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Monsantoland. Il mondo secondo Marie-Monique Robin

di Laura Stefani - 30/05/2009

 
 
 
 
A Marie-Monique Robin di certo non piacciono gli argomenti comodi. Francese, 25 anni di giornalismo investigativo alle spalle e una resistenza fisica incrollabile, ha firmato libri, reportage e documentari, tra i quali Voleurs d’yeux (Ladri d’occhi) sul traffico di organi per cui ha vinto il prestigioso premio Albert London nel 1995 e Escadrons de la mort, l'école française, sui legami tra servizi segreti d’Oltralpe e dittature argentina e cilena, definito dal Senato francese “miglior documentario dell’anno” nel 2004.

Ma Marie-Monique Robin è anche figlia di contadini, e ci tiene a precisarlo, mentre spiega perché ha deciso di dedicare quattro anni della sua vita a investigare il leader mondiale dell’industria transgenica, ovvero Monsanto, a cui oggi appartiene il 90% degli Ogm – principalmente soia, mais, cotone, colza - coltivati nel mondo. «Mi sono sempre interessata di diritti umani e agricoltura e più recentemente ho iniziato a lavorare sui pericoli che corre la biodiversità: mai come in questo caso le tre questioni sono interconnesse».

Il risultato è Il mondo secondo Monsanto (Arianna Editrice), un libro-inchiesta che ripercorre la storia, denuncia strategie occulte e veri obiettivi della controversa multinazionale. Appena uscito in Italia dopo essere stato tradotto in tredici lingue (l’omonimo documentario su DVD è stato diffuso in 22 paesi), ha scatenato nel giro di un anno, data della sua prima pubblicazione in Francia, un grande dibattito internazionale, ma nessuna reazione ufficiale da parte del colosso biotech se si esclude la creazione di un blog che si limita a negare le tesi del libro: l’ennesimo - e involontario - riconoscimento di attendibilità e serietà del lavoro di Robin.

Nel libro lei dimostra come Monsanto, quando era una delle industrie chimiche più importanti del mondo, abbia deliberatamente mentito in molte occasioni soprattutto sulla tossicità dei suoi prodotti, dai PCB (policlorobifenili) alla diossina e all’agente Orange usato in Vietnam. Ora sta manipolando geneticamente semi che entrano nella nostra alimentazione. Possiamo fidarci?
Assolutamente no. Hanno mentito e continuano a mentire, nonostante sul loro sito si trovino frasi come “aiutiamo i contadini a produrre cibi più sani e che riducono l’impatto sull’ambiente”. In realtà, non c’è niente di vero, basta pensare alle sementi Roundup Ready (RR). La soia, ad esempio, primo Ogm a essere lanciato sul mercato e che rappresenta oggi il 90% di tutta la soia coltivata negli Usa, è stata manipolata per resistere a un potente erbicida a base di glifosato che si chiama Roundup ed è prodotto da Monsanto fin dagli anni Settanta (dal 1988 ne esiste anche la versione per orti e giardini familiari). La multinazionale ha sempre sostenuto che fosse un erbicida biodegradabile al 100% e inoffensivo per l’uomo come per l’ambiente. Peccato che sia stata condannata prima negli Usa e recentemente in Francia per pubblicità ingannevole. L’anno scorso è stato reso pubblico uno studio riservato di Monsanto in cui si sottolinea che solo il 2% del Roundup si decompone nella terra e solo dopo 28 giorni! Niente a che vedere con il concetto di biodegradabilità. Ma questa è una menzogna chiave, visto che il 70% degli Ogm coltivati attualmente nel mondo sono stati manipolati per poter essere spruzzati con il Roundup.

Il Roundup può incidere sulla salute?
È molto tossico e a lungo termine può provocare il cancro, come dimostro nel libro basandomi su alcuni studi scientifici, ma porta anche a sterilità, aborti, malformazioni genetiche. Interviene a livello endocrino, alterando il sistema riproduttivo femminile e maschile. Ho incontrato in Argentina persone che vivono molto vicino a enormi campi di soia, fumigati con aerei. Gli effetti immediati di un’intossicazione acuta sono dermatiti, infiammazioni agli occhi, vomito, difficoltà respiratorie. Pensare che il Roundup è l’erbicida più venduto nel mondo: l’unico paese a proibirlo è la Danimarca.

Qual è la posizione di Monsanto su possibili “effetti collaterali” degli Ogm?
Molto rassicurante. Secondo la multinazionale, la manipolazione genetica è stata studiata a fondo e non costituisce nessun rischio per la salute. Non è vero: non è stata mai investigata seriamente. Fino a oggi non si conoscono quali conseguenze provocheranno fra vent’anni gli Ogm sulla salute umana.

100 milioni di ettari coltivati con transgenico nel mondo. Il 70% dei cibi venduti nei negozi americani contengono organismi geneticamente modificati e non esiste nessuno studio scientifico serio. Come è possibile?
Per capire cosa è successo bisogna tornare alla vicenda della cosiddetta regolamentazione degli Ogm negli Stati Uniti, dove tutto è iniziato. La rivelazione centrale del mio libro riguarda il ruolo enorme giocato da Monsanto all’interno della Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia federale americana incaricata di verificare la sicurezza degli alimenti e dei farmaci da immettere sul mercato. Il meccanismo, molto diffuso negli Usa e ampiamente utilizzato da Monsanto, è quello delle revolving doors (porte girevoli) e rappresenta bene le collusioni tra lobby industriale e autorità politiche americane. Nel caso specifico, ho scoperto che il testo fondamentale del 1992 che regolamenta - o meglio, che non regolamenta - gli Ogm è stato redatto da Michael Taylor. Questo signore era un avvocato di Monsanto che entrò nella FDA giusto per occuparsi della questione e più tardi tornò a Monsanto come vicepresidente. Il testo firmato da Taylor si basa sul “principio di equivalenza sostanziale”, secondo cui un Ogm è grosso modo identico al suo omologo naturale, cioè alla pianta convenzionale. Quindi, non c’è necessità di sottoporlo a nessuno studio. Ecco il grande inganno, perché questo principio non si appoggia a nessun dato scientifico: è stata una decisione politica per favorire i grandi interessi delle multinazionali, come ammette candidamente in un’intervista James Maryanski (microbiologo, che lavorò per la FDA e poi passò ai vertici di Monsanto, ndr). Inoltre, anche volendo, nel ’92 non potevano esistere prove che supportassero questa tesi perché gli Ogm erano ancora in fase di creazione in laboratorio.

Ma come si è comportato il mondo scientifico in tutti questi anni?
Come è stato rivelato più tardi, allora molti scienziati e ricercatori della FDA si opposero al principio dell’equivalenza sostanziale e chiesero che venissero fatti degli studi per comprovarla. Ma furono tutti messi a tacere. E’ paradossale: fino a oggi, ogni volta che uno scienziato ha deciso di iniziare uno studio tossicologico serio sugli effetti degli Ogm ha perso regolarmente il suo posto di lavoro, come è il caso del biochimico Arpad Pusztai in Scozia o di Manuela Malatesta all’epoca in cui era ricercatrice all’Università di Urbino. È una costante di questa storia. E fa venire i brividi perché uno si domanda, che cosa mi succederà? Monsanto ha zittito studiosi, giornalisti e tutti coloro che hanno mosso critiche o avanzato denunce. Per questo affermo che esiste un problema reale con gli Ogm, altrimenti esisterebbero studi trasparenti e accessibili.

