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Katyn

di Mauro Corso - 02/03/2009

Fonte: leonardo

"Cannoni, artiglieria, li puoi sostituire. Ventimila ufficiali educati e addestrati non sono rimpiazzabili".


Katyn è uno dei nomi più difficili della storia polacca del novecento. E’ un bosco nell’attuale Bielorussia in cui furono massacrati dall’esercito sovietico dell’armata rossa più di 20.000 ufficiali polacchi. Questo assassinio di massa ebbe una serie di conseguenze a breve e a lungo termine che influenzarono la storia della Polonia fino ai giorni nostri. L’ordine di morte (firmato dal direttore dei servizi segreti russi Lavrentij Beria il 5 marzo 1940) aveva un scopo molto preciso: l’eliminazione dell’intellighenzia sovietica. Gli ufficiali polacchi erano l’elite intellettuale della Polonia a cavallo tra le due guerre: erano medici, ingegnieri, avvocati e professori. Erano in un certo senso gli eredi della vecchia nobiltà di sangue, le forze sulle quali si basava il presente e il futuro della Polonia. In questo i sovietici non furono diversi dai nazisti, che per esempio deportarono e uccisero tutti i professori dell’università Jagellonica di Cracovia (nell’ideologia nazista gli "schiavi polacchi" non dovevano avere accesso all’educazione superiore). Il rinvenimento da parte dei nazisti delle fosse comuni di Katyn nel 1943 di fatto provocò una spaccatura fra le forze di resistenza presenti in Polonia, una che rispondeva al governo della II Repubblica in esilio a Londra e la seconda che invece si riconosceva negli "amici sovietici" che pure avevano invaso il paese nel 1939. Dopo la nascita della Polonia socialista la parola Katyn divenne un taboo. Tutti sapevano di chi fosse stata la responsabilità ma nessuno poteva mettere in discussione la vulgata ufficiale che faceva ricadere la responsabilità di quelle morti sui tedeschi. Riporta Adam Michnik che i redattori dell’enciclopedia polacca piuttosto che mentire preferirono non inserire la voce "Katyn" nella loro opera. Segno di resistenza per sottrazione, un silenzio pesante come un macigno.

Andrzej Wajda, regista polacco tra i più prolifici e attivo fin dagli anni ’50, firma l’adattamento del romanzo Post Mortem di Andrzej Mularski anche per mettere a tacere alcuni fantasmi personali. Il padre fu ucciso probabilmente dalle truppe sovietiche (anche se non a Katyn) e sua madre dovette vivere a lungo sopportando il peso di quella menzogna ufficiale.

Katyn si può idealmente dividere in due parti: una parte ambientata durante la guerra e una seconda sezione che mostra le conseguenze civili e sociali della Katyn come strumento ideologico sovietico.
Wajda si richiama alla sua tradizione cinematografica con le sue numerose ascendenze al romanticismo polacco. Emblematica (e forse abbastanza trita) l’immagine del Cristo coperto dal cappotto dell’ufficiale. Durante l’800, secolo in cui scomparve dalle carte dell’Europa, la Polonia era nota come "Cristo delle nazioni", termine tornato ricorrente durante l’ultima spartizione russo-tedesca.

Al di là del destino degli ufficiali viene data grande rilevanza all’attesa e al destino di chi in quegli anni difficili attese vanamente a casa il ritorno dei propri cari e alle conseguenze del loro atteggiamento nei confronti della versione sovietica dei fatti.
Risulta a tratti troppo dura la colpevolizzazione di chi preferì accettare la versione ufficiale per continuare a vivere. Questa condanna è tra l’altro tuttaltro che innocua per la Polonia di oggi. Bisogna ricordare infatti che negli ultimi anni è stato avviato dai Kaczynski un processo di epurazione nei confronti di chi durante gli anni del comunismo poteva considerarsi anche vagamente colluso con il potere allora vigente (in Italia si è occupato con grande sottigliezza di tale questione Paolo Morawski). Non è un caso che l’allora Presidente Kaczynski abbia auspicato proiezioni scolastiche obbligatorie di questa pellicola. Lascia inoltre perplessi la caparbietà con cui vengono mostrate le morti degli ufficiali al termine di Katyn, esecuzioni che possono stare alla pari con lo Schindler’s list spielberghiano come crudezza di esposizione.

Katyn è comunque un lavoro impeccabile sia dal punto di vista della regia che dell’interpretazione, anche se un pò freddo e "a tesi" nell’esposizione. E’ comunque fondamentale che si parli di questa oscura pagina della storia recente, anche se è auspicabile che questo non diventi IL film su Katyn.