Il «cervo di padre David», una specie scampata di misura all'estinzione
di Francesco Lamendola - 19/06/2008
Quella del cervo di padre David o Milù (Elaphurus davidianus) è una classica vicenda in cui l'essere umano, per usare l'espressione del naturalista ed ecologo Jean Dorst, si è messo contro la natura, portando una intera specie di mammiferi artiodattili sull'orlo estremo dell'estinzione. E tuttavia è anche una storia a lieto fine - un lieto fine relativo, peraltro - proprio ad opera dell'uomo stesso che, resosi conto delle conseguenze dei suoi atti, ha cercato di correre ai ripari ed è riuscito a scongiurare l'estrema minaccia, sia pure al prezzo di confinare i pochi esemplari sopravvissuti di quel cervide in una condizione di semi-cattività, trasportandoli in Europa, lontanissimo dal loro ambiente originario.
Un tempo il cervo di padre David era diffuso in una vasta fascia dell'Asia orientale, non si sa bene quale. Secondo lo Smolik, essa andava dalla Manciuria alla Cina settentrionale, alla Mongolia meridionale; secondo altri, trattandosi di un animale di palude, doveva essere originario delle zone acquitrinose sub-tropicali, cosa che si adatta più alla Cina meridionale che alle regioni summenzionate. In ogni caso, esso fu sterminato dall'uomo, non si sa bene quando, al più tardi entro la metà del XIX secolo.
Un'ultima mandria di circa 120 esemplari sopravvisse, quasi miracolosamente, nel grande parco imperiale di animali selvatici, che i sovrani cinesi avevano creato a poca distanza da Pechino, nella località di Na-Hai-Tzu. Si trattava di un parco privato sorvegliatissimo, al quale nessun estraneo aveva il diritto di avvicinarsi e, tanto meno, di cacciare, pena la morte; un corpo di guardie tartare ne sorvegliava le mura, impedendo l'accesso a chiunque.
Se il missionario e naturalista francese Armand David non ne avesse sentito parlare e se, sfidando il pericolo, non si fosse spinto fin lì, riuscendo a scorgere la mandria e rendendosi conto che doveva trattarsi di una specie relitta, oggi nulla sapremmo di questo particolare cervide o, tutt'al più, ci troveremmo a rimpiangere l'ennesima estinzione causata dall'uomo, per una volta non provocata direttamente dagli occidentali né dagli effetti della rivoluzione industriale.
Come padre David, eludendo la sorveglianza delle sentinelle tartare, individuò lo strano animale; come fece intervenire il proprio ambasciatore a Pechino, per ottenere che un paio di animali venissero donati al governo francese e spediti a Parigi (ove, purtroppo, non giunsero vivi); come altri governi europei formulassero analoghe richieste, ottenendo il trasferimento di diversi capi nei giardini zoologici del nostro continente: tutto questo è stato raccontato, con dovizia di particolari, dal naturalista Giuseppe Scortecci, come più avanti riporteremo. Adogni modo, nel 1866 il celebre naturalista Milne-Edwards poté annunciare al mondo, nel 1866, la scoperta di una nuova specie animale vivente: l'Elaphurus davidianus, così denominato in onore del missionario che ne aveva permesso il riconoscimento scientifico.
Bisogna dire, comunque, che l'interessamento degli scienziati e dei governi occidentali si rivelò provvidenziale, perché nel 1985 si verificò una disastrosa esondazione del fiume Hun-Ho, che distrusse il muro del parco e inondò la riserva degli animali selvatici. Molti cervi annegarono, trascinati via dalla corrente impetuosa; altri fuggirono e vennero uccisi dalla popolazione cinese che, a causa degli allagamenti, soffriva crudelmente la fame. Solo 30 cervi sopravvissero a questa catastrofe; e anch'essi vennero travolti, appena cinque anni dopo, dai disordini provocati dalla sollevazione dei Boxers e dall'intervento armato delle potenze europee, degli Stati Uniti e del Giappone, i cui eserciti giunsero ad occupare la stessa Pechino. In quella occasione, altri 18 esemplari presero la via dell'Inghilterra - non come un grazioso dono della corte mancese, questa volta, ma come bottino di guerra ; gli altri vennero uccisi.
Sicché, all'alba del XX secolo, la grande mandria del parco imperiale di Na-Hai-Tzu era lettralmente scomparsa dalla faccia della terra; e l'intera specie sarebbe sparita per sempre, se un certo numero di animali non si fosse acclimatato in varie località d'Europa.
Ma non era ancora finita.
Anche nei giardini zoologici di Parigi, Londra e Berlino, purtroppo, i cervi importati in numero troppo piccolo non sopravvissero; sicché, a un certo punto, i naturalisti si resero conto, con raccapriccio, che nessun esemplare era ancora in vita. Fu, quello, un momento veramente critico: sembrava che tutti gli sforzi fatti dall'uomo - prima dal governo imperiale cinese, poi dai governi e dalle istituzioni scientifiche occidentali - non fossero approdati a nulla, e che i disperati sforzi per strappare quella specie al suo fatale destino di estinzione fossero risultati vani. Ma fu un naturalista privato che, in quel frangente, scongiurò il peggio, riuscendo là dove le istituzioni scientifiche governative avevano fallito.
Scrive il naturalista tedesco Hans-Wilhelm Smolik, nella sua Enciclopedia illustrata degli animali (titolo originale: Das Grosse Illustrierte Tierbuch, 19601970; traduzione italiana della casa Editrice Feltrinelli, Milano, 1972, 1982, p. 195):
…Ma alcuni zoologi dovettero constatare che anche nei giardini zoologici europei non c'era più nessun cervo di David. Si era tralasciata l'occasione di creare mandrie di allevamento più grandi, gli animali erano stati sparpagliati in numerosi zoo ed erano stati lasciati là ad invecchiare. Sembrava che il cervo di padre David fosse del tutto perduto per il mondo.
A questo punto, il Duca di Bedford dichiarò che gli era riuscito di allevare una bella mandria di 70 capi dai suoi 18 piccoli di cervo. Grazie a questa mandria che il Duca e suo figlio hanno continuato ad allevare anche durante la prima e seconda guerra mondiale e che oggi ammonta a circa 300 esemplari, i giardini zoologici non sono più privi di cervi di padre David.
Ma in che cosa consiste, esattamente, la particolarità di questo singolare cervide, dal punto di vista anatomico?
Non appena Arnand David lo vide, per la prima volta, spiando dall'alto delle mura - a suo rischio e pericolo - il branco che pascolava nella grande riserva imperiale, il missionario si rese subito conto che si trattava di un esemplare speciale, diverso da ogni altra specie di cervo fino ad allora conosciuta.
Lungo dai 2 metri ai 2 metri e 20 centimetri, più circa 60 cm. di coda; alto alla spalla 1 metro e 20- 1 metro e 30 centimetri; pesante, nel caso di un maschio adulto, da 150 a 200 chili; dotato di corna grandi e forti, simili a quelle della renna, che si diramano, biforcandosi, all'indietro; con un mantello assai velloso, di colore grigio-rossastro nella parte superiore e bianco-giallastro in quella inferiore, soggetto a caratteristiche variazioni stagionali: il cervo di padre David, in un primo momento, venne scambiato dal suo scopritore per una renna. Le corna, specialmente, ricordano molto quelle di una renna. Tuttavia, numerosi altri particolari come la testa pesante, tenuta generalmente bassa; gli zoccoli notevolmente grandi e robusti; gli orecchi da capra; la lunga coda simile a quella dell'asino; l'estrema vellosità del mantello: tutto questo forma uno strano miscuglio di caratteri diversi, che era già stato notato dai cinesi e che gli era valso un particolare appellativo che ne evidenziava la stranezza. Era chiamato, infatti, l'animale dalle quattro diversità: perché le sue corna erano simili a quelle di un cervo (o di una renna), il collo, piuttosto lungo, richiamava quello di un cammello; le zampe parevano quelle di una mucca e la coda, quella di un asino.
Un cervo di padre David può vivere fino a 23 anni; la gestazione dura nove mesi e la femmina dà alla luce uno o due piccoli (dal mantello maculato) che si sviluppano e divengono adulti entro 14 mesi dalla nascita.