Altrettanto dibattuta è la questione del diritto di proprietà intellettuale sulle sementi. Qual è la strategia globale di Monsanto?
L’obiettivo è controllare tutta la catena alimentare attraverso lo strumento prezioso delle patenti e delle royalties, altrimenti Monsanto non si sarebbe mai lanciata in questo mercato. Da multinazionale chimica si è trasformata in prima industria produttrice di semi al mondo. È la numero uno dal 2005. Dal 1995 ha comprato più di 50 imprese di sementi distribuite in vari paesi. Ormai negli Usa, ma anche in India o in America del Sud, è quasi impossibile trovare un seme che non sia transgenico perché Monsanto prima ha comprato le maggiori industrie di semi e poi ha imposto i suoi semi brevettati. E’ un passaggio importantissimo: se un seme è protetto da un brevetto, il contadino che lo compra deve firmare un contratto in cui si impegna a non conservare una parte del raccolto per riseminarlo l’anno seguente, come invece ha sempre fatto. Adesso è obbligato ad acquistare nuovi semi e relativo pesticida Roundup ogni anno, potete indovinare da chi. Come spiega l’economista Peter Carstensen, professore all’Università di Madison in Wisconsin: “la multinazionale non vende più le sementi, ma le affitta per la durata di una stagione, rimanendo proprietaria per sempre dell’informazione genetica contenuta nel seme, che ormai ha perso lo status di organismo vivo per diventare semplice prodotto”. E il mercato dei semi è immenso: non dimentichiamoci che ogni cosa che mangiamo esiste perché un agricoltore ha piantato un seme nella terra.

Cosa succede a chi non rispetta il contratto?
«Monsanto ha un organismo di controllo chiamato “polizia dei geni”. È un’invenzione aberrante: sono agenzie investigative private che entrano nei campi prendono campioni di terra, chiedono agli agricoltori di mostrare le fatture relative all’acquisto di sementi ed erbicidi da Monsanto e, se non le trovano, li denunciano. La multinazionale ha sempre la meglio in tribunale, perché non rispettare il contratto è considerata una violazione del diritto di proprietà intellettuale di Monsanto. Che vince non solo quando un agricoltore ha conservato volontariamente una parte del raccolto, ma persino quando nel campo di un contadino che non coltiva transgenico, vengono trovati semi Ogm arrivati casualmente magari da uno confinante. E’ il caso di Hendrik Hartkamp, un olandese che comprò una fattoria in Oklahoma: denunciato e condannato a pagare una multa salatissima, che l’ha portato a vendere la sua proprietà. La tesi del giudice? Non importa come siano arrivati questi semi, l’agricoltore è responsabile per ciò che si trova nel suo campo. Quindi è colpevole. Incredibile.

Ma le sementi non dovrebbero essere “patrimonio dell’umanità”?
Lo erano. Questa follia è iniziata negli anni Ottanta con il concetto di privatizzazione della vita e degli esseri viventi. Tutto è cominciato quando un ingegnere della General Electric chiese un brevetto su un batterio che aveva manipolato geneticamente. Si rivolse all’Ufficio Brevetti di Washington, ma la sua richiesta fu respinta. Conformemente alle leggi, i batteri in quanto organismi vivi non si possono brevettare. Ricorse in appello e perse, appellò di nuovo e alla fine la Corte Suprema pronunciò una frase terribile: “può essere brevettato tutto quello che sta sotto il sole e che è stato toccato dall’uomo”. A partire da quel momento si è innescata una corsa inarrestabile, si sono concessi brevetti sopra geni, semi, piante. Per dare un’idea, attualmente, l’Ufficio Brevetti di Washington ne concede ogni anno più di 70.000, un 20% dei quali si riferisce a organismi viventi. Solo Monsanto dal 1983 al 2005 ha ottenuto 647 brevetti relativi a piante, quasi tutte presenti nel Sud del mondo.

Un’industria che brevetta specie selezionate dall’uomo nel corso dei secoli. Viene da pensare a una forma di biopirateria…
Certo e anche seguendo il loro ragionamente c’è qualcosa che non torna: Monsanto ha introdotto un gene, in questo caso il gene di resistenza al Roundup, ma nel contratto sostiene di essere proprietaria di tutta la pianta. E’ totalmente illogico, un disprezzo totale delle leggi, che non sono cambiate dagli anni Ottanta. Come può rivendicare la proprietà intellettuale sull’intera pianta quando ha introdotto un unico gene?.

All’inizio citava la biodiversità. Siamo entrati nella fase di rischio?
La contaminazione genetica sta provocando danni ovunque. L’esempio più chiaro è quello del Canada. Monsanto introdusse la colza transgenica Roundup Ready nel 1996. Oggi, a causa dell’impollinazione aperta, la colza convenzionale è in serio pericolo mentre è scomparsa completamente la colza biologica, tanto che gli agricoltori bio di Saskatchewan hanno intrapreso una class action (azione legale collettiva) contro Monsanto per chiedere un risarcimento. In Messico, il mais Roundup Ready sta minacciando le centinaia di varietà di mais criollo (solo nella regione di Oaxaca, centocinquanta) coltivate da 5000 anni, e considerate alimento base e pianta sacra da Maya e Aztechi. Il fenomeno è inarrestabile e sta portando a una riduzione netta della biodiversità. E la biodiversità è la condizione necessaria per la sicurezza alimentare.

Allora anche la sicurezza alimentare è a rischio, eppure uno dei cavalli di battaglia pro Ogm è la certezza di poter sconfiggere la fame nel mondo. Tra i vantaggi di queste sementi vengono sempre citati i costi contenuti e l’alto rendimento. È vero?
È una propaganda criminale e lo dico apertamente. In realtà, succede il contrario: gli Ogm portano alla fame. Se non alla morte, come accade in India, dove i movimenti contadini denunciano il “genocidio” provocato dall’introduzione del cotone transgenico Bt di Monsanto. Costa molto più caro, quattro volte più caro, di quello convenzionale e richiede lo stesso l’uso di pesticidi e fertilizzanti. I coltivatori indiani che passano al Bt si indebitano per comprare questi prodotti e quando il raccolto non corrisponde alle aspettative, si trovano in un vicolo cieco, strozzati dagli usurai. Non solo: è stato dimostrato che il rendimento di una pianta transgenica è sempre minore (in una percentuale tra il 5% e il 12%) a quello di una pianta convenzionale. L’idea di mettere fine alla fame nel mondo è stata inventata da Burson-Marsteller, la grande agenzia di comunicazione e pubbliche relazioni. Alla fine degli anni Novanta Monsanto navigava in cattive acque e aveva problemi su vari fronti, primo tra tutti, il rifiuto degli Ogm in Europa. Così contatta Burson-Marsteller, che studia una campagna pubblicitaria pro Ogm da diffondere principalmente in Francia, Germania e Inghilterra. Il messaggio nato allora e poi ripetuto nel corso degli anni? Grazie agli Ogm costruiremo un mondo migliore per tutti.

Ma una volta, nonostante la propaganda, è stata clamorosamente sconfitta.
Sì, nel 2004, riguardo all’introduzione del grano Roundup Ready negli Usa e in Canada. Per la prima volta nella storia rinunciò a immettere sul mercato un suo prodotto. Manipolando il cereale che occupa quasi il 20% delle coltivazioni nel mondo e che rappresenta l’ingrediente base nell’alimentazione di un essere umano su tre, Monsanto aveva toccato un simbolo culturale, economico e religioso, nato insieme all’agricoltura: il pane quotidiano. Mai si era spinta tanto. Inoltre, a livello economico, giocò un ruolo fondamentale l’opposizione di Europa (in Italia, attraverso la voce di Grandi Molini Italiani, il primo gruppo molitorio del paese) e Giappone, principali importatori di grano americano e canadese. Di conseguenza, i grandi coltivatori di cereali si rifiutarono categoricamente di adottarlo e questo fu determinante. In Canada, per la prima volta, si trovarono a lottare a fianco di associazioni di consumatori e addirittura di Greenpeace, con cui erano stati in conflitto precedentemente. E a tutt’oggi non esistono coltivazioni di grano transgenico nel mondo.

Crede che sia troppo tardi per tornare indietro?
Se parliamo di Roundup è molto difficile. Penso all’Argentina con i suoi 14 milioni di ettari coltivati a soia RR: ormai la terra ne è impregnata e inquinata, destinata alla sterilità perché questo erbicida fa piazza pulita di tutto, batteri e microrganismi, anche quelli utili. Il primo passo è informare sui suoi effetti. In Francia, dopo la mia inchiesta, diverse città hanno deciso di sospenderne l’uso. Sono nati molti comitati cittadini che spiegano alle famiglie che cosa stanno utilizzando nel loro giardino. Se riuscissimo ad eliminarlo già risolveremmo una parte del problema. Ma, contemporaneamente, bisogna boicottare gli Ogm e puntare sull’agricoltura biologica, creare un mercato che permetta ai coltivatori di tornare al biologico. E’ una preoccupazione che ci riguarda tutti perché nei nostri piatti il Roundup è servito insieme al secondo: la carne che mangiamo proviene da allevamenti europei, quindi da animali alimentati con soia transgenica americana, argentina o brasiliana. E a questo proposito, è in corso una campagna in Francia e Germania per esigere l’etichettatura sulle confezioni di carne, latte e uova che arrivano da animali nutriti con mangimi a base di Ogm. Comunque, non esiste solo il Roundup, sono moltissimi i residui di pesticidi pericolosi sulle nostre tavole.

Però in Italia, come in Europa, il livello di attenzione è sempre stato piuttosto alto.
Il livello di consapevolezza, cioè l’opposizione dei consumatori è netta, ma sul piano istituzionale la situazione è diversa, anche se ultimamente sta cambiando. Mi viene in mente il Consiglio dei Ministri dell’Ambiente dell’Ue che in marzo ha appoggiato Austria e Ungheria riguardo alla moratoria sulla coltivazione del mais Ogm Mon 810 della Monsanto, respingendo la richiesta della Commissione Europea di annullarla. Il problema della Comunità Europea però è l’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare: l’80% dei membri hanno dei fortissimi legami con la lobby biotech e qui torniamo alla questione della mancanza di indipendenza scientifica, delle pressioni sugli esperti, insomma del conflitto di interesse.

Monsanto ha avuto come alleati i governi repubblicani di Bush padre e figlio, ma anche quello democratico di Bill Clinton. Sarà diverso con Obama?
«Purtroppo Michael Taylor è parte dell’equipe di transizione di Obama. Mentre parliamo il Presidente americano sta pensando di affidargli la dirigenza del Food Safety Working Group. E’ stato Taylor a proporre di nominare come nuovo Segretario dell’Agricoltura Tom Vislack, governatore dell’Iowa dal 1998 al 2006, il maggior stato produttore di soia degli Usa, che ha sempre sostenuto gli interessi dell’agrobusiness e della biotecnologia. Sembra chiaro che la storia continua identica.

Quale è stata la parte più difficile di questa inchiesta?
Un aspetto a cui non avevo pensato: convincere le vittime di Monsanto a testimoniare. Tutti avevano paura. Molto strano, normalmente quando si lavora nell’ambito dei diritti umani, le persone hanno voglia di raccontare e apprezzano l’interesse che si dimostra verso la loro storia. In questo caso no. Temono le conseguenze. Temono che tu non sia quella che dici di essere, perché a volte Monsanto è arrivata a mandare falsi giornalisti e false equipe televisive. Sono riuscita a guadagnarmi la fiducia di molte persone perché ora sono conosciuta e la gente può verificare che sono davvero una giornalista.

Laura Stefani è una giornalista free-lance italiana, specializzata in tematiche legate alla ecologia e alla sostenibilità.