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Biopirateria, semi OGM e l’India rurale: “Oltre 100.000 contadini si sono suicidati…”

di Priya Kumar - 03/12/2009

 

 

La realtà per la maggior parte della popolazione indiana rimane sempre la stessa: la coltivazione agricola e l’abilità nell’allevamento, rimangono le basi per la sopravivenza delle comunità rurali. Con le sue pratiche e i suoi valori tradizionali, con i sentimenti comuni di rispetto, l’agricoltura e l’allevamento hanno radici molto lontane e solide. L’agricoltura, per gli indiani, non è soltanto un modo per guadagnare; ma è fonte di identità e di cultura. Purtroppo, a cominciare dai primi anni ’90, i vari governi indiani hanno compromesso questo mondo, per inseguire le “luci sfolgoranti” dell’Occidente.
Dopo oltre un decennio di liberalizzazioni e di riforme per introdurre il libero mercato, il principale traino dello sviluppo economico del paese ha abbandonato le campagne al loro destino; così, a fronte di alti livelli di industrializzazione e crescita economica, la stragrande maggioranza del popolo indiano è stato lasciato indietro. L’agricoltura rappresenta a tutt’oggi la fonte primario di reddito per il 70% degli indiani; se si considera, che solo l’1% degli americani, e il 2-3% degli europei, vivono grazie ad essa, ci rendiamo conto che quella indiana è una percentuale elevatissima.
Il desiderio dell’India di diventare un membro dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), e l’adozione dell’ “Accordo sulla commercializzazione dei diritti sulla proprietà intellettuale”(TRIPS), hanno definitivamente compromesso lo stile di vita contadino tradizionale. Con l’adozione di queste politiche neo-liberali, la sovranità dell’India rurale è stata definitivamente compromessa. In particolar modo, il TRIPS ha spianato la strada alle multinazionali dell’agribusiness verso la biopirateria e la monopolizzazione dei semi geneticamente modificati, marginalizzando di fatto le comunità rurali.  Attraverso la manipolazione dei diritti sulla proprietà intellettuale (IPR), le multinazionali, come la Monsanto, hanno spinto i contadini sulla difensiva. Questo articolo evidenzierà la natura manipolatoria e destabilizzante degli effetti dei brevetti, degli IPR e dell’azione delle multinazionali dell’agribusiness, nel contesto rurale indiano. Particolare attenzione va rivolta alla coltivazione del riso Basmati, e del cotone Bt, i primi semi OGM offerti ai contadini indiani.
Attraverso questi casi esemplari, l’articolo illustrerà sia l’intento che l’impatto avuto dalle multinazionali dell’agribusiness, e l’aumento dei costi relativi che i contadini indiani hanno dovuto affrontare. Secoli di sapienza indigena, di pratiche agricole tradizionali e di scambio di tecniche, sono andati distrutti; molti contadini hanno perso il diritto di coltivare le proprie terre e di controllare il ciclo di produzione agricola. Come risultato di ciò, i contadini si sono sempre più indebitati, indeboliti e, cosa ancora più grave, suicidati. Considerando che circa 1 contadino su 4, nel mondo, è indiano, lo stile di vita rurale- cioè le origini culturali dell’India- rischia seriamente di scomparire dalla faccia della Terra. Le multinazionali dell’agribusiness stanno promuovendo un circolo di dipendenza, il quale, se non fermato immediatamente, causerà effetti disastrosi all’intero paese.

Eventi storici chiavi, e loro analisi

Partendo dal periodo coloniale, fino ad arrivare ai giorni nostri, la storia dell’India ha visto molti dibattiti sui temi delle leggi di tutela dei brevetti e degli IPR. Tornando al 1852, quando si era ancora sotto l’Impero Britannico, l’India adottò (fu costretta a farlo!) un impianto legislativo per la tutela dei brevetti. Per le comunità rurali indiane, ciò rappresentò la fine del controllo sulle loro risorse; e, soprattutto, questa marginalizzazione dei contadini, funzionò da molla per far nascere il movimento per l’autonomia, prima, e l’indipendenza, poi. Pensando alla legge sugli IPR, la “Legge sui brevetti” del 1911, passò alla storia come uno degli atti che fomentarono maggiormente la voglia di libertà e di indipendenza dai Britannici, nel popolo indiano.
A partire dall’indipendenza, ottenuta nel 1947, fino ad arrivare agli anni ’60, lo sviluppo agricolo non fu al centro del dibattito politico pubblico; piuttosto, si dibatteva di cosa significava formare uno stato sovrano, in un contesto di sviluppo commerciale globale. Solamente di fronte al pericolo di carestia, nel 1961, e di pesanti siccità nel 1965 e 1966, che i dirigenti statali riconobbero le difficoltà del settore agricolo, che affliggevano la parte rurale della popolazione. Questo stato di difficoltà fornirono le “giustificazioni”,  alla banca Mondiale, e agli Stati Uniti, per entrare in India, promettendo l’arrivo di “semi miracolosi”, assistenza e prezzi di favore. Questi “semi miracolosi” erano quelli ibridi, i quali avrebbero dovuto garantire elevate rese alle coltivazioni di grano; invece, con questo fatto, la Rivoluzione Verde sbarcò in India, imponendo una nuova concezione dell’agricoltura, quella non-organica.
Durante la fine degli anni ’60, il dibattito pubblico si focalizzò su come trovare un equilibrio tra interesse generale, agricoltura rurale e il desiderio dell’India di raggiungere alti livelli di sviluppi economici e di industrializzazione. La “Legge sui Brevetti” del 1970 rappresentò il risultato di questo dibattito; infatti, molte controversie erano sorte riguardo l’interesse dell’India di avere norme che limitassero il monopolio sui brevetti, che promuovessero la creatività sociale e stabilizzassero la produzione agricola rurale.
La “Legge sui Brevetti” venne progettata per rispondere alla necessità di bilanciare gli interessi degli investitori e quelli dei consumatori, cercando di limitare l’industrializzazione sfrenata. Le piante e gli animali vennero tutelati, in modo che non potessero essere brevettati; inoltre, i prodotti alimentari, le invenzioni chimiche e i medicinali, potevano essere brevettati, solo per quel che riguarda i processi di produzione. La durata dei brevetti fu fissata a 7 anni, dalla data della loro registrazione. In termini di legislazione sugli IPR, e a favore della maggioranza degli indiani, la legge del 1970 fu estremamente restrittiva. Ad ogni modo, tale atto proiettò l’India in una nuova fase di liberalizzazione economica, con la speranza di trasformare il paese in un partner attraente, all’interno del nuovo mercato globale.
Per fronteggiare la crisi della bilancia dei pagamenti, la “Politica per la Nuova Economia”, del 1991, (NEP 1991), introdusse radicali cambiamenti nel Paese. Puntando sulla liberalizzazione, sulle privatizzazioni e sulla globalizzazione dell’intera struttura economica del Paese, il NEP 1911 comportò cambiamenti radicali nel mondo agricolo; il cui risultato fu l’espansione del settore commerciale, con conseguente aumento delle sofferenze delle comunità agricole. Oggi, le politiche di sviluppo agricolo, necessario per sostenere l’industrializzazione all’interno dell’agricoltura indiana, rimangono assenti. Con l’aumento del desiderio di “raggiungere” le altre potenze economiche internazionali, il settore industriale ha cominciato a sopravanzare quello agricolo, a partire dal 1991. Il completo abbandono del settore rurale è stato facilitato dalle liberalizzazioni introdotte col NEP 1991, ed esacerbato con l’inserimento dell’India nella WTO:

Trasformazione in seguito del TRIPs

Il passaggio dal GATT alla WTO segna una svolta cruciale, in seguito la quale i diritti e la libertà delle comunità rurali, nei paesi in via di sviluppo, saranno istituzionalmente compromesse. Questo fenomeno è stato accettato dai politici nazionali, come prezzo da pagare a fronte di un maggior coinvolgimento nello scenario economico internazionale. Paragonato alla WTO, il GATT lasciava ai paesi molta più libertà di legiferare sulla tutela degli IPR; infatti, non preveda norme specifiche sui brevetti. La sostanziale differenza con la WTO è data dall’accordo TRIP. Affinché un paese venisse accettato all’interno della WTO, deve accettare ogni sua regolamentazione, compreso appunto il TRIPs, anche se questo vuol dire modificare la propria legislazione nazionale.
L’India aderì alla WTO nel 1995, e da allora ha fatto di tutto per essere vista dalla comunità internazionale come un partner commerciale affidabile. Per esempio, a partire dal 1 gennaio 1995, l’Ufficio Brevetti indiano ha concesso un brevetto a ogni applicazione dei prodotti agro-chimici appena inventati. Nonostante tutto, questo processo di riforma dei brevetti non procedette facilmente; infatti, si registrò un crescente criticismo a riguardo, nei paesi in via di sviluppo, costretti a sottostare ai TRIPs. La lentezza dell’India ad adeguarvisi venne criticata dagli Stati Uniti, i quali si rivolsero alla WTO, affinché facesse pressioni per accelerare il procedimento. Nel 1998, la WTO stabilì che la mancanza da parte dell’India di modificare la propria legislazione sui brevetti, contravveniva ai TRIPs, e quindi era assolutamente illegale.
Come conseguenza a tali pressioni, l’India apportò numerose modifiche al proprio sistema di tutela dei diritti d’autore, il primo dei quali fu la “Legge sulla Concessione dei Brevetti”, del 1999. Questo atto apportò profonde modifiche, prevedendo l’eliminazione di limiti ai brevetti esclusivi su alimenti, prodotti e medicine. Inoltre, allo scopo di essere riconosciuto come partner commerciale internazionale affidabile, la legislazione nazionale venne modificata, in modo che fossero brevettabili le forme di vita, gli organismi viventi derivati, i geni e i materiali organici in generale; e il limite per i brevetti venne portato a 20 anni di durata. Altre riforme vennero attuate nel 2002 e nel 2005, facendo sì che l’India si adeguasse completamente ai TRIPs.
L’equilibrata impostazione della “Legge sui Brevetti” del 1970, venne stravolto per sempre. Il desiderio dell’India di essere ammessa alla WTO richiese un prezzo molto alto: la perdita della sovranità nazionale; ma, questa perdita comportò ingenti guadagni per altre forze internazionali, in particolare gli Stati Uniti. I TRIPs hanno, di fatto, globalizzato l’impostazione statunitense sui brevetti; la quale, insieme al desiderio dei paesi in via di sviluppo, come l’India, di diventare soggetti attivi nel mercato globale, ha eliminato definitivamente le varie sovranità nazionali. I TRIPs hanno posto seri limiti alla tutela della biodiversità, e alla capacità dei singoli stati di fornire alimenti basilari e medicine essenziali alle proprie popolazioni.
Nel contesto delle nuove tecniche di coltivazione agricola, i TRIPs hanno dato vita a uno scenario da “vincitori e vinti”. In modo particolare, i paesi più potenti, come gli Stati Uniti, possiedono le conoscenze e le risorse per utilizzare i TRIPs e le tutele dei diritti d’autore a loro esclusivo vantaggio. Inoltre, tali posizioni di vantaggio hanno consentito alle multinazionali occidentali dell’agribusiness, come la Monsanto, di ottenere anch’esse enormi profitti. Per la sventura dei contadini indigeni, le strutture nazionali di paesi come l’India non sono più in grado di competere con le potenze occidentali; senza contare che in molti casi, i politici locali hanno adottato una “benevola negligenza”, nei confronti delle esternalità negative, derivanti dai conflitti sulla tutela dei diritti d’autore. Una volta, le innovazioni e gli sviluppi delle sementi dell’India rurale, era senza prezzo- ormai questo non vale più da tempo.

Due casi studio: il Riso Basmati e il Cotone Bt
I seguenti casi studio sono stati selezionati in base alla premessa che evidenziano al massimo l’autoreferenzialità e l’agire manipolatorio delle multinazionali dell’agribusiness. I TRIPs hanno fornito loro l’apparato legislativo, necessario per “legittimare” le loro pratiche di biopirateria e di manipolazione genetica. Nel contesto degli IPR, l’unica alternativa disponibile per l’India era la fuoriuscita dalla WTO, cosa che per le sue forze industriali e politicamente dominanti non rappresentava una soluzione da poter prendere in considerazione. Le azioni e le tecniche adottate dalle multinazionali dell’agribusiness non si basano su nulla di nuovo; anzi, utilizzando le parole di Vandana Shiva, non derivano da “invenzioni; ma dalle conoscenze delle nostre nonne”.

