Costruirsi una falsa immagine dell'altro è il tipico modo per non dire «tu», ma sempre e solo «io»
di Francesco Lamendola - 01/09/2009
Vi sono due maniere di essere incapaci di dialogo e, dunque, di una relazione autentica e profonda con l'altro.
La prima maniera, e la più banale, è quella dell'io che sa dire sempre e solo io, che non s'interessa affatto al tu, perché è talmente pieno di sé (magari per compatirsi e per lagnarsi, non necessariamente solo per autocelebrarsi), da essere letteralmente incapace di ascolto nei confronti di un io diverso da sé.
La seconda maniera, meno comune ma tanto più subdola e sgradevole, è quella dell'io che in apparenza dice tu e cerca l'altro, ma che, dell'altro, si è prefabbricata una immagine di proprio gradimento; e che, quando giunge a confrontarla con il tu reale in sé e per sé, arriccia il naso per la delusione ed esclama: «Ah, era soltanto questo! E io che credevo…» Io, appunto: io e ancora io: proprio come avviene nella prima maniera, ma in forma più esplicita.
Ora, per relazionarsi veramente con l'altro, è indispensabile saper dire tu: ma non con le labbra; saper aprirsi al mistero dell'altro, saper ascoltare la voce dell'altro: e non solo quella fisica, ma anche e soprattutto quella della sua anima.
Ma quanti ne sono realmente capaci?
Sembra incredibile, ma nella società odierna, in cui tutti si lamentano della difficoltà di comunicare e moltiplicano stolidamente gli strumenti materiali della comunicazione (computer, telefonini e così via), come se ciò potesse risolvere o anche solo alleviare il problema, la verità è che quasi tutti hanno disimparato a dire tu, ad aprirsi al misteri dell'altro, con stupore ed emozione, come si dovrebbe fare davanti ad ogni prodigio del mondo che ci circonda.
L'egocentrismo puerile e insaziabile è arrivato ad un punto tale, che la società sembra composta quasi unicamente da bambini; ma non da bambini veri, ancora capaci di sognare e di giocare, bensì da bambocci viziati e capricciosi, simili a quelli descritti da Witold Gombrowicz nel suo profetico ed esilarante romanzo «Ferdydurke».
La stragrande maggioranza delle persone, nella società odierna, non desidera incontrare veramente il volto dell'altro, ma piuttosto vedere il proprio volto riflesso in una fantasmagoria innumerevole di specchi: vedere il proprio volto ovunque, dieci, cento, mille volte, un milione di volte; e uno dei modi di codesta strategia dell'egotismo, è quello di imporre all'altro una falsa immagine di lui, costruita sul metro delle proprie aspettative e dei propri desideri.
In altre parole, sempre più spesso accade che noi, quando ci relazioniamo con l'altro, non siamo affatto interessati a chi egli realmente sia, bensì a rassicurare il nostro insaziabile ego, a gratificarlo e a compiacerlo, cercando nell'altro semplicemente una immagine deformata che noi gli fabbrichiamo secondo i nostri gusti.
Aprirsi veramente al mistero dell'altro, vuol dire accettare la sua diversità e percepirla e apprezzarla come una ricchezza, come una occasione di arricchimento per il nostro io; ma, per fare questo, occorre avere un rapporto equilibrato con quest'ultimo, occorre star bene con se stessi ed essere sufficientemente soddisfatti della vita che abbiamo scelto di condurre.
Se queste condizioni vengono a mancare; se non ci vogliamo realmente bene (nonostante le apparenze, che spesso ingannano); se non abbiamo un rapporto equilibrato con noi stessi, con la nostra parte più vera e più profonda: allora ecco che abbiamo bisogno di cercare nell'altro una immagine artificiale che compensi il nostro disagio interiore, le nostre frustrazioni, i nostri fallimenti, il nostro senso di futilità e di vuoto esistenziale.
Insomma, aprirsi all'altro, dialogare con lui, dire tu, sono tutte cose che paiono semplici e scontate, mentre invece sono atti possibili solo a chi abbia prima imparato ad aprirsi a se stesso, a dialogare con se stesso, a dire io, ma nel modo giusto, ossia in modo non egoico e non compulsivo. La verità è che pochi esseri umani sanno dire realmente tu; pochi esseri umani sono abbastanza forti e abbastanza maturi per cercare nell'altro, non il riflesso dei propri bisogni egoistici, ma la gioia e la bellezza della scoperta del diverso da sé.
Questo, ovviamente, vale nel rapporto con il diverso per eccellenza, che è il tu dell'altro sesso. La bellezza dell'incontro dell'uomo e della donna consiste proprio nella ricchezza che possono donarsi reciprocamente, in virtù della loro diversità; ma, se si tratta di soggetti immaturi e corazzati nella autoreferenzialità del proprio ego, non potrà che portare a una serie di fraintendimenti, di equivoci, di delusioni, amarezze e fallimenti.
Un uomo che sia fabbricato una immagine ideale della donna, o una donna che si sia fabbricata una immagine ideale dell'uomo, saranno portati, presto o tardi, a dover fare i conti con il principio di realtà, ossia a misurare la distanza incolmabile che esiste fra quella immagine ideale e l'immagine reale dell'altro, così come essa è effettivamente.
Un uomo o una donna maturi ed equilibrati possono vivere questo passaggio in maniera serena e perfino gioiosa: possono, cioè, scoprire che la realtà, pur con i suoi limiti e le sue imperfezioni, è pur sempre più desiderabile del sogno, fatto di pura astrazione e di elaborazione fantastica dei propri desideri e dei propri impulsi, in parte segreti.
Un uomo o una donna egoici, infantili, insicuri e poco equilibrati, non reggeranno alla scoperta che la realtà presenta notevoli discrepanze rispetto all'immagine ideale dell'altro, si sentiranno delusi e perfino traditi, benché, in effetti, abbiano fatto tutto da soli: nessuno li ha ingannati, sono stati essi ad ingannarsi da sé stessi nella maniera più grossolana; e tuttavia sentono il bisogno di gridare all'inganno e di mostrarsi offesi, magari persino indignati.
Abbiamo detto che la grande maggioranza degli esseri umani, specialmente nelle condizioni storico-culturali della società attuale, tende a rientrare in questa seconda categoria. La conclusione che ne deriva, estremamente seria a livello di benessere spirituale collettivo, è che viviamo in una giungla di rapporti inautentici perché impossibili, e impossibili perché viziati alla radice da un fraintendimento essenziale, conseguenza di una vera e propria incapacità di apertura nei confronti dell'altro.
Non occorre molta immaginazione, anzi, non occorre molto spirito di osservazione (poiché non si tratta di teorie, ma di fatti comunemente osservabili), per rendersi conto di cosa ciò implichi, anche per la formazione spirituale dei bambini, vittime innocenti di questa assurda dinamica tra il sesso maschile ed il sesso femminile, e, più in generale, tra la dimensione dell'io e la dimensione del tu, che paiono fatalmente destinate a non incontrarsi mai nella maniera giusta, ossia gratificante e costruttiva per entrambi.
Il caso della relazione fra uomo e donna, che va dalla semplice amicizia alla vita di coppia, è quello più eclatante; ma tutte le relazioni umane sono inquinate dalle dinamiche che abbiamo fin qui descritto, oppure dall'indifferenza e dal freddo utilitarismo, che non sapremmo se siano ancor peggiori o se, nella loro esplicita brutalità, non siano da preferirsi ad una falsa apertura al tu e ad un falso dialogo fra due esseri umani, minato alla base da una impossibilità di fondo.
Questo atteggiamento brutalmente utilitaristico è quello che spinge l'io a non saper ascoltare il tu; a caricarlo dei propri discorsi anche quando esso avrebbe bisogno di parlare e di essere capito e consolato; è quello che spinge l'io egoista a parlare dei propri problemi finanziari al tu che ha appena perso la persona più cara, come abbiamo detto nel precedente articolo «Quanta fretta: ma dove corri, dove vai?» (sempre consultabile sul sito di Arianna Editrice).
Tuttavia, l'atteggiamento dell'io infantile, che apparentemente cerca il contatto con il tu, che apparentemente cerca l'apertura e il dialogo profondo, ma solo sulla base di una falsa immagine del tu che si è costruito in base alle proprie esigenze e aspettative egoistiche, non è migliore.
Non è migliore, perché esso, sulle prime, crea l'illusione che vi sia la sincera ricerca di un incontro profondo tra due anime, ossia la cosa più sublime che sia dato realizzare nella vita di relazione. Che cosa c'è di più bello, di più commovente di un io che si rivolge ad un tu, non sul piano della banalità e dell'inautenticità, ma su quello della verità più profonda, e che a sua volta ne è ricambiato con eguale slancio e con pari intensità?