Ed ecco come il prof. Giuseppe Scortecci, direttore dell'Istituto di Zoologia dell'Università di Genova, riepiloga le fasi principali della scoperta di questo insolito mammifero, nella sua preziosa enciclopedia Animali (Edizioni Labor, 1953; 1956, vol. 1, pp. 289-291):
Padre Armand David, un missionario francese che viaggiò a lungo nella Cina durante lo scorso secolo [ossia il XIX, n. b.], compiendo tra l'altro interessantissime osservazioni nel campo della Zoologia, si trovava nel 1865 nella capitale del Celeste Impero. E là egli udì narrare cose addirittura meravigliose intorno al grande Parco imperiale di Na-Hai-Tzu, a poca distanza da Pechino. Vi cresceva una bellissima vegetazione e in mezzo ad essa si aggiravano molti animali di varia specie: ma l'occhio dei comuni mortali, e tanto meno dei comuni mortali di razza bianca, non poteva contemplare nulla di quanto stava nel parco, circondato da mura e vigilato da soldati mongoli ferocissimi, pronti a mettere a morte chiunque avesse osato avvicinarsi.
Ma per padre David il pericolo non costituiva un ostacolo, piuttosto un'esca attraentissima, per cui egli se ne andò solo soletto verso Na-Hai-Tzu e, eludendo la sorveglianza dei mongoli, si inerpicò sulle mura; dall'alto poté dare un'occhiata al parco. V'erano molti animali là dentro, e tra questi un branco di oltre cento cervi, i quali presentavano tali caratteri da destare alta meraviglia. Si trattava di una specie che, molto probabilmente, non era conosciuta dalla scienza. Padre David, entusiasmato, abbandonò il suo osservatorio e, tornato a Pechino, domanda a tutte le persone di sua conoscenza se sapevano dell'esistenza nel parco di un grande branco di cervi. L'esistenza del branco era nota, ma era anche ben noto che se qualcuno avesse osato catturare uno dei suoi componenti sarebbe senz'altro stato condannato a morte. Un editto imperiale parlava molto chiaro al proposito; ed era molto bene quindi che padre David non si occupasse più dei cervi. Egli continuò invece a chiedere informazioni, e venne a sapere che effettivamente i guardiani mongoli erano severissimi, feroci; ma siccome le loro paghe non erano alte e grande, invece, l'appetito, uccidevano di tanto in tanto qualche cervo e ne mangiavano le carni. Ne distruggevamo poi accuratamente le pelli e, ma solo di rado, conservavano le gradi corna per venderle ai mercanti, i quali a loro volta, le cedevano ad artigiani che le usavano per preparare eleganti statuette. Padre David venne anche a sapere da ulteriori informazioni che i famosi cervi venivano, dalla gente locale, chiamati Sae-pu-hsiang, cioè cervi dalle quattro dissomiglianze, perché non avevano relazioni di forma con gli altri cervi, e neppure con le capre, con gli asini e coi buoi. Trascorsero mesi e mesi di tentativi infruttuosi, infine il tenacissimo sacerdote, nel gennaio del 1866, poté ottenere due pelli di Sae-pu-hsiang in buono stato.
Poco tempo dopo, la legazione francese di Pechino, grazie ai buoni uffici del ministro imperiale Hen Tchi, ebbe in dono due cervi vivi. I due animali, subito spediti a Parigi, non sopportarono le gravissime fatiche del viaggio, mq le loro spoglie, in discreto stato di conservazione, giunsero nella capitale francese, dove il grande naturalista H. Milne-Edwards le studiò, riconoscendo che padre David aveva visto giusto. Si trattava effettivamente di una nuova specie di cervo, la quale venne denominata Elaphurus davidianus in onore del sacerdote che aveva per primo scoperto l'interessante animale.
Questi cervi erano altri alla spalla poco più di un metro e venti, quindi all'incirca quanto un cervo rosso comune, ma presentavano non pochi caratteri peculiarissimi. Portavano la testa bassa come i vitelli, avevano la coda insolitamente lunga e riccamente fornita di crini, presentavano nella parte superiore del collo e lungo la gola una piccola criniera e avevano grandi zoccoli. Più caratteristiche ancora erano le corna di notevole grandezza. Il rampo principale si divideva a poca altezza dal capo in due parti, una delle quali si dirigeva all'indietro quasi parallelamente al dorso; l'altra, quasi sulla stessa linea del ramo principale, si divideva a sua volta in due, formando una sorta di forcella. La loro pelliccia, maculata nei giovani, diveniva uniforme negli adulti e presentava nelle parti superiori una tinta grigio-rossastra, mentre nelle inferiori era di color bianco sporco. Nel periodo invernale il mantello assumeva sul dorso un colore grigio-rosso.