Il caso del Riso Basmati
Il Riso Basmati, famoso per il suo aroma e i chicchi allungati, ha origine nel subcontinente indiano. In giro per il mondo, questa straordinaria qualità di riso è riconosciuta come pilastro della cucina e della tradizione del Sud-Est asiatico. La parola Basmati significa “la regina della fragranza” e la figura della“Terra fragrante” fa parte dei riti folklorisitici e religiosi indiani, come simbolo di fertilità. Secondo la Haryana Agricultural University, uno dei primi riferimenti a questa varietà di riso, risale al poema “Heer Ranja” di Varis Shah, del 1776. Ci sono circa 27 differenti varietà documentate di Riso Basmati, le quali coprono il 10-15% del totale di coltivazioni di riso del paese. Geograficamente parlando, la coltivazione del Basmati si estende nelle regioni del Punjab, dell’ Haryana e dell’Uttar Pradesh. Complessivamente, gli indiani ne producono circa 650.000 tonnellate all’anno, 4-500.000 delle quali per l’esportazione. Con così solidi rapporti economici e storici con le terre in cui viene coltivato, rappresenta un caso da manuale, per capire come una multinazionale dell’agribusiness abbia potuto mistificare l’origine del Basmati.
Col termine “biopirateria” si fa riferimento all’ “uso di sistemi di tutela della proprietà intellettuale, per legittimare la proprietà, e quindi il controllo, in esclusiva di risorse, nonché di prodotti e di processi, biologici, i quali sono usati da secoli nelle culture non-industrializzate”.
Il 2 settembre 1997, la RiceTec Inc., con sede in Texas, ottenne il brevetto num. 5663484, per la variante genetica del riso Basmati, dall’ Ufficio Brevetti e Marchi degli Stati Uniti (USPTO). Immediatamente dopo, la RiceTec iniziò a sviluppare forme ibride, utilizzando varie qualità di Basmati. Pubblicizzata come una “varietà americano di riso Basmati”, la multinazionale elaborò una nuova variante di pianta, ottenuta dall’incrocio dell’americana a chicco lungo e il Basmati.
Furono molte le proteste da parte dei contadini indiani, che ora si ritrovavano a dover pagare i diritti d’autore alla multinazionale; nonostante, la coltivazione e la produzione del Basmati ha una storia di secoli. Per i contadini, il suo sviluppo è una storia in continua evoluzione. Nel contesto indiano, il riso Basmati è considerato una risorse comune, a disposizione della conoscenza e della trasmissione tra le persone. La RiceTec cominciò ben presto la produzione di altre varianti ibride: Kasmati, Texmati, Jasmati, ecc…che, agli occhi dei contadini, dimostrano come gli interessi delle multinazionali siano unicamente orientati al profitto economico. Grazie all’ottenimento del brevetto, la RiceTec ha prodotto 22 nuove varianti di riso; una delle quali, la Basmati 867, presenta chicchi quasi identici a quelli della Basmati naturali, ma si pubblicizzava che avesse un sapore meno calcareo. Considerando che tale situazione minacciava l’esistenza di circa 250.000 contadini sparsi per il paese, il governo indiano, alla fine, decise di reagire. Nell’aprile del 2000, i governanti indiani chiesero pubblicamente al USPTO di rivedere il caso del Basmati della RiceTec, il quale stava seriamente minacciando le esportazioni di riso del paese. I politici indiani fornirono centinaia di pagine di ricerche scientifiche, le quali provavano che i dati spacciati per innovativi, contenuti nel riso della RiceTec, in realtà, erano da sempre presenti anche nel Basmati naturale; inoltre, affermavano che l’uso del nome “Basmati”, confondeva di per sé i consumatori, dato che si trattava solo di un prodotto ibrido. Va tenuto presente che il nome “Basmati” rimanda a una tradizione culinaria di alto livello, e la RiceTec stava godendo di questa nomea. Secondo l’Art. 23 dell’accordo TRIPs, l’utilizzo di termini come “genere”, “tipo” e “stile” è illegale, e la RiceTec stava facendo uso ripetutamente di quei termini, durante la campagna promozionale del suo prodotto. Inoltre, considerando le clausole geografiche dei TRIPs, l’intero procedimento di approvazione e di acquisizione del brevetto del riso Basmati della RiceTec, sarebbe da ritenersi irregolare. L’articolo 22 dell’accordo (clausole geografiche), infatti, proibisce l’uso, sia diretto che indiretto, di nomi relativi all’ origine geografica del prodotto. Il termine Basmati sta all’India, come Champagne sta alla Francia, fa parte dell’identità regionale.
Il 14 agosto 2001, la USPTO ha cancellato molti diritti stabiliti precedentemente dal brevetto Num.5663484. A seguito delle numerose critiche e della pressione popolare, alla RiceTec venne vietato di utilizzare il termine “Basmati”, all’interno della sua pubblicità. A discrezione della USPTO, dei 20 brevetti per varietà ibride di “Basmati”, ben 15 vennero ritirati. Alla RiceTec rimasero solamente le varianti ibride indio-americane, Texmati, Jasmati e Kasmati. Per affrontare e calmare i cittadini e i contadini, dopo il ritiro dei brevetti, il governo indiano affermò pubblicamente che si riteneva soddisfatto, e che si sarebbe continuato a battere finché non fossero stati cancellati tutti i diritti d’autore.
Va detto, che l’aspetto più inquietante di questa vicenda, non è tanto la natura manipolatrice della RiceTec; piuttosto, la mancanza di un’immediata risposta del governo. Come detto prima, i politici indiani sono intervenuti solo una volta che le esportazioni nazionali di riso erano in grosso calo; non si preoccuparono minimamente della fraudolenta natura del brevetto Num. 5663484 in sé per sé. Solamente una volta che gruppi di consumatori, uniti nella Public Interest Litigation (PIL), si rivolsero alla Corte Suprema, che il governo indiano decise di agire contro la RiceTec. Inoltre, la richiesta rivolta alla USPTO riguardo la RiceTec, si riferisce alle attuali esportazioni di grano; mentre, vengono esclusi i settori della biopirateria dei semi e delle piante. Sfortunatamente i problemi e le perdite dei contadini, non sono cose che interessano ai politici. I 15 provvedimenti presi dalla USPTO sono frutto solo di molte lettere di protesta e di contestazione dei cittadini, e delle manifestazioni di piazze dei movimenti contadini.

