Siamo tutti mosche nel fango: ma alcuni ci stanno bene, altri lottano per uscirne
di Francesco Lamendola - 07/09/2009
Una retta visione delle cose dovrebbe insegnarci modestia e senso del limite, e una veritiera percezione del nostro basso livello di evoluzione spirituale: perché, al di là dei gingilli tecnologici che sforniamo ormai a getto continuo, frutto di un Logos puramente strumentale e calcolante, quanto a consapevolezza ed interiorità, siamo tutti, più o meno, paragonabili a delle mosche che si posano incessantemente su una distesa di fango (per non dire di una sostanza ancor più sgradevole e maleodorante).
Le nostre passioni egoiche e disordinate; il nostro eterno istinto di sopraffazione nei confronti del prossimo; la nostra incoercibile brama di possesso e di dominio, ci attirano inesorabilmente verso il basso; siamo uomini per modo di dire, se uomo è colui che realizza pienamente l'essenza propria della natura umana: ragionevolezza, coscienza di sé, ansia di verità, di bellezza e di giustizia, aspirazione verso la dimensione dell'assoluto e dell'eterno.
Tuttavia, non tutte le mosche umane sono eguali l'una all'altra; non tutte giacciono al medesimo livello spirituale, anche se condividono il destino comune di volare in basso, verso il peggio, e di essere immerse in una atmosfera pesante, satura di cattivi umori. Esiste una differenza fondamentale fra due generi di mosche: quelle che si trovano bene nel fango, ne godono e ci sguazzano, e, anzi, non lo lascerebbero mai, neppure potendolo; e quelle che soffrono della propria condizione, lottano per tentare di uscirne, per innalzarsi verso un'aria più respirabile, più limpida e pura.
Visti dall'esterno, gli esseri umani danno l'impressione di essere tutti uguali, tutti ugualmente immersi nel fango; visti un po' più da vicino, ci si accorge di questo elemento, che fa la differenza decisiva.
Forse, nessuna creatura umana è mai stata realmente, pienamente evoluta; forse, nessuna ha mai realizzato veramente la propria vocazione, la propria natura ultima: ma è certo che alcune lottano duramente per farlo, o, almeno, compiono lo sforzo necessario a rendersi conto della propria situazione, e misurare la distanza che ancora le separa dalla meta; mentre altre si compiacciono dello stato infimo in cui si trovano.
Il fatto di compiacersi di essere creature del fango non è una questione privata; se lo fosse, non spenderemmo una parola sulla loro libera scelta. «De gustibus non est disputandum», dicevano i Latini: non si discute sui gusti personali degli esseri umani. Ciascuno è libero di preferire un pasto a base di escrementi, ad uno a base di torta di mele, fatta in casa.
Ahimé, la creatura del fango costituisce un problema per il suo prossimo: non si va in giro impunemente con le piccole ali insozzate, senza ammorbare l'aria per un bel tratto intorno. Fuor di metafora, le persone che vivono ai livelli minimi di consapevolezza spirituale, quelle che nella tradizione della «Bhagavad-gita» sono denominate creature dominate da «tamas», cioè dall'ignoranza, sono causa di notevoli difficoltà a quelli che hanno la mala sorte di trovarsi entro il loro raggio d'azione; e ciò vale nelle piccole cose quotidiane, non meno che nelle grandi.
Il tono emozionale complessivo della nostra vita è influenzato in larga misura dalle piccole e piccolissime cose di ogni giorno; per cui, se ci muoviamo in un mondo pullulante di creature tamasiche, esso non potrà non risentirne.
Le scortesie gratuite, le minuscole prevaricazioni, le furberie da quattro soldi, l'arroganza e la sbadataggine di molte, troppe persone, si ripercuotono sul tessuto complessivo della vita sociale e ci abituano ad aspettarci sempre meno dal prossimo, a vedere sempre più la vita come un'improba fatica, e il mondo, come un luogo dove non si sta bene, dove bisogna continuamente guardarsi le spalle e dove bisogna ingoiare ogni giorno una razione di delusioni, amarezze e frustrazioni le quali, se pur piccole o piccolissime, incidono però, sommate insieme, in maniera piuttosto pesante sul nostro equilibrio.
Colui o colei che vorrebbe volare alto, o almeno tirarsi fuori un poco dal fango, viene a trovarsi continuamente risucchiato, per così dire, e trascinato verso il basso, dalle azioni stupide, egoiste o furbesche, di tutti questi ignoranti e analfabeti dello spirito; i quali, invece, si muovono perfettamente a proprio agio su quel viscido terreno pieno di insidie.
Si obietterà che la persona evoluta e illuminata non si lascia turbare da quello sciame di mosche sporche e moleste, ed è vero; ma quanti sono capaci di portarsi ad un livello così eccelso? È molto più frequente il caso di colui che si sforza di innalzarsi al di sopra del livello minimo della consapevolezza spirituale, ma che perde continuamente lo slancio e le buone intenzioni a causa di quello sciame disgustoso.
In che modo? Ad esempio, a causa dell'ira, dello sdegno, o anche soltanto della demoralizzazione, che il comportamento delle creature tamasiche gli procura; passioni negative, che hanno il potere di annullare lunghi sforzi per l'autoelevazione, e di risospingere verso il basso un'anima bene intenzionata, ma ancora incerta nel proprio cammino.
Non è indifferente l'ambiente umano in cui ci si muove, e la cui atmosfera si respira ogni giorno, vivendo e lavorando in un determinato ambiente. Ecco perché il fatto di abituarsi al graduale, quasi impercettibile imbarbarimento della vita sociale, dai livelli più alti fino a quelli più umili, costituisce un reale pericolo per l'armonia dell'insieme: infatti, il tono emotivo di quest'ultimo è determinato sia dall'agire scorretto e irresponsabile degli uni, sia dalla stanchezza e dalla rassegnazione degli altri.
La presenza, sempre più numerosa, di persone stanche e rassegnate; di persone le quali, sostanzialmente, non si aspettano più niente di bello e di buono dalla vita, se non dei passatempi grossolani e dei beni effimeri, esercita un effetto negativo anche sugli altri, e particolarmente sui bambini e sui giovani. Un bambino che cresce all'ombra di due genitori scoraggiati e depressi, vedrà appannarsi la propria gioia di vivere prima ancora di essersi aperto al mistero di essa; ed è una situazione, purtroppo, oggi estremamente diffusa.
Ecco, allora, che sforzarsi di uscire dal fango, cessa di essere una questione di esigenza personale e investe anche il benessere, o il malessere, di coloro che ci stanno intorno, che vivono a stretto contatto con noi, e che, sovente, diciamo e crediamo di amare. Purificarci dal fango, drizzare le piccole ali verso il sole, non è solo una faccenda privata: è anche una forma di rispetto ed amore verso il nostro prossimo.
In ogni modo, non è possibile rispettare ed amare gli altri, se prima non si è imparato a rispettare ed amare se stessi.
Le persone che non sia amano, non possiedono una visione veritiera ed equilibrata delle cose: le percepiscono come attraverso una nebbia, in maniera più o meno gravemente deformata. Spesso nascondono questa mancanza di rispetto e amore per se stesse, dietro una facciata di edonismo grossolano che riesce ad ingannare soltanto delle creature estremamente superficiali, quali non di rado sono esse medesime; in tal caso, riescono ad autoingannarsi per prime, in maniera assai convincente.
Le mosche innamorate del fango appartengono, in genere, proprio a quest'ultima categoria: a coloro che non si amano, ma che vorrebbero crederlo e farlo credere; e recitano talmente bene la propria parte, da finire per convincersi che il fango sia la cosa migliore che esista al mondo. Se qualcuno tentasse di convincerle del contrario, esse lo prenderebbero in odio: quell'odio feroce e implacabile che si prova per coloro che vorrebbero strapparci il bene più prezioso.
Quando una creatura del fango arriva a questo punto di abiezione; quando, cioè, sprofonda nella propria menzogna fino ad ingannare anche l'ultimo barlume della propria coscienza, allora può considerarsi un'anima persa, completamente in balia dei propri demoni.
A quel punto può divenire non solo molesta e di cattivo esempio, ma anche pericolosa per gli altri, in tutti i sensi.
Un'anima persa è un'anima che ha volto le spalle, consciamente e irrevocabilmente, alla luce del proprio dover essere, per sprofondarsi voluttuosamente negli strati più bassi della propria natura, senza più remore o pudori di sorta.
È così che assistiamo al miserando spettacolo dei bugiardi incalliti, dei disonesti ad oltranza, dei malevoli che si credono le persone più pie di questo mondo: spettacolo purtroppo non infrequente, e, anzi, nelle presenti condizioni storico-culturali della nostra società, sempre più diffuso e spavaldo, come se esso godesse di un sovvertimento totale di tutti i valori. Nietzsche potrebbe essere contento, se era questo il sovvertimento che predicava; anche se lo farebbero inorridire gli aspetti plebei ed ipocriti che lo contraddistinguono.
Una cosa è certa.
Nessuna mosca è riuscita mai a sollevarsi fuori dal fango unicamente per merito proprio; nessuna è mai riuscita a drizzare le minuscole ali verso il cielo azzurro, trasformandosi in una farfalla multicolore, se non perché attirata da una forza trascendente e benevola, che gli ha trasmesso forza, coraggio e perseveranza.
Le mosche, da sole, non ce la fanno e non ce la faranno mai. Tutto quello che possono fare è drizzare il capo verso l'alto e incendiarsi dal desiderio di uscire da tutto questo fango, di ripulirsene le ali e di non udirne più il cattivo odore.
Per compiere il passo successivo è necessario un aiuto dall'alto, perché, come dice Dante, solo grazie ad esso possiamo levarci alla visione superiore (Par., XXXIII, 138-140):
«… ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.»
Per mezzo di questo aiuto soprannaturale, vi sono alcune anime grandi che riescono ad alzarsi di molto sopra il fango e perfino a librarsi nell'aria luminosa, costituendo un incitamento e un punto di riferimento per tante altre piccole mosche, le quali tendono a scoraggiarsi e a ricadere verso il basso.
Inestimabile è la funzione svolta dalle grandi anime nell'economia spirituale del mondo: esse ne sono il motore ed il centro pulsante.
Non è certo per merito delle mosche amanti del fango, che la società sopravvive e riesce a sviluppare le proprie potenzialità positive. È per merito delle mosche che hanno odiato il fango ed hanno cercato in ogni modo di oltrepassarlo, venendo sollevate, a un certo punto, dalla forza poderosa della grazia.
Dobbiamo decidere a quale genere di mosche vogliamo appartenere. Anche se ci portiamo dietro, fin dalla nascita, il peso di non pochi né lievi condizionamenti, la scelta ultima è pur sempre nelle nostre mani. La pigrizia e l'amore del quieto vivere non sono certo una giustificazione adeguata per non aver neanche tentato di spiccare il volo.
Le mosche che non hanno mai compiuto il minimo sforzo per uscire dal fango, talvolta sono le più querule nel levare alte grida di sdegno e di commiserazione nei confronti del fango e delle sue affezionate creature. Vi sono persone, infatti, che passano la vita a lamentarsi che la sfortuna si sia accanita contro di loro, costringendole a rimanere nel fango.
Non bisogna credere nemmeno ad una delle loro parole.
Chi odia il fango, prima o poi trova la forza di staccarsene; e chi lo ama, non lo lascia più, anche se si riempie la bocca di inutili lamentazioni.
Le piccole mosche in buona fede, che vogliono davvero emanciparsi dal regno del fango, non spargono lacrime di autocommiserazione, ma si concentrano tutte nel poderoso sforzo per liberarsi e riconquistare il libero orizzonte.
Poi, come si è detto, qualcosa verrà in loro soccorso.
Allora impareranno veramente ad avere rispetto e amore di sé, e a rispettare ed amare anche gli altri.