Due notiziole hanno riproposto negli ultimi giorni la questione del nucleare. La prima viene dagli Stati Uniti, dove il Senato del Vermont ha votato, per ragioni di sicurezza, la chiusura del suo reattore atomico nel marzo del 2012. La seconda viene dall’Italia, dove il ministro dell’istruzione Gelmini ha annunciato un programma per spiegare agli studenti la bontà dell’energia atomica. Da una parte la realtà del nucleare che, nonostante i giganteschi sforzi della lobby che lo sostiene, proprio non ce la fa a rendersi credibile specie per quanto riguarda la sicurezza; dall’altra una propaganda odiosa quanto priva di veri argomenti. Ma siccome la propaganda c’è e non bada a spese, può essere utile concentrarsi sulle principali menzogne utilizzate dai sostenitori del nucleare. Menzogna n° 1: il nucleare è pulito e sicuro
Da decenni ascoltiamo la favola del «nucleare pulito e sicuro», un obiettivo sempre rimandato ai «reattori di nuova generazione», ammettendo così implicitamente l’insicurezza di quelli già esistenti, sulla cui sicurezza si era in precedenza giurato. Basterebbe riflettere su questo giochino, fondato sul credo delle infinite possibilità della tecnologia, per comprendere portata e natura dell’imbroglio atomico. «Pulito e sicuro» è stata anche la formula magica utilizzata 10 giorni fa da Obama (il «verde» Obama...) per annunciare la ripartenza del programma nucleare negli Usa con un apposito prestito federale – chissà perché le centrali nucleari debbano essere sempre finanziate con denaro pubblico! – per due nuovi reattori nella centrale di Augusta in Georgia. In realtà, due nuovi reattori in un paese che ne possiede 104, e che non ne commissiona di nuovi dal 1978, è praticamente niente, ma tanto è bastato per far esultare gli ultras del partito dell’atomo. Ma come si presenta oggi la questione della sicurezza? Per rispondere conviene partire proprio dal Vermont. La decisione di chiudere il reattore Yankee (così si chiama) nasce dalle periodiche perdite di materiale radioattivo. La società proprietaria della centrale, la Entergy di New Orleans, aveva negato davanti al parlamento del Vermont l’esistenza delle fughe conseguenti ad un guasto avvenuto nel 2007, ma per sua sfortuna fu abbondantemente smentita dai test successivamente effettuati. Oggi, di fronte all’evidenza, la Entergy ammette quel che prima aveva spudoratamente negato. Scarica la colpa su alcuni funzionari negligenti, prontamente licenziati, ed assicura che oggi il reattore funziona perfettamente e che non può che far del bene ai boschi del Vermont. Ci siamo soffermati su questo caso non solo perché l’ultimo della serie, ma soprattutto perché emblematico del meccanismo della menzogna che caratterizza la gestione del nucleare in tutto il mondo. Un meccanismo basato sul circolo: negazione degli incidenti, parziale ammissione quando si è scoperti, rassicurazione per il futuro. Questo meccanismo è stato usato sistematicamente in occasione di decine di incidenti in Francia, in Gran Bretagna ed in altri paesi. Possiamo citare gli innumerevoli incidenti che costellarono l’estate 2008 in Francia, nel più grave dei quali – avvenuto nell’impianto di Tricastin – si raggiunsero valori di radioattività nell’ambiente superiori di 130 volte alla soglia di sicurezza. Oppure quello della centrale slovena di Krsko. O quelli nelle centrali inglesi, nelle cui zone circostanti è da tempo accertato un significativo aumento delle leucemie. Ma parlando di sicurezza bisogna sempre ricordare la catastrofe di Chernobyl (aprile 1986) a causa della quale si calcolano oggi decine di migliaia di morti per tumore, mentre la contaminazione del territorio farà sentire i suoi effetti per un tempo lunghissimo. Come bisogna ricordare l’incidente di Three Mile Island (Usa) dove nel 1979 si arrivò ad un passo da un disastro ancora più grave di quello di Chernobyl, e dove comunque negli anni successivi si è registrato un picco di tumori tra gli abitanti della zona. Ma qualcuno potrebbe pensare che questi incidenti appartengano ormai al passato, frutto delle obsolete tecnologie del secolo scorso. A parte il fatto che la tecnologia nucleare non è poi cambiata molto, e non a caso i problemi che si presentano sono più o meno sempre gli stessi, bisognerebbe riflettere su quanto accaduto nella centrale giapponese di Kashiwazaki nel luglio 2007. Non stiamo parlando di un impianto qualsiasi, ma della centrale atomica più grande del mondo (8.000 MW