Lo stranissimo cervo, il cui nome comune in Cina era Milu, più che Sae-pu-hsiang, destò molta attenzione nel mondo dei naturalisti, e i rappresentanti a Pechino di varie nazioni europee furono incaricati di chiederne degli esemplari. Così nel 1869 due cervi vivi furono portati a Londra e presentati alla Reale Società Zoologica, e nel 1883 la medesima società ne acquistò altri due. Uno giunse anche a Berlino. Il duca di Bedford, zoologo appassionato, fece tutto il possibile per comprare per il suo parco di Woburn Abbey quanti più Cervi di padre David poté. E per buona sorte vi riuscì.
Pochissimo tempo dopo, mentre in Europa ci si appassionava agli strani cervi, in Cina avvenivano fatti che dovevano riuscire nefasti alla specie. Nel 1895 il fiume Hun Hoo crebbe paurosamente di livello e, dopo aver straripato, devastò una vasta zona, determinando la morte di molte persone e l'abbattimento delle mura del parco imperiale, dal quale parecchi animali fuggirono e furono ben presto uccisi e divorati dalla popolazione che la spaventosa inondazione aveva ridotto alla più spaventosa miseria ed alla fame. Pochissimi Milu rimasero nel parco invaso dalle acque, sfuggendo in tal modo alla morte. Cinque anni dopo, quando in seguito alla rivolta dei Boxers quasi tutte le nazioni europee e gli Stati Uniti d'America mandarono truppe in Cina, il parco famoso subì la sorte di molti altri monumenti del Celeste Impero: fu invaso, devastato e tutti i cervi di David, salvo uno, furono uccisi e arrostiti. L'unico sopravvissuto alla strage, una femmina, visse a Pechino sino al 1920. Quando la notizia della devastazione del parco imperiale giunse in Europa, molti pensarono che non dovesse essere molto difficile trovare cervi davidiani in altre zone della Cina; nessuno riteneva ammissibile infatti che la specie fosse rappresentata dai soli esemplari ospiti del parco. Ma per quanto si facessero ricerche accurate, nessuno a catturare uno solo di tali animali o ad avere notizie sicure della loro esistenza.
Bisognò dunque ammettere che i gli esemplari del parco imperiale fossero i soli superstiti e che, fatto veramente assai strano, mentre nella patria d'origine la specie era distrutta, sopravviveva con un certo numero di individui a molte migliaia di chilometri di distanza, cioè in Europa. La maggior parte ormai di questi preziosi animali era addensata nella Woburn Abbey, di proprietà del duca di Bedford, Cure attentissime furono rivolte ai preziosi animali, che a metà del 1949 si erano largamente riprodotti e formavano un banco di quasi duecentocinquanta capi. Essendo ormai assicurata la sorte della specie, fu possibile rifornire vari giardini zoologici. Sette capi furono mandato alla Società zoologica di Londra, dove ben presto divennero otto; quattro vennero mandati al Giardino zoologico di New York e anche qui in poco tempo divennero cinque e si mantennero in ottima salute, come ebbi agio di constatare nel 1951. Quattro venero dati al Parco di Taragona, presso Sydney in Australia e quattro andarono ad arricchire il Parco zoologico di Monaco dal quale il duca di Bedford ebbe in cambio rappresentanti di un'altra specie quasi estinti: il cavallo di Przewalski.
Recentemente, il cervo di padre David ha fatto ritorno nella sua terra d'origine e, come era giusto, ha ripopolato i luoghi che ne videro anticamente la presenza.
Nel 1986, infatti, una mandria di 39 esemplari è stata reintrodotta in Cina ed è andata a popolare la riserva di Daleng, dove si è bene acclimatata, visto che il numero complessivo dei capi viventi nel paese asiatico è salito oggi, a circa vent'anni di stanza, a 500. E, poiché gli esemplari censiti in Europa - non solo nella tenuta del duca di Bedford, ma anche presso vari giardini zoologici - sono arrivati a circa 1.500, risulta che attualmente esistono al mondo qualcosa come 2.000 cervi di padre David.
È un bel progresso, se si pensa che, all'inizio del Novecento, la specie sembrava irrimediabilmente condannata; ma il rischio di estinzione, in realtà, perdura anche adesso, solo che la capacità di adattamento e di riproduzione di questo tenace animale lascia sperare che, alla fine, la sua battaglia per la sopravvivenza verrà coronata dal successo.
Per intanto, non ci resta altro fare che aspettare e sperare.