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Un monaco vissuto nel V secolo in Irlanda in cerca della “Terra promessa dei santi”

di Elena Percivaldi - 08/01/2009

Un monaco vissuto nel V secolo in Irlanda si imbarca con quattordici compagni su una nave fatta di legno e di pelli, salpa sull’Oceano abbandonandosi alle onde e, dopo varie peripezie vissute durante un viaggio di sette anni, giunge finalmente alla meta, quella “Terra promessa dei santi” la cui esistenza un abate suo parente gli aveva preconizzato. Ammiratene le meraviglie e compresi i segreti, torna in patria e, dopo qualche tempo, muore. Raccontata così, in estrema sintesi, è difficile comprendere come e perché la Navigatio Sancti Brendani, breve testo anonimo composto in latino in una qualche oscura abbazia europea tra il IX e il X secolo, abbia esercitato un fascino enorme su tutta la cultura occidentale, come dimostrano i numerosi adattamenti, volgarizzazioni, citazioni e suggestioni, ma anche le imprese ad essa ispirate. Invece il testo ha la forza del classico proprio perché, al di là dell’apparente ingenuità della trama, tocca situazioni, desideri, aspirazioni che caratterizzano da sempre, in tutte le epoche e in tutte le culture, l’essenza stessa dell’uomo. Il rapporto con il divino, con la natura, con il mistero. Ma anche il tentativo di dominare le avversità, di conoscere, di andare oltre.

Molto poco si sa del Brandano storico, a cominciare dalle date precise di nascita e di morte. Non esistono infatti documenti diretti, e gli unici accenni antichi, presenti negli annali e nelle genealogie irlandesi, recano date discordanti tra loro anche di qualche anno. Le fonti principali e più antiche per la conoscenza della vita e delle opere del santo sono pertanto la biografia di carattere agiografico pervenuta in sette versioni composte in lingua latina (Vita Brendani) e antico irlandese (Betha Brénnainn), e la Navigatio Sancti Brendani. Sia la Vita/Betha che la Navigatio, tuttavia, sono resoconti largamente romanzati, di buon livello letterario ma di ben scarso valore documentario.

Brandano, o Brendano, nacque intorno al 484 a Fenit, nei pressi di Tralee nel Kerry (Irlanda meridionale), e fu battezzato a Tubrid, nei pressi di Ardfert, da sant’Erc, che più tardi lo educò insieme a san Jarlath di Tuam e lo ordinò sacerdote. A partire dal 512 fondò vari monasteri tra cui quelli di Ardfert, Annaghdown, Inishadroum, Clonfert e Shanakee. Da lì, secondo la leggenda, partì per il viaggio di sette anni alla ricerca della Terra repromissionis sanctorum, narrato nella Navigatio. Tornato in patria, avrebbe scritto un libro (di cui non esiste traccia) intitolato De Fortunatis Insulis. Morì in età molto avanzata – pare intorno al 575, quindi ultranovantenne - ad Annaghdown. Oggi è sepolto a Clonfert. Il suo culto è diffuso sia in Occidente (il Martyrologium romanum lo celebra il 16 maggio) sia nell’Oriente ortodosso (festa il 15 maggio). E anche in Italia: secondo quanto riportato nel Liber notitiae Sanctorum Mediolani da Goffredo da Bussero, a Briosco, in Brianza, esisteva nel Medioevo un altare dedicato a san Brandano, probabilmente eretto in età longobarda da qualche missionario irlandese di passaggio da o per Bobbio, dove l’irlandese san Colombano nel 614 aveva fondato, su un terreno donato dalla regina longobarda Teodolinda e dal suo consorte Agilulfo, un importante monastero.

Fin qui il personaggio storico. Viste molte sue caratteristiche, è però evidente il legame tra la sua figura e il substrato culturale celtico, a cominciare dal nome. Brendanus infatti è la forma latinizzata di Brénnain, che richiama la divinità Bran e l’eroe Bran Mac Febal, protagonista dell’omonimo Immram, cioè racconto di viaggio. Di lui si dice che è figlio di Finnlug, o Find Loga, cioè di Find di Lug (Luga è genitivo): l’ascendenza con la nota divinità celtica è evidente.

Più che come fondatore di monasteri e santo, Brandano passò al mito come avventuriero e scopritore, al punto che decine di luoghi (Brandon Hill, Brandon Point, Brandon Bay, Mount Brandan, ecc.) ricordano ancora oggi la sua impresa più famosa che fu narrata nella Navigatio che porta il suo nome. La sua figura, da questo punto di vista, offre numerosi livelli di lettura e interpretazione. La si può infatti intendere, semplicemente, come quella di un monaco irlandese che, in armonia con lo spirito tipico del cristianesimo celtico, si abbandona alla Provvidenza divina, per una volta tuttavia non spinto dal solito zelo missionario ma dalla pura e umana curiosità di vedere in carne ed ossa, ancora vivente, il Paradiso. Oppure viceversa lo si può ammirare come una sorta di eroe temerario,  in questo molto moderno, che sfidando intrepido le forze della natura giunge, novello Ulisse spintosi oltre le colonne d’Ercole, a toccare i misteri della conoscenza. E in questo fa parte della lunga schiera composta da Gilgamesh, Faust, Gavain o Galahad, Perceval e da ultimo dall’Hans Castorp della Montagna Incantata di Thomas Mann. Molto più terra a terra, si può invece cogliere nella narrazione il puro e semplice resoconto, romanzato e poetico ma fondamentalmente realistico, del primo viaggio alla scoperta dell’America, quattro secoli prima di Erik il Rosso (se mai vi giunse) e addirittura dieci prima di Cristoforo Colombo. Tutto questo sullo sfondo del blu infinito dell’Oceano atlantico, in mezzo ad avventure sbalorditive, tappe su isole magiche, incontri con enormi mostri marini, dannati e selvaggi, scontri epocali tra belve mitologiche che sembrano uscite dalle pagine miniate di uno dei tanti manoscritti che venivano pazientemente prodotti negli scriptoria dei monasteri medievali. Di questo capolavoro presentiamo testo originale, traduzione e commento, oltre ad un’ampia introduzione.

   

Anonimo del X secolo

La Navigazione di San Brandano

A cura di Elena Percivaldi

Il Cerchio Iniziative Editoriali, Rimini, 2008, pp. 224, euro 19