Tuttavia, se l'io ha intrapreso questo movimento sulla base di un rapporto poco equilibrato con se stesso, è fatale che la bellezza si trasformi in deformità, la speranza in cocente delusione, la gioia in amarezza. L'io che inganna se stesso, si sentirà ingannato dall'altro; e il tu, che si era sentito desiderato e cercato, si vedrà rifiutato e respinto. È la situazione in cui due esseri umani sono in grado di farsi il più grande male possibile, e proprio perché erano sembrati ad un passo dal farsi il più grande bene.
Vi è, infatti, nel fondo dell'anima umana, questa sete di una relazione profonda, che spinge le persone, almeno tendenzialmente, verso l'apertura all'altro e il dialogo vero col tu; vi è, ma deve fare i conti con le dinamiche distruttive dell'egotismo e della immaturità, che tendono a deformarla e a sfigurarla, fino a renderla irriconoscibile.
Tuttavia, il fatto che questa sete esista, significa che la natura umana, per sua stessa costituzione, è assetata di autenticità e di profondità; ma solo alle persone spiritualmente evolute ed equilibrate, è dato realizzare il magico incontro dell'io con il tu, fatto di pura bellezza, perché improntato alla sincerità e alla piena e gioiosa accettazione dell'altro, così come esso è, nella sua radicale alterità e, quindi, nella sua diversità.
Quando ciò avviene, le barriere cadono e, per un istante senza tempo, non ci sono più un io ed un tu, ma solo una unità indistinta e indifferenziata, fatta di pura comprensione, accettazione ed amore incondizionato. È significativo che ciò accada proprio a quelle rare persone che hanno saputo riconoscere l'alterità del tu e hanno saputo vedere la sua diversità. non come una minaccia o un problema, ma come una straordinaria occasione di arricchimento e di gioia.
Viceversa, proprio quelle persone che sono più insicure davanti all'altro e più ansiose di incontrarsi con un tu il più possibile simile a sé, ossia il più possibile simile a uno specchio riflettente, sono quelle che non riusciranno mai ad oltrepassare i confini del proprio io, simili alle sbarre di una prigione che impedisce a chiunque altro di avvicinarsi e di entrare in contatto profondo.
Il dato significativo, comunque - lo ripetiamo - è che nell'anima umana esiste la sete della relazione profonda con l'altro; una sete che ogni persona cerca di spegnere, e sia pure in forme e modi sbagliati, uscendo da sé e cercando il completamento che viene dall'armonia con il tu. Se ne deve dedurre che esiste un Altro, la cui presenza e la cui possibilità di relazione profonda e armoniosa con l'io è garanzia dello spegnimento di quella sete che, altrimenti, non si capirebbe da dove tragga origine.
Se, nel mondo fisico, esiste la sete dell'acqua, vuole dire che l'acqua esiste; se, nel mondo spirituale, esiste la sete della relazione profonda con l'altro, vuole dire che quest'ultima esiste, e che esiste un Altro capace di conferirle concretezza e pieno appagamento.
Ecco, allora, che la religione e la ricerca dell'unione mistica con l'Assoluto cessano di apparirci, materialisticamente, come un fenomeno storico determinato da circostanze ed esigenze puramente sociali e collettive, per configurarsi come un'esigenza reale, autentica, del singolo essere umano, nella sua dimensione più vera e profonda; un bisogno che nasce dall'intimo, e che non può essere in alcun modo ignorato o soffocato.
Paradossalmente, è proprio la qualità - per le ragioni che abbiamo su esposte - così spesso insoddisfacente della relazione fra l'io e il tu, che fonda l'esigenza di una relazione piena ed autentica, non realizzabile con questo o con quel tu, simili a me nelle loro limitazioni e nelle loro illusioni, ma con il Tu per eccellenza, vale a dire con l'Essere.
L'Essere è il modello originario e perfetto della relazione fondamentale dell'uomo con se stesso e con gli altri uomini.
Al di là degli scacchi, delle delusioni e delle amarezze che si generano dagli incontri fallimentari tra gli esseri umani, esiste un Incontro che non delude mai, perché è l'Incontro fondamentale, basato sull'Amore assoluto.