Il 25 Aprile senza la retorica della resistenza
di Massimo Fini - 24/04/2010
Si celebra domani il 25 aprile, la giornata della Liberazione. Per la prima volta vi parteciperà anche l’attuale presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che l’aveva finora snobbata. Temo però che questa adesione prestigiosa, e peraltro doverosa, non farà che rafforzare un voluto equivoco su cui gli italiani hanno vissuto per decenni e ancora vivono, e che è stato foriero di gravi guasti per la vita nazionale. Questo equivoco si chiama Resistenza.
Come fatto militare la Resistenza fu del tutto marginale all’interno di quel grandioso e tragico evento che è stato il secondo conflitto mondiale. Servì come riscatto morale per quelle poche decine di migliaia di uomini e di donne coraggiosi che vi presero parte. Dico poche perché nel dopoguerra si è assistito non solo al miracolo gaudioso per cui, da un giorno all’altro, il 25 aprile appunto, gli italiani divennero tutti antifascisti da fascisti che erano stati, ma perché non c’è stato quasi italiano adulto che non si sia appuntato sul petto fasulle medaglie partigiane. E anche non adulto. Non c’era chi, all’epoca ragazzino o addirittura bambino, non dichiarasse di essere stato, come minimo, una "staffetta partigiana" (a dar retta a questi racconti i partigiani più che combattere avrebbero fatto altro che scambiarsi messaggi).
La Resistenza è stata invece interpretata come un fatto che riguardava tutti gli italiani per cui, nell’immaginario collettivo, è nata la comoda convinzione che l’Italia si sia "liberata" da sola e non grazie alle truppe angloamericane e che avesse quasi vinto una guerra che invece aveva perso nel più vergognoso dei modi. Con i nazisti non ci si doveva alleare, ma una volta alleati è stato troppo facile, comodo e vile pugnalarli alle spalle in una lotta per la vita o per la morte nel momento in cui si profilava la sconfitta. Per cui l’8 settembre dovrebbe essere ricordato come la giornata della vergogna e non celebrata come il suo contrario. E i ragazzi che andarono a morire per Salò lo fecero a loro volta per un riscatto morale, per altri valori che allora contavano qualcosa e che noi oggi, nella finta libertà democratica, abbiamo perduto, l’onore e la lealtà, e meritano il rispetto che si deve a tutti i vinti che si sono battuti in buona fede. (Rispetto che non va a Mussolini che dopo tanta retorica sulla "bella morte", in nome della quale si sacrificarono tanti giovani fascisti, fugge travestito da soldato tedesco. Che è poi l’eterna e disgustosa storia dell’"armiamoci e partite" che segna la classe dirigente italiana, da Caporetto, al Re, a Badoglio che, con i loro bauli, fuggