Ecco perchè gli inglesi si ammorbidiscono con la Libia
di Giovanni Petrosillo - 08/09/2009
Gli inglesi vorrebbero dare a noi italiani lezioni di “bon ton” diplomatico, politico, economico e
culturale e si profondono in consigli “spassionati” sulle nostre alleanze internazionali, sul nostro
modo di gestire le imprese partecipate dallo Stato, sulle “nefandezze” sessuali dei nostri uomini
pubblici che amano trastullarsi con le “subrettine” mentre i loro politici, certamente più seri, si
limitano a farsi rimborsare dai contribuenti il noleggio dei film porno.
Tuttavia, costoro stanno sì alzando la voce contro l’Italia ma lo fanno con un accento poco british e
molto più AmE. L’articolo pubblicato qualche settimana fa sul FT che chiedeva lo spin off tra
produzione e distribuzione della nostra Eni, a tutela dei dividendi degli azionisti e della maggiore
concorrenzialità del mercato, in un settore dominato dai monopoli statali, è subito saltato agli occhi
per la pretestuosità delle argomentazioni trattate e per il momento storico in cui è stato proposto.
Il giornale londinese, infatti, aveva raccolto quanto riportato in uno studio del fondo newyorkese
Knight Vinke il quale aveva messo in dubbio la performatività economica della struttura
organizzativa dell’ENI, di fronte ad altre imprese ed altri contesti dello stesso tipo, a loro dire, più
moderni e produttivi. Ma il fatto che tanto interessamento per il “cane a sei zampe” e per la sua
struttura industriale nasca proprio negli USA, la dice lunga sulla posta in palio nella partita
energetica in atto, quella che si è aperta tra diversi attori industriali, rappresentanti altrettanti paesi e
interessi nazionali.
Ciò che agli americani non va giù è il protagonismo di ENI e le sue alleanze strategiche nel settore
degli idrocarburi con la Gazprom, nonché, in seguito ai recenti riavvicinamenti tra Italia e Libia,
anche quelli con un’altra impresa di Stato molto attiva, la NOC, attualmente sulla stessa linea
d’azione delle affini russa e italiana.
Questo rafforzamento strategico lungo sull’asse Mosca-Roma-Tripoli inquieta pesantemente gli
americani i quali da tempo cercano di allentare la “morsa” energetica russa sull’Europa che va
assumendo pericolosi connotati geopolitici.
La strada per scardinare tale alleanza è quella del progetto europeo-americano Nabucco.
Quest’ultimo, al momento, si è però impantanato a causa di difficoltà relative tanto alla scarsità
delle riserve presenti nell’area del Caspio che a causa dell’azione disturbatrice di Mosca, la quale
sta sottraendo clienti al progetto. La Russia, difatti, ha stretto un accordo col Turkmenistan per
comprare fino a due terzi della sua produzione e si è detta disposta a comprare gas dall’Azerbaigian
a prezzi più alti di quelli di mercato. Tutto ciò sta facendo saltare i nervi a Washington che non
riesce a mettere in pratica i suoi propositi di isolamento dell’orso russo, perdendo altresì forza
egemonica su alcuni paesi europei come l’Italia. Di queste questioni abbiamo già detto in molti
articoli apparsi sul blog negli ultimi mesi. Ma il fatto che anche quest’ennesimo attacco alla nostra
politica energetica fosse solo un modo “garbato” per dire all’Italia di tornare nei ranghi (occidentali)
e di non fare troppo di testa propria è stato presto svelato dalla vicenda che riporto sotto.
I padroni del mondo statunitensi e i loro primi giannizzeri nel Vecchio Continente (gli inglesi) si
sentono autorizzati ad agire come meglio credono, cioè utilizzando tutti i mezzi a loro diposizione,
leciti e meno leciti, al fine raggiungere vitali obiettivi strategici. A tutti gli altri si chiede, invece, di
mettere da parte i loro interessi nazionali in nome della democrazia e della libertà. Peccato però che
quanto più questi grandi valori vengano rispettati tanto più aumenti la subordinazione di tali paesi
alla predominanza USA.
Viviana Mazza per il "Corriere della Sera"
Un'ondata di rivelazioni sul rilascio dell'attentatore di Lockerbie sta mettendo sotto pressione il
governo di Londra. I media continuano a scavare per provare che non erano umanitarie ma
economiche le ragioni dietro la decisione di liberare il libico Abdel Basset al-Megrahi il 20 agosto
scorso. Ufficialmente, l'uomo condannato all'ergastolo per l'esplosione sul volo Pan-Am che
provocò la morte di 270 persone nel 1988, è stato rimandato a Tripoli perché malato terminale di
cancro, decisione presa dalla Scozia.
Ma i media accusano Downing Street di aver fatto pressioni sulla Scozia e sostengono che il rilascio
serviva a cementare lucrosi contratti petroliferi per la Gran Bretagna in Libia. Ieri il Sunday
Telegraph ha rivelato che l'esame medico che stabilì l'aspettativa di vita dell'ex 007 di Tripoli fu
pagato dalla Libia e i tre medici furono «incoraggiati» a indicare che gli restavano tre mesi di vita.
Con un'aspettativa di vita maggiore, non avrebbe avuto diritto legalmente al rilascio umanitario.
Altri medici tra giugno e luglio avevano dichiarato che gli restavano 10 mesi.
La Scozia nega che l'opinione dei tre medici abbia avuto alcun peso. Nei giorni scorsi il governo di
Londra e quello scozzese hanno diffuso lettere e memo per difendersi dalle accuse. Ma lo stesso
ministro della Giustizia britannico, Jack Straw, ha detto al Telegraph di essere «convinto» che la
liberazione di al-Megrahi sia stata motivata «in gran parte» da interessi economici. Il Times aveva
scritto che c'erano dietro anche le pressioni della Bp, che voleva chiudere un contratto di estrazione
petrolifera con Tripoli e aveva contattato Straw.
Ma i semi sarebbero stati piantati molto prima. Il 16 dicembre 2003, si tenne un vertice
supersegreto, in un club privato di Londra, tra spie di alto livello americane, britanniche e libiche.
Tre giorni dopo, l'allora premier Tony Blair diede l'annuncio che Tripoli aveva rinunciato
all'acquisizione di armi di distruzione di massa, mossa che avrebbe portato la Libia a uscire
dall'isolamento. Per fonti governtive citate dall'Independent si parlò di al-Megrahi.
blair tony
Intanto è emerso che Brown mise il veto su un'iniziativa per costringere la Libia a risarcire le
vittime britanniche delle bombe dell'Ira, costruite con esplosivo fornito dai libici. L'accusa: temeva
di compromettere gli accordi politici e petroliferi con Tripoli. Brown sostiene che non voleva
danneggiare i progressi negli accordi contro il terrorismo. Ha assicurato ieri che adesso il governo
chiederà un risarcimento.