense: un’iniziativa asimmetrica, con capitale Bruxelles, e i paesi arabi confinati alla ratifica e all’esecuzione. Perché dei suoi tre pilastri, del dialogo politico non rimane in controluce che una Nato rovesciata da apparato difensivo a strumento offensivo, per una stabilizzazione egemonica del mondo a guida americana attraverso l’ariete di valori presunti universali e la retorica di una sicurezza sempre più larga e vaga. E la cooperazione economica, poi, che non si traduce che in accordi di associazione tra il blocco dell’Unione Europea e singoli ‘partner’ dalla forza contrattuale minima, per una zona di libero scambio che tutela illeso il nostro protezionismo agricolo e travolge invece equilibri di piccole imprese familiari. E infine lo scambio culturale - ma all’ombra del principio di condizionalità: il sostegno finanziario, ovvero l’ortopedia dell’aggiustamento strutturale, è accuratamente legato all’adesione al nostro verbo di convivenza e sviluppo. In una relazione, allarga Ali El Kenz, che è in realtà triangolare e che include invisibili gli Stati Uniti, esprimendo insieme la nostra potenza economica rispetto ai vicini del sud e la nostra debolezza politica rispetto al Washington consensus. Se solo il 2% dei nostri investimenti va verso il Mediterraneo, l’interesse primario non è evidentemente economico: decisiva è invece la posizione strategica dei paesi arabi. Nessuna regionalizzazione - solo progetti nord-sud nell’ambito e a beneficio della globalizzazione, sigilla Samir Amin, con una nuova ripartizione del vecchio white man’s burden: il Broader Middle East americano a presidio del petrolio del Mashreq, il Processo di Barcellona a museruola dei migranti del Maghreb. ![]() In questo senso “l’epistemologia del Mediterraneo è la sapienza del confine”: perché un luogo di mezzo sa interrogarsi sulla relazione. “Il fondamentalismo non è l’espressione necessaria dell’essenza di una cultura islamica incompatibile con la modernità, ma l’effetto della relazione profondamente asimmetrica tra l’occidente e il mondo arabo”. La proposta mediterranea è dunque l’ibridazione, ancora, ma questa volta senza dimenticare il differenziale di potere tra le culture: perché “le culture non sono folklore, e il pluralismo non è la tolleranza degli altri che sono più o meno esotici ma non hanno potere”, graffia Raimon Panikkar. E’ qui la fragilità del Processo di Barcellona, centrato sulla parola d’ordine della “istituzionalizzazione del dialogo”: tutto svapora nella moltiplicazione di reti e incontri, “con il mare nostrum dei poeti chiamato a fornire una legittimazione storica e sociale”. ![]() La strada è un’Europa europea, meno atlantica e meno occidentale. La nozione di emisfero occidentale nacque in fondo ai tempi della Dottrina Monroe proprio in opposizione alla “vecchia Europa”: perché l’occidente non è oggi uno solo, è l’occidente mediterraneo ma anche l’occidente atlantico, l’occidente della misura ma anche l’occidente oceanico, senza confini. E’ “l’occidente contro se stesso”, che in nome di imprecisati interessi vitali istituisce uno stato di eccezione permanente, e distrugge i suoi stessi valori nel tentativo di esportarli ovunque. Il Mediterraneo allora, “riserva morale dell’occidente, bacino ecologico del suo umanesimo” - perché “a leggerlo in profondità, si scopre che non parla solo di un piccolo segmento del pianeta, ma dei problemi che il mondo deve affrontare se vuole sottrarsi all’unico verbo della competizione, attraverso una dialettica più complessa dell’espansione lineare dell’evangelizzazione”. |