di potenza). E non stiamo parlando di un paese qualsiasi, bensì del Giappone, sempre portato ad esempio dal punto di vista tecnologico. E portato ad esempio in particolare per la prevenzione sismica. Eppure fu proprio un terremoto, peraltro di intensità assai inferiore rispetto a quello ipotizzato nei calcoli di progetto della centrale, a provocare perdite radioattive, incendi ed altri guasti che portarono alla chiusura dell’impianto. Hanno niente da dire su Kashiwazaki i nostrani fautori dell’atomo? Se ne parlerà nella scuola gelminiana? Ovviamente no, dato che lo scopo sarà semplicemente quello di indottrinare. Eppure basterebbe citare il sintetico commento dell’AIEA (Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica) secondo cui sull’evento verificatosi nella centrale giapponese «non esiste esperienza né regole per caratterizzarne con precisione gli effetti». Incidenti a parte resta poi la gigantesca questione delle scorie. Una questione irrisolta, non solo in Italia come si vorrebbe far credere, ma nel mondo intero. Una questione che rimanda ad una responsabilità tremenda verso le nuove generazioni, e che intanto costa alla collettività cifre enormi inevitabilmente scaricate sulle bollette elettriche. Menzogna n° 2: il nucleare risolverà i problemi energetici del pianeta Se la trattazione del tema della sicurezza è caratterizzata dall’omertà, la menzogna sulla capacità del nucleare di risolvere i problemi energetici del pianeta è forse la più grossa. Se noi chiedessimo, non dico a dei passanti, ma ad una platea di insegnanti, giornalisti, economisti e politici qual è il contributo attuale del nucleare alla copertura del fabbisogno energetico globale, credo che avemmo risposte abbastanza esilaranti, come se avessimo preteso da una platea di calciatori la conoscenza della teoria della relatività. Eppure il dato è semplice: 6%. Dopo decenni di nucleare (la prima centrale costruita a scopi energetici entrò in funzione in Inghilterra nel 1956), un modestissimo sei percento. Una percentuale ferma da anni e che non sembra proprio destinata a crescere. Gli impianti in costruzione sono infatti pochissimi, in Europa ad esempio sono soltanto 2, a Olkiluoto in Finlandia e a Flamanville in Normandia (progetto a cui partecipa anche l’Enel). Tenendo anche conto dei tempi reali di costruzione, che si avvicinano in genere ai 10 anni, due reattori in costruzione a fronte dei 148 in funzione nell’Unione Europea sono niente, ed anzi danno perfettamente l’idea di una tecnologia oggettivamente in declino. In declino per una serie di fattori: ambientali, economici e relativi all’effettiva disponibilità della materia prima. Quel che è certo è che il mondo non sta affatto andando, come invece si vorrebbe far credere, verso il nucleare. Per comprenderlo appieno basti pensare che la stessa IEA (International Energy Agency) prevede che nel 2030 il nucleare arrivi a coprire il 6,9% del fabbisogno mondiale di energia. E, cosa ancor più significativa, prevede un aumento percentuale dell’energia prodotta dall’atomo addirittura inferiore all’incremento atteso per una fonte ormai super-sfruttata come l’idroelettrico. E alla IEA il partito atomico ha sicuramente buoni amici, per cui non è difficile prevedere che questi stessi dati, per quanto non certo positivi per il nucleare, siano comunque sovrastimati. Uno dei trucchi utilizzati per far credere ai miracoli del nucleare è quello di confondere i consumi di energia con i consumi elettrici. E’ un trucco grossolano, ma che funziona. Si dice allora, giusto per fare un esempio, che la Francia ottiene dall’atomo il 78% dell’energia di cui ha bisogno, mentre si dovrebbe dire che produce il 78% dell’energia elettrica, che corrisponde a circa il 26% dell’energia complessivamente consumata. La percentuale di energia consumata sotto forma di elettricità è infatti attorno ad un terzo dei consumi complessivi. Sta di fatto, volendo rimanere all’esempio francese, che la quantità di combustibili fossili consumati in Francia è sostanzialmente equivalente a quella dell’Italia che dall’atomo non ricava un solo chilowattora. Al di là dei problemi ambientali, sanitari e della sicurezza, una delle ragioni per cui l’energia atomica non potrà in nessun caso risolvere i problemi energetici del pianeta è la scarsa disponibilità della materia prima, l’uranio. E’ questo, certo non per caso, uno degli elementi più oscurati dalla (dis)informazione corrente. Eppure, anche qui, dati assolutamente negativi per le prospettive atomiche ci arrivano non da qualche ambientalista affetto dalla sindrome Nimby, ma dalla AIEA, la già citata agenzia atomica dell’ONU. Questa agenzia, che evidentemente tutto può essere fuorché nemica del nucleare, stimava nel 2001 che le riserve di uranio «ragionevolmente assicurate» (dunque neppure del tutto certe) fossero sufficienti ad alimentare le centrali esistenti (escluse quindi quelle future) per soli 35 anni. Si può forse ritenere che le riserve effettivamente sfruttabili in futuro, grazie alla scoperta di nuovi giacimenti, possano risultare un po’ superiori, e le proiezioni – così come avviene del resto per i combustibili fossili – ne tengono giustamente conto. Ma da qui ad immaginare il nucleare come soluzione ai problemi energetici ce ne corre abbastanza per rendersi conto dell’enorme panzana che vorrebbero venderci. Menzogna n° 3: il nucleare abbassa il costo dell’energia E’ questa un’altra falsità ben radicata. Per dimostrarlo partiamo da un paradosso solo apparente. Abbiamo già accennato che il costo dello stoccaggio delle scorie finisce nelle bollette elettriche. Bene, se per ipotesi l’Italia non avesse mai avuto centrali nucleari quel costo (valutato in 3-4 miliardi di euro) non ci sarebbe. Altro esempio: oltre trent’anni fa l’Enel andò ad impelagarsi nel progetto francese del Superphénix, il cosiddetto reattore autofertilizzante che prometteva meraviglie straordinarie. Risultato? Quel reattore non ha praticamente mai prodotto energia ed oggi è fermo e abbandonato. Il prezzo di quell’avventura (10 miliardi di euro) è stato interamente scaricato sul costo del chilovattora, anche se ben pochi utenti italiani, magari convinti invece di pagare troppo l’energia elettrica proprio perché non abbiamo centrali atomiche in funzione, lo sanno. Un altro aspetto sul quale si mente spudoratamente è quello del costo delle centrali. Per una centrale con reattore EPR, prodotto dalla francese Areva, come quelle che si vorrebbero costruire in Italia, il governo e l’ad (amministratore delegato) dell’Enel, Fulvio Conti, parlano di un costo unitario di 3-3,5 miliardi di euro. Secondo l’omologo tedesco di Conti, l’ad di E.On Bernotat, il costo sarebbe invece di 6 miliardi. Quel che è certo è che nella già citata centrale di Olkiluoto (Finlandia) i costi inizialmente previsti sono aumentati del 77%. Questo impianto doveva entrare in esercizio nel maggio 2009, mentre ora si prevede che ciò avverrà nell’estate del 2012. Nel frattempo il costo è passato da 3,0 a 5,3 miliardi di euro. Ed anche i «freddi» finlandesi hanno iniziato a surriscaldarsi, imprecando contro il reattore EPR che tanto entusiasma Berlusconi e soci. Ma a mettere in dubbio l’economicità del nucleare non sono solo ambientalisti convinti e sostenitori delle energie rinnovabili. Sono anche alcuni «mostri sacri» della finanza. Uno per tutti Citigroup, la più grande holding di servizi finanziari del mondo, che in un recente documento considera inaccettabili i rischi finanziari (ovviamente a Citigroup questo interessa, e nient’altro) del nucleare. Incertezze nella fase di costruzione, costi di realizzazione ma anche di gestione, instabilità del prezzo dell’energia, elevati costi di smantellamento: sono questi i fattori che portano Citigroup a sconsigliare vivamente gli investimenti privati nel settore. Se nucleare sarà, conferma Citigroup, esso non potrà che essere riccamente sovvenzionato dagli stati. E per sovvenzionarlo esistono solo due modi: o accettare un consistente aumento delle bollette (altro che riduzione!) o far ricadere buona parte dei costi di costruzione, gestione e smantellamento sullo stato, cioè sulla fiscalità generale, in base all’inossidabile principio della privatizzazione dei profitti e della socializzazione delle perdite tipico del capitalismo reale, un capitalismo che si vorrebbe liberista ma che è invece iper-assistito. Restano da sfatare i luoghi comuni sul prezzo del chilowattora «nucleare» di produzione francese, importato nottetempo dall’Italia. Un chilowattora conveniente infatti solo nelle ore notturne, per una ragione tecnica che vedremo più precisamente al punto successivo. Menzogna n° 4: l’Italia è obbligata ad importare energia elettrica di fonte nucleare