Capire la biopirateria sul Basmati

Vandana Shiva ha chiaramente evidenziato che “abbiamo vinto la battaglia contro la biopirateria sul Basmati, per tutelare i diritti dei contadini; ma, quella per tutelare le conoscenze e la biodiversità indigena deve ancora essere vinta”. Sebbene la battaglia sul riso Basmati sia stata significativa, rimangono ancora enormi possibilità che possano compiersi atti di biopirateria, a cui si opponga una resistenza minima da parte dei governi. Aldilà della biopirateria, il caso del riso Basmati della RiceTec rappresenta un episodio in cui le risorse naturali di un paese sono state rubate da una nazione straniera, senza consapevolezza e permesso da parte del popolo. Si tratta di un atto di pirateria economica, messo in atto dalla RiceTec, la quale utilizzava il termine “Basmati”, per reclamizzare il proprio riso ibrido, nella speranza di convincere i compratori, che stavano acquistando un prodotto dalle qualità simili a quelle della varietà naturale. Infine, rappresenta un caso di pirateria sia intellettuale che culturale, col quale la RiceTec, attraverso l’acquisizione di un brevetto, si è appropriata di uno stile di coltivazione, tipico di una particolare comunità rurale, senza il permesso di quest’ultima. Essendo fondato su presupposti illegali, è ovvio che i TRIPs promuovano una piuttosto evidente e faziosa concezione favorevole all’Occidente. I paesi in via di sviluppo, come l’India, posso scegliere se uniformarvisi, e di conseguenza nascondere la verità alle proprie popolazioni, oppure rifiutarli, e finire nella lista nera tenuta dalle organizzazioni internazionali. Per favorire il libero mercato, i politici indiani hanno sempre optato per negare al popolo il diritto alla propria sovranità nazionale. Il risultato di tale atteggiamento è una grave minaccia alla concezione tradizionale dell’essere un contadino all’interno delle comunità rurali dell’India.
La pericolosità della biopirateria della RiceTec non deve essere sottovalutata, se si pensa che la multinazionale ha sostenuto di aver inventato alcune caratteristiche fisiche dei chicchi del riso Basmati, così come la lunghezza e l’altezza delle spighe di grano. Affermando la proprietà della pianta stessa, la RiceTec minaccia direttamente l’esistenza delle comunità rurali. Attraverso secoli di migliorie costanti, i contadini indiani hanno sviluppato circa 200.000 varietà di riso; ora, se alla RiceTec venisse riconosciuta la proprietà sulle piante di riso in assoluto, la possibilità che i contadini si scambino i semi (esigenza fondamentale per la sopravvivenza delle loro comunità tradizionali) sarebbe compromessa. Va tenuto presente che, tra lo sbigottimento dei contadini, secondo le norme sugli IPR e sui TRIPs, tale scambio è da ritenersi illegale. «Tra tutti gli IPR contenuti nei  TRIPs, le norme sui diritti d’autore sulle coltivazioni sono quelle con la maggiore incidenza sull’economia dei singoli paesi, in particolar modo per quelli in via di sviluppo». Per le comunità rurali, tali brevetti vanno contro a quello che si può definire la “normalità” delle cose.
Le conoscenze agricole e lo scambio delle sementi si tramandano da sempre attraverso le generazioni, portando con loro le innovazioni su sviluppo e adattamento delle nuove varietà; di conseguenza, ogni genere di brevetto a riguardo, finisce col minacciare la sopravvivenza della cultura contadina tradizionale. La capacità di lavorare la terra, adattandosi al clima del luogo, è fortemente minacciata dal mercato monopolistico, situazione generata dal commercio dei semi di proprietà delle multinazionali, mettendo seriamente a rischio la biodiversità, e impedendo ai contadini di coltivare liberamente i propri campi. Va detto, però, che non è responsabilità delle multinazionali tutelare le comunità rurali; bensì lo è dei governanti, e in India questi ultimi non se ne sono preoccupati. Di fatto, essi sono intervenuti solo quando i livelli delle esportazioni erano calati troppo, allora sono entrati in azione e hanno posto fine al brevetto in esclusiva della RiceTec.

Risposte istituzionali

La marginalizzazione e la destabilizzazione delle comunità rurali indiane sono state istituzionalizzate in seguito all’accettazione dei TRIPs; inoltre,  tutte le situazioni di «condivisione equa dei benefici» previste dalla Convenzione sulla Diversità Biologica delle Nazioni Unite (CDB) sono state permanentemente eliminate. Questa convenzione, sottoscritta a Rio de Janeiro nel 1992, tutela ogni potere nazionale riguardo la conservazione, la condivisione e la gestione delle singole risorse. Promossa prevalentemente dai paesi in via di sviluppo, come l’India, la CDB aveva lo scopo di integrare e tutelare le conoscenze tradizionali indigene; in concreto, la CDB voleva difendere la sovranità nazionale sulle proprie risorse.
I paesi in via di sviluppo sono stati pesantemente danneggiati dalla rimozione delle precedenti tutele, da parte dei TRIPs; tanto è vero, che molte richieste sono state avanzate per avere maggiori chiarimenti sulle concessioni dei brevetti sulle novità (Art. 27.1). I contrari a tali accordi chiedono da tempo un emendamento che introduca una clausola che obblighi preventivamente i beneficiari dei brevetti a rendere pubbliche tutte le informazioni e la storia dettagliata delle loro “innovazioni”. Tale proposta ha suscitato reazioni contrastanti, e molti paesi, in nome della tutela delle conoscenze tradizionali l’hanno condivisa, spaventati dalla carenza di protezione. Questo non è stato il caso dell’India; infatti, i suoi governanti si sono sempre preoccupati maggiormente di integrare il paese alle volontà delle grandi potenze economiche mondiali, come gli Stati Uniti. Va anche considerato che, a causa del fatto che la CDB è solamente una proposta di lavoro, senza alcun valore legale, i TRIPs sono rimasti una priorità da seguire, per i paesi in via di sviluppo, nella speranza di essere accettati nel mercato globale.
Allo scopo di conformarsi ai TRIPs, nel 2001, l’India ha emanato l’ Atto sui Diritti dei Contadini e sulla Tutela della Varietà delle Piante (PVP). Al fine di consentire la tutela dei diritti sulle nuove varietà vegetali (PBR), è stato istituito, dopo averlo precedentemente abrogato, un fondo comune dei geni, come se fosse un’innovazione dell’ Atto sulla Diversità Biologica. La mancanza di attenzione verso le comunità rurali emerge chiaramente dall’incapacità dei governanti di elaborare una politica globale a tutela dei contadini. Nonostante le PBR tutelino la conservazione, lo scambio e la vendita dei semi, le loro varietà necessitano di maggiore tutela; infatti, la maggioranza dei contadini non ha sufficienti risorse finanziare per usufruire delle protezioni di legge, senza contare che un’imposizione proveniente da un atto statale, indebolisce il tradizionale scambio di conoscenze tra le generazioni. In realtà, le PBR, in quanto apparato legale,  finiscono col proteggere solo i grandi contadini, non i piccoli coltivatori.
Come abbiamo visto nel caso esemplare del riso Basmati, i governanti indiani non sono stati del tutti inermi; ma, di fatto, non si sono presi provvedimenti contro le ricadute sociali della diffusione di massa dei semi geneticamente modificati. Questo è particolarmente evidente, quando si analizza il caso del cotone Bt.

Il caso del cotone Bt

Prima dell’occupazione coloniale, il cotone veniva commerciato, tra le popolazioni della valle dell’Indo, principalmente come bene di lusso. Solamente nel XIX Secolo le coltivazioni di cotone assunsero una diffusione di massa. Molti soggetti stranieri (precisamente le multinazionali britanniche e dell’agribusiness) tentarono vari esperimenti per standardizzare le tecniche di coltivazione. Durante gli anni ’70, grazie all’introduzione delle varianti ibride dei semi, la realtà delle comunità rurali contadini, è stata progressivamente caratterizzata da una sempre maggiore perdita di sovranità e di autocontrollo.
La produzione del cotone è un aspetto centrale dell’economia agricola indiana. Circa 7 milioni di contadini dipendono da essa per raggiungere livelli di vita dignitosi, e oltre il 21% del cotone mondiale viene dall’India. Va però considerato che si tratta di una coltivazione molto costosa. Circa la metà di tutti i pesticidi usati nel paese (40.000 tonnellate) viene utilizzata sui campi di cotone, e il prezzo medio dei prodotti accessori, come i pesticidi medesimi, è cresciuto costantemente nel corso degli anni, passando da 99 rupie per acro (1972-3) a 5.934 rupie per acro (1996-7). Per le multinazionali dell’agribusiness, quest’aumento dei costi di produzione del cotone rappresenta la base ideale per vendere, innovare e sviluppare i propri monopoli sui semi; infatti, hanno tratto grandi vantaggi dalle maggiori difficoltà nella sua coltivazione, e dalla ricerca della classe contadina indiana, disperata e poco istruita, che cerca solamente di raggiungere livelli di vita dignitosi. L’India rurale è stata ingannata; infatti, l’introduzione del cotone Bt ha compromesso il senso di sovranità percepito dai contadini, e ne ha destabilizzato le comunità di appartenenza. Si calcola che per una sola stagione di raccolto, il cotone Bt ha pesato sui contadini indiani, a causa dei suoi altissimi costi, dell’enorme cifra di 1,3 miliardi di rupie, occupando oltre 105.000 acri di terreno. Tali effetti esplosivi e destabilizzanti di questa varietà OGM sulla vita rurale indiana, evidenziano chiaramente la natura autoreferenziale delle multinazionali di questo settore.
La Monsanto ha sviluppato il cotone Bt nel 1995, modificando geneticamente la pianta, attraverso l’introduzione di un pesticida, normalmente usato per combatterne i parassiti. Il seme ne contiene direttamente la tossina, cosa che, secondo la multinazionale, avrebbe fatto diminuire i costi per i contadini. Nel 1998, l’azienda cominciò una serie di test sulla nuova varietà OGM in India, sebbene fossero illegali; infatti, non vi fu alcuna trasparenza riguardo i loro protocolli e non vennero richieste alcune autorizzazioni formali a eseguire esperimenti sui terreni delle comunità rurali. Questo fatto evidenzia come le dichiarazioni della Monsanto, secondo le quali l’azienda cerca in ogni modo di non «offendere» le locali comunità rurali, non siano state altro che affermazioni di facciata, fin dalle origini. Una volta resi pubblici i risultati di tali test, la multinazionale ha pubblicizzato il suo cotone Bt come la perfetta coltura «abbatti costi» per i contadini indiani; infatti, si disse che la produzione sarebbe aumentata fino a oltre 1.200 chili per acro; inoltre, si affermò che questa varietà avrebbe avuto bisogno di somministrazioni di pesticidi circa 2,6 volte meno sia di quella naturale che di quella ibrida. Anche se le spese iniziaili sarebbero stati più alti, questa minore necessità di uso di pesticidi, avrebbero alla fine diminuiti i costi per la sua coltivazione tra il 30% e il 40%. Con queste promesse di costi minori a fronte di maggiori rese, i governanti indiani, nel 2002, approvarono la commercializzazione di tre varietà di cotone Bt (MECH 12, MECH 162 e MECH 184). Tale autorizzazione venne concessa alla Monsanto, in associazione alla Maharashtra Hybrid Seed Company (Mahyco), della quale, la multinazionale americana acquisì intelligentemente il 26%. Quelli del cotone Bt furono i primi semi OGM autorizzati dal governo indiano, e, attualmente, vengono visti come chiaro esempio di quanto le potenti multinazionali dell’agribusiness abbiano influito sulla vita delle indifese comunità rurali del paese. Come evidenzierò in seguito, gruppi di tali comunità sono state totalmente emarginate e spinte alla disperazione, a causa della perdita dei raccolti, con ovvie drammatiche conseguenze.
Il “successo” del cotone Bt è frutto delle manipolazione del duo Monsanto-Mahyco. Sarebbe stato irrealistico pensare che queste multinazionali avrebbero resi pubblici dati che avrebbe potuto nuocere ai loro interessi finanziari, attraverso la monopolizzazione del mercato dei semi. Uno studio del 2004, commissionato dalla Monsanto, rivelò, come era facilmente prevedibile, che il cotone Bt avrebbe notevolmente aumentato i guadagni derivanti dalla sua coltivazione. La resa sarebbe aumentata del 58%, dato che avrebbe fatto salire i guadagni del 60%. Appena due anni prima (dal 23 ottobre al 2 novembre 2002), la Research Foundation for Science, Technology and Ecology (RFSTE) aveva effettuato uno studio per valutare i reali effetti del cotone Bt sulla resa delle coltivazioni. Come prima cosa, si scoprì che i parassiti attaccavano le piante geneticamente modificate molto più spesso di quanto facessero con quelle naturali o ibride. In secondo luogo, l’aumento di produzione fino a oltre 1.200 chili per acro non si era mai concretizzato, e che la punta massima era stata solo di circa 300 chili. Infine, la ricerca della RFSTE concluse che le coltivazioni di cotone naturale o ibrido delle comunità rurali avevano una resa media di quasi 500 chili per acro.

Il Ciclo della Destabilizzazione

Una volta che il cotone Bt viene piantato, inizia il ciclo sistematico di destabilizzazione, e ben poco si può fare per mitigare le perdite, che in breve tempo colpiranno i contadini; ovviamente, le multinazionali sono sempre state a conoscenza di questo effetto domino per le comunità rurali. All’incirca il 90% delle larve di parassiti lasciano i campi; l’impollinazione incrociata diventa inevitabile, e diventa la tattica preferita per creare nuovi “clienti”; ogni coltivazione di cotone Bt deve essere circondata da 5 campi, i quali formano una “cintura sanitaria” di protezione, che portano il rapporto tra terre coltivabili e non di 4 a 1. Molti contadini sono stati tenuto all’oscuro di tali principi, in modo che le multinazionali potessero ottenere nuovi guadagni dall’impollinazioni incrociate e dalle tecniche di colture di ingegneria genetica. Nel 2004, in India, le coltivazioni di varietà Bt occupavano 1,3 milioni di acri di terreni coltivabili, cioè circa il 7% del totale delle terre dedicate al cotone. Ad arrivare al 2006, tale cifra era aumentata di altri 3,8 ettari. Anche se questo rappresenta un serio problema per i contadini, non tutti questi aumenti sono da attribuire alle impollinazioni incrociate; infatti, la propaganda utilizzata dalla Monsanto,per la promozione del cotone Bt, si è rivelata molto allettante per gli agricoltori. Spesso sono stati utilizzati personaggi pubblici molto famosi, i quali si rivolgono in particolar modo alle comunità rurali. La motivazione principale, grazie alla quale è stato ottenuto il sostegno e l’approvazione del governo, è stata quella dei minori costi di produzione; di conseguenza, la totale mancanza di aumenti nei raccolti ha rappresentato una grande sorpresa per gli amministratori pubblici, i quali, al momento non sanno come reagire.

