Giancarlo Galli ripercorre gli intrecci – molto spesso incestuosi – fra «politica, economia e finanza in Italia fino al grande crac». Un'impietosa analisi della nostra classe dirigente, adeguata solo a... Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.
(WSI) – Fu lord James Harold Wilson, economista a Oxford e deputato del Partito laburista, a coniare negli anni Cinquanta, con un pizzico d’invidia, l’espressione « gli gnomi di Zurigo» . La Svizzera stava diventando il reame della finanza mondiale e i suoi ' gnomi', i banchieri, gli indiscussi principi. Con la stessa vis polemica del lord inglese Giancarlo Galli compie, nel suo ultimo libro, in uscita il 6 novembre da Garzanti, un viaggio "Nella giungla degli gnomi" italiani. Ripercorrendo gl’intrecci – talvolta incestuosi – fra « politica, economia e finanza dall’era Fazio al grande crac».
Il terremoto che sta sconquassando le Borse di tutto il mondo, del resto, ha impietosamente messo a nudo la fragilità del sistema finanziario globale. Anche se gli ' gnomi', fino a ieri, ne decantavano le magnifiche sorti e progressive. Che cos’hanno fatto in questi anni – si chiede Galli – i protagonisti della nostra finanza? Come hanno reagito ai campanelli d’allarme che vanno dal crac Parmalat ai ' furbetti del quartierino'? La risposta arriva dopo un caleidoscopio di incontri e confidenze, suggestioni, nomi, date, incursioni dietro le quinte del sistema bancario nazionale. Ed è una risposta amara: spesso hanno reagito cambiando semplicemente poltrona.
Il grande crac ha sconvolto la finanza mondiale. Sono crollati colossi bancari del calibro di Lehman Brothers e Bearn Stearns. Anche un’istituzione europea come la svizzera Ubs ha rischiato grosso. Non le sembra che, tutto sommato, le banche italiane abbiano dimostrato di reggere l’urto meglio di altre?
«In apparenza, temo. Andando a guardare le quotazioni in Borsa, le nostre banche non hanno subito meno danni. La differenza sta nei tempi: altri istituti europei e americani hanno ammesso subito di essere ' intossicati', pagando immediatamente il conto. Le banche italiane hanno cercato invece di metterci dei coperchi. Ma le grane, a poco a poco, sono saltate fuori».
L’Italia era una « Repubblica fondata sulle banche » in cui pochi protagonisti gestivano una ricchezza immensa. Ora quella ricchezza ha subito una poderosa tosatura…
«È questo, probabilmente, l’aspetto più drammatico di quello che stiamo vivendo: le banche, in Italia, erano padrone di quasi tutto, godevano di un patrimonio di fiducia per lo più illimitato. Speriamo che non sia finito alle ortiche. Bastano pochi banchieri, pur mossi dalle migliori intenzioni, a dissiparlo».
Lei individua nel 19 dicembre 2005, giorno in cui l’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio rassegnò le dimissioni, una sorta di spartiacque: perché?
«Perché ha rappresentato l’incarnazione della ' grande illusione' di una svolta etica per la finanza e poi della ' grande delusione'. Finendo per generare, in buona o cattiva fede, poco importa, non ' gnomi' ma ' nani'. A differenza di quanto accaduto nel resto del mondo, nel settore bancario italiano non c’è stato un vero ricambio generazionale ma, senza cattiva fede, un cambio di posizioni. Così, arrivata la burrasca, la fiducia dei risparmiatori è crollata».
«Rivoltatela come più vi pare – scriveva Brecht nell’ « Opera da tre soldi»: prima viene lo stomaco poi la morale » . Chi ha ucciso l’etica nella finanza?
«L’ingordigia di potere».
E la fiducia? «È stato un effetto collaterale».
Non si salva nessuno?
«Certamente le banche che sono rimaste legate al territorio. Che hanno continuato a prestare denaro in cambio di un interesse equo, evitando di utilizzare leve finanziarie sproporzionate. E conservando, in molte zone d’Italia, la sana trasparenza contadina senza cedere alle lusinghe di operazioni sofisticate. Anche dell’altro, ma non molto».
Il sistema del credito rischia davvero un tracollo?
«Non un tracollo ma una profonda ristrutturazione. Che anche in Italia, come altrove, guarda indietro. L’Iri nacque nel 1933 per salvare soprattutto le banche in dissesto. Quel salvataggio si concluse negli anni Cinquanta, quando Enrico Cuccia si batté per portare in Borsa Mediobanca, anch’essa nell’alveo dell’Iri. Iniziò allora, seppur con grande lentezza, la fase delle privatizzazioni. Ebbene, quella fase è finita. Nessuno fallirà, ma lo Stato tornerà a contare. Non a caso, all’ultima assemblea di Mediobanca, il presidente Cesare Geronzi ha definito l’istituto ' perno del sistema'».
Prosegue, sovente sui media, l’ottocentesca contrapposizione tra ' finanza bianca' e una non meglio precisata ' finanza laica'. Quello che lei definisce un « balletto oligarchico del quale gli italiani comprendono sempre meno, sebbene fra un giro di valzer e il successivo siano sempre loro a pagare il conto dello champagne». Una bocciatura della finanza tout court?
«Anche quella che si è definita ' finanza bianca' ha perso l’occasione negli ultimi anni di far emergere adeguatamente la sua diversità, di indicare con la forza dovuta un modo diverso di condurre l’attività bancaria. Ed è effettivamente difficile per lo sguardo dell’uomo comune, osservando quanto accaduto al sistema bancario negli ultimi mesi, trovare delle significative differenze. Quelle differenze sulle quali insisteva ad esempio molto, troppo poco ascoltato, un banchiere come Giuseppe Camadini».
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