L’Italia non è affatto obbligata ad importare alcunché, oggi meno che mai. Su questo punto riprendiamo quanto scritto un anno fa (vedi Colonia francese?). «Si parla di dipendenza del sistema elettrico nazionale solo in virtù di importazioni che nascono da una scelta economica non da una necessità strutturale come i più sono indotti a credere. L’Italia ha una potenza installata ormai vicina ai 100mila megawatt, quando la rete elettrica nazionale ne richiede nelle punte massime 55.000. Ovviamente non tutta la potenza installata può essere sempre disponibile, sia per le manutenzioni, che per la stagionalità di alcune fonti primarie come l’idroelettrico e l’eolico, ma è sicuro che l’attuale potenza disponibile è perfettamente in grado di soddisfare tutte le esigenze nazionali (360 miliardi di Kwh annui). Allora perché l’Italia continua ad importare circa 40 miliardi di Kwh all’anno dalla Francia? Semplice, solo ed esclusivamente perché è conveniente. Ma la convenienza non discende da un minor costo del chilowattora nucleare, ma da una rigidità tecnica facilmente spiegabile. Gli impianti nucleari (come in generale quelli termici) sono poco flessibili; non possono (a differenza di quelli idroelettrici o turbogas) variare il carico di funzionamento in tempi rapidi. Ora si da il caso che l’energia elettrica abbia la particolarità di dover essere prodotta in tempo reale (consumo = produzione meno perdite di rete). A differenza delle altre forme di energia non è possibile l’accumulo e dunque un sistema elettrico come quello francese nuclearizzato al 78% la notte, con un carico che è circa il 50% di quello diurno, si trova in condizioni di enorme sovrapproduzione che determina una necessità di vendita sottocosto all’estero. Ed infatti l’Italia importa dalla Francia essenzialmente di notte (utilizzando fra l’altro l’energia a basso costo per ricaricare i bacini idroelettrici che funzionano a pompaggio), non di giorno quando la curva del carico di rete è massima, a dimostrazione che il sistema nazionale sarebbe perfettamente in grado di fare a meno delle importazioni». Menzogna n° 5: solo il nucleare, non le energie rinnovabili, può sostituire i combustibili fossili
La questione della sostituzione dei combustibili fossili è certamente molto seria. Sostituire petrolio, carbone e gas con altre fonti è assolutamente necessario, indipendentemente da ogni considerazione ambientale, per il semplice motivo che si tratta di risorse finite il cui esaurimento potrà essere rimandato ma non evitato. Pensare di affrontare questa questione gigantesca senza mettere in discussione il modello energivoro attuale è pura follia. La conferenza sul clima di Copenaghen è lì a ricordarcelo. In ogni caso il petrolio è sempre meno utilizzato per produrre energia elettrica. In Italia siamo passati da una quota del 64% sul totale del settore termoelettrico nel 1994, ad una percentuale del 7,4 nel 2007, e la tendenza è ancora verso il calo. La quota del carbone, soprattutto in virtù della grande disponibilità di questa fonte primaria, è invece in aumento e nel 2007 copriva il 16,5% della produzione termoelettrica (che, a sua volta rappresenta circa il 73% dei consumi nazionali). Ma il combustibile che sta davvero spadroneggiando è il gas naturale, che in un quindicennio ha praticamente sostituito il petrolio, arrivando ormai ai due terzi dell’intera produzione termoelettrica. Naturalmente, vale qui la banalissima considerazione già fatta al punto 2: una cosa sono i consumi elettrici, altra cosa i consumi energetici nel loro insieme. Ma, parlando di nucleare è doveroso fermarsi al settore elettrico e questo è già un suo limite evidentissimo. Infatti, mentre l’energia nucleare può essere soltanto trasformata in energia elettrica, usiamo tutti i giorni il gas ed i derivati del petrolio anche per viaggiare e riscaldarci. Questo limite del nucleare – al di là del problema dell’esaurimento dell’uranio – esclude a priori l’energia atomica come sostituto dei combustibili fossili. Si dirà che questo svantaggio rispetto alle fonti tradizionali caratterizza anche le energie rinnovabili. In larga parte è vero, ma non del tutto, dato che l’energia solare può essere utilizzata anche per usi domestici non elettrici. Il punto decisivo però non è questo. L’elemento che farà pendere la bilancia a favore delle rinnovabili è proprio quello della “rinnovabilità”, un requisito che il nucleare non ha, un requisito destinato a diventare sempre più importante. Ma c’è un altro elemento non trascurabile, quello della localizzazione: mentre il nucleare ha bisogno di siti dalle caratteristiche particolari (basti pensare alle enormi quantità d’acqua necessarie), le rinnovabili possono essere impiantate in maniera diffusa, presentando in genere un impatto ambientale abbastanza modesto, anche se non nullo. Infine l’aspetto economico. Abbiamo visto come Citigroup sconsigli ai privati di investire nel nucleare per i rischi finanziari che ciò comporta, rischi che sono enormemente più bassi nel settore delle rinnovabili. Si dirà che ad oggi le rinnovabili vivono largamente grazie alle incentivazioni (in Italia i cosiddetti “Certificati Verdi”). E’ vero, anche se non del tutto, ma abbiamo già ricordato che lo stesso nucleare sarebbe impensabile senza copiose sovvenzioni pubbliche. Quel che è certo è che nel 2008 gli investimenti mondiali nel campo delle rinnovabili (140 miliardi di dollari) hanno superato per la prima volta quelli nelle fonti tradizionali (110 miliardi di dollari) e che tali investimenti sono quadruplicati in 4 anni. Naturalmente i capitalisti che investono sulle rinnovabili guardano al profitto esattamente come quelli che lo fanno sulle fonti tradizionali (sul nucleare abbiamo visto che ormai non lo fa praticamente più nessuno), e da questo punto di vista non sono né «migliori» né «peggiori» dei loro colleghi. Tutto lascia però pensare che siano semplicemente più «realisti». Ed il fatto che stiano ormai prevalendo è un altro dato che ci conferma che non sarà certo il nucleare la vera alternativa ai combustibili fossili. Brevi conclusioni (con un occhio soprattutto all’Italia)
Ma allora, se anche i capitalisti preferiscono di gran lunga investire sulle rinnovabili anziché nel nucleare, perché la lobby atomica ha rialzato così potentemente la testa? In generale, il fatto è che il capitalismo ha bisogno come l’aria di nuovi settori (o di riattivarne di «vecchi», il che fa lo stesso) in cui sviluppare il business. Il sistema non può accettare una situazione di stagnazione, o peggio di recessione come l’attuale. Gli affari verranno non dall’astratta redditività di mercato, ma dalle speculazioni collaterali che il nucleare più di altri settori consente. Questa logica speculativa è tanto più forte nei momenti di crisi. Ecco allora il rilancio operato da Obama, anche se per ora piuttosto modesto in termini concreti, attraverso il grimaldello di una pretesa green economy che paradossalmente (ma non dal suo punto di vista) include proprio il nucleare. Quel che è vero per la logica sistemica nel suo complesso è dieci volte più vero per il famelico capitalismo italiano, sempre a caccia di grandi opere, «eventi eccezionali», emergenze vere o preferibilmente finte. Una caccia condotta in coppia con l’altrettanto famelico ceto politico bipartisan di servizio. Riflettiamo su un fatto: oggi c’è giustamente una certa attenzione sull’indagine sulla Protezione civile relativa agli appalti per la realizzazione del G8 alla Maddalena. Quello di cui ben pochi si occupano è che – indipendentemente dalla regolarità degli appalti – si fosse deciso di spendere (e si è effettivamente speso benché l’evento sia stato poi spostato a L’Aquila) l’enormità di 400 milioni di euro per un semplice incontro politico di un paio di giorni. Bene, se il programma nucleare italiano dovesse davvero decollare, lo scandalo della Maddalena non potrebbe che impallidire di fronte ad un business cento volte più ricco. E’ questa la conclusione? Sissignori, è questa la conclusione. Lasciate perdere l’inesistente nucleare «pulito e sicuro», lasciate perdere i problemi energetici nei loro aspetti tecnici, ambientali ed economici. Alla cricca oligarchica che presiede a queste scelte tutto ciò interessa quanto può interessare la morale ad un trafficante di droga. Ecco perché la menzogna è la regola nella propaganda nuclearista, al punto che diventa perfino fastidioso dover sempre replicare. Tanto ad argomentazioni razionali si risponderà sempre e solo con la propaganda e la falsità. Ma non ci siamo mai nascosti una ragionevole speranza: che quando dai proclami si passerà ai fatti, cioè alla localizzazione dei siti (vedi articolo del 29 dicembre scorso), il gioco cambierà. Non a caso la localizzazione è stata prudentemente rinviata a dopo le elezioni regionali. A quel punto capiremo quale sarà la risposta delle comunità locali più direttamente interessate e, ci auguriamo, non soltanto la loro. Se arriverà un no forte e convinto la partita sarà tutta da giocare. Ed allora lo smascheramento delle menzogne atomiche potrà avere la sua utilità |