Resistenza dei parassiti e fallimento dei raccolti

La Monsanto ammise pubblicamente che i livelli di resistenza ai pesticidi chimici, da parte dei semi Bt, non cala significativamente dopo i primissimi raccolti. Il fallimento del cotone Bt a riguardo è clamoroso, e può portare con sé numerose conseguenze negative. Al livello di base, i contadini devono sopportare un peso economico maggiore per tali semi, aspetto molto importante, se si considera che quelli Bt sono circa 4 volte più costosi di quelli naturali o di quelli ibridi; senza considerare i danni derivanti dal fatto che piantare questo genere di semi, significa che i contadini perdono i raccolti delle varietà che si sono evolute nel corso dei secoli. Questo è il motivo percui il cotone Bt è particolarmente negativo; infatti, smettendo di utilizzare le varianti indigene, i contadini diventano totalmente dipendenti dalle multinazionali dell’agrobusiness. Gli agricoltori hanno un limitato potere di controllo sui semi Bt, in quanto il ciclo della loro produzione è più che altro frutto di combinazioni chimiche. I terreni coltivati con essi vengono inondati di pesticidi circa 30 volte all’anno, come conseguenza della maggiore resistenza dei parassiti. Questo aumento di utilizzo di prodotti chimici ha ucciso molti “nemici” dei parassiti del cotone, comprese le vespe e alcune specie di ragni. Ci sono voluti circa 500 milioni di dollari, per sviluppare specifici pesticidi adatti a tali parassiti; mentre, sono bastati solo 5 anni, affinché nascessero delle varietà  resistenti ad essi. Inoltre, livelli così alti di resistenza, riscontrata nei parassiti hanno spinto altri animali - come acari, cicadellidi e parassiti delle barbabietole- ad aumentare i loro attacchi ai campi di cotone Bt. Il pesticida Bt non possiede le caratteristiche genetiche per sconfiggere realmente tali parassiti; così, i contadini sono costretti ad acquistare continuamente nuovi pesticidi, erbicidi e  insetticidi, per proteggere costantemente i propri raccolti. Questo circolo vizioso ha gettato la maggior parte dei coltivatori di cotone Bt, nella schiavitù del debito, in quanto non sono finanziariamente in grado di sostenere tutte queste continue spese. D’altra parte, se decidessero di non tutelare le loro colture, la loro unica fonte di sostentamento sarebbe seriamente minacciata, causando maggiore povertà e dipendenza dalle multinazionali. Con i tassi dei prestiti che variano tra il 36% e il 50%, gli appartenenti alle comunità rurali si indebitano sempre di più. Va considerato, che queste somme non arrivano da enti pubblici; bensì, o da finanziarie agricole private o dalle multinazionali dell’agribusiness stesse.
Questo fenomeno si rivelò disastroso per l’intera “cintura del cotone” indiana; in particolar modo, per ragioni biofisiche, per le regioni dell’ Andhra Pradesh (AP) e del Maharashtra. Nel primo caso, i terreni agricoli non hanno reagito bene alle caratteristiche genetiche del Bt. I semi non OGM necessitano approssimativamente di 3.000 litri d’acqua per produrre un chilo; mentre, tutti gli altri tipi (inclusi i Bt) ne richiedono almeno 5.000 litri. Va considerato che questa è una regione che soffre spesso di siccità; quindi, il risultato della diffusione delle colture Bt è stato il dilagare della destabilizzazione sociale.
I coltivatore del cotone Bt nell’ AP hanno fatto ricorso di sostanze chimiche in modo massiccio, ottenendo però minori rese, con la conseguenza di ricavare minori guadagni, rispetto ai loro colleghi delle altre aree. Tutte le tre varietà approvate non sono in stato in grado di sopravvivere alle difficili condizioni della regione, in particolar modo alle frequenti siccità. Nel 2003, V.S. Rao, il ministro dell’agricoltura dell’Andhra Pradesh, ha commentato il caso del cotone Bt, affermando che «i contadini non hanno maturato esperienze positive, né ottenuto risultati positivi a riguardo». Il cotone derivante dalle coltivazioni Bt è particolarmente secco e piccolo, e produce scarsi livelli produttivi, col risultato di aver un minore valore sul mercato.
Inoltre, i contadini dell’AP non riescono a ottenere sufficiente acqua per irrigare a dovere i campi, finendo con l’ottenere guadagni molto più bassi dei loro colleghi di altri stati. In queste condizioni, sono più portati a contrarre debiti, perché sono obbligati a sostenere ingenti spese, per continuare a produrre il loro cotone Bt. Circa l’80% dei prestiti erogati loro provengono da fonti “non-ufficiali”, le quali, senza rischiare nulla, godono della situazione di difficoltà in cui sono stati gettati i contadini, per molti dei quali, il cotone Bt si è trasformato in un incubo senza fine. La disperazione in cui sono sprofondati ha fatto notevolmente alzare i tassi di indebitamento e, cosa molto più preoccupante, di suicidi.
I suicidi di contadini, nell’ Andrah pradesh, sono notevolmente aumentati, dopo che il cotone Bt è stato introdotto, e reclamizzato, dal governo. Le difficoltà finanziarie che l’ha accompagnato, sono via via aumentato; inoltre, l’adozione dei semi OGM, e il loro fallimento, hanno costantemente fatto crescere il senso di colpa in molti agricoltori. Questo senso di sconfitta si è accompagnato all’abbandono delle tecniche agricole tradizionali, che ha spezzato il precedente senso comunitario e famigliare. La perdita del controllo sulle coltivazioni, sia nel senso di un maggior indebitamento, sia nel senso della cessazione della loro sovranità, sono semplicemente insostenibili per molti contadini.
Una tendenza simile è riscontrabile nel Maharashtra, che rappresenta la casa di circa 3,2 milioni di coltivatori di cotone, tra i quali, coloro che hanno adottato i semi Bt, si lamentano costantemente dell’avvizzimento delle colture. Meglio conosciuto come “marciume totale”, il cotone Bt non è adatto alle condizioni fisiche di molte regioni dell’India; inoltre, in tutti i casi di suo fallimento, non sono stati in gradi di compensare le perdite, utilizzando i semi naturali.
L’ambiente metereoligico stabile, necessario per ottimali coltivazioni di cotone Bt, non sono realistiche in quelle zone; e i coltivatori, abituati a lavorare quei terreni lo sanno benissimo. Questa frustrazione ha avuto conseguenze drammatiche su di essi. Il governo ha confermato più di 200 casi di suicidi tra contadini, solamente tra il luglio 2005 e il febbraio 2006. Molti di essi, come nei casi registrati nell’AP, erano coperti di debiti. Circa il 60% degli agricoltori che si sono tolti la vita in quel periodo, come nel caso di quelli dell’AP, avevano debiti per un valore tra i 110 e i 550 dollari.
I semi resistenti ai parassiti, come quelli del cotone Bt, sono stati gli unici prodotti OGM utilizzati dagli agricoltori di piccole dimensioni. Bisogna considerare che circa il 75% dei terreni coltivati in India, si trovano in zone secche. Esiste una larga fetta della popolazione contadina indiana che sta riscontrando enormi problemi causati dalla coltivazione del cotone Bt, a causa del suo estremo bisogno di abbondante acqua piovana. Per le multinazionali, e i loro compratori, questi rappresentano un ottimo segmento di mercato; soprattutto, se si pensa che i contadini hanno un controllo minimo sui loro terreni. Gli abitanti delle zone rurali hanno sperimentato un “abbandono” delle tecniche tradizionali, fenomeno che ha generato pesanti conseguenze, sia sociali che ecologiche. L’importanza culturale dello scambio delle conoscenze è stata distrutta a causa degli IPR scientifici. A causa delle regole scientifiche, poste alla base delle coltivazioni dei semi OGM, come quelli del cotone Bt, i contadini non sono più in grado di coltivare i propri terreni. A causa dell’aumento impressionante dei debiti e della depressione, i semi OGM hanno anche incrementato i casi di fallimenti nelle zone rurali e il tasso di suicidi.

Movimenti contro la destabilizzazione

In definitiva, dal 1997, oltre 100.000 agricoltori si sono suicidati, a livello nazionale – l’86,5% dei quali aveva un debito medio di 835 dollari. Il governo indiano ha costantemente attribuito questo aumento a disturbi mentali o a problemi famigliari; se fosse vero, si dovrebbe parlare di una loro pandemia. In realtà, questo aumento della disperazione sociale, va seriamente affrontato, perché genere conseguenze sempre più onerose per le comunità rurali. Circa il 70% dei contadini indiani eredita attività di piccole o medie dimensioni. L’India ha un sistema sociale patriarcale, nel quale è l’uomo a esserne il proprietario; infatti, la maggior parte di coloro che si sono tolti la vita sono maschi, i quali, così facendo, lasciano l’intera responsabilità degli affari sulla femmina più vecchia. Come conseguenza del suicidio, i membri della famiglia rimasti in vita, si devono accollare l’onere del debito non pagato. Se la cifra non viene restituita, i terreni vengono confiscati dai creditori. Sotto questa grande pressione, per ripagare i debiti, i bambini devono abbandonare la scuola per iniziare a lavorare. Il fatto che l’onore di ripagare i debiti sia caduta sulle spalle di molte donne ha generato grandi sconvolgimenti sociali all’interno delle comunità rurali indiane.
In risposta a tale devastazione, sono sorti numerosi movimenti sociali, nella speranza di mitigare i danni causati dalle multinazionali dell’agribusiness e dall’imposizione degli IPR. Il “Self Reliance Education and Employement” (Movimento per il Lavoro e l’Istruzione Auto-Resilienti) (SEEE) è uno di questi, e concentra principalmente i suoi sforzi sulla mobilitazione delle donne contadine, le quali subiscono notevolmente gli effetti dei suicidi. Circa 25.000 di esse, provenienti da comunità rurali gravemente impoverite, hanno frequentato corsi di formazione professionale, allo scopo di farle uscire dallo stato di disperazione, ormai inevitabilmente associato all’agricoltura. Il “Navdanya”, che si occupa di semi, ed è stato promosso da Vandana Shiva, rappresenta un altro esempio di movimento che cerca di opporsi alla crisi del mondo agricolo. I suoi sforzi sono concentrati alla salvaguardia della biodiversità dei semi indiani, e ha creato oltre 16 banche dei semi comunitarie, in 6 diversi stati indiani. La legge sui brevetti viene considerata come un atto illegale. Anche in questo caso, si vuole superare lo status quo, e ci si batte affinché i diritti dei contadini vengano salvaguardati.
Se si tiene a mente la situazione disperata appena descritta, si capisce come il governo indiano abbia di fatto abbandonato le comunità rurali del Paese. Un piccolo impegno politico ha generato una piccolissima quantità di risorse per queste realtà. Il governo indiano ha costantemente sacrificato i contadini, al benessere del mondo industriale, ricercato attraverso la dottrina del “libero mercato”, della NEP del 1991, e conseguente all’adesione alla WTO. Le politiche di “liberalizzazione selvaggia” hanno costretto gli agricoltori ad adottare tecniche di “svendita”, e, cosa più preoccupante, ad abbandonare le comunità rurali di origine. Si stima che entro il 2020, circa il 70% degli emigranti nel Tamil Nadu, il 65% nel Punjab e il 55% nell’ Uttar Pradesh, arriverà proprio dalle comunità rurali. Questa marea umana, circa 400 milioni di agricoltori, rappresenta un problema con cui il governo dovrà fare i conti. La maggior parte della crescita industriale dell’India si sviluppa nei centri urbani; ma, nel tempo, sarà seriamente compromessa, se le comunità rurali verranno ancora abbandonate.

Conclusioni

I casi emblematici che abbiamo analizzato evidenziano la natura manipolatoria sia dell’azione delle multinazionali dell’agribusiness che della reale natura della legge sui diritti di proprietà industriale. I paesi in via di sviluppo, come l’India, hanno poche opzioni: uniformarsi agli accordi internazionali, come i TRIPs, e spingere l’acceleratore sul commercio, a discapito delle comunità rurali; oppure, entrare nella “lista nera” della WTO, per non aver spalancato le porte del mercato interno, requisito necessario per la loro adesione.
I governanti indiani hanno scelto la prima opzione, stravolgendo il sistema economico nazionale, trasformandolo da uno basato sulle esigenze dell’agricoltura, a uno orientato al profitto del settore industriale. Questa industrializzazione della produzione agricola ha cancellato il senso identitario collegato alle comunità agricole e rurali – l’idea dell’autosufficienza rurale è stata compromessa per sempre.
Questo articolo ha evidenziato le reali capacità delle multinazionali dell’agribusiness - come la Monsanto, la Mahyco e la RiceTec – di esercitare un controllo assoluto, monopolistico, sulla vita delle comunità rurali. Questi tentativi sono o espliciti, come nel caso del riso Basmati, o impliciti, come nel caso del cotone Bt. Emergono alcuni aspetti comuni tra i due casi, che caratterizzano tutte le conseguenze drammatiche subite dalle comunità rurali indiane. Nello specifico, il ciclo di produzione agricola è stato distrutto per sempre. Per i contadini, non si tratta più di un diritto piantare i semi, coltivare le piante, e venderne i prodotti, all’interno di un processo ciclico; bensì, si è trasformato in un privilegio. Nel caso del Basmati, c’è anche un terzo diritto da pagare, per poter avere l’onore di piantare i semi. Le conoscenze tradizionali, la sapienza tramandata di generazione in generazione, e l’esperienza nella coltivazione non potevano competere con l’apparato legale che lavorava per la RiceTec. Una cultura di decine di migliaia di anni è stata annientata nel volgere di un breve periodo, e senza grandi sforzi. Nel caso del cotone Bt, la possibilità di piantare un seme in modo naturale è stata cancellata dalla legge sui brevetti sui prodotti genetici.
Il diritto a produrre è stato manipolato dalle multinazionali dell’agribusiness, col risultato di lasciare agli agricoltori ben poca possibilità di controllare in modo autonomo il ciclo di produzione agricola. La struttura degli IPR hanno favorito la crescita economica e fatto crescere gli investimenti stranieri in India. Le multinazionali stanno spendendo circa 7 miliardi di dollari all’anno per la ricerca e lo sviluppo; solo la Monsanto, nel 2004, ha ottenuto oltre 70 brevetti nella sola India. Questi alti livelli di investimenti hanno reso evidente che non si vede una soluzione all’orizzonte.
Finché i governanti, sia locali che internazionali, non faranno un passo indietro, riguardo i disastrosi effetti degli IPR sulle comunità rurali, un reale cambiamento avverrà molto difficilmente. A fronte di un potenziale miglioramento per il comparto industriale, sicuramente per il monto contadino si tratterà di una pesante sconfitta. Questa sconfitta comporta la perdita della sovranità, di ricchezza, di biodiversità, di cultura, di senso comunitario e dell’identità della vera India.

da globalresearch

tradotto da Manuel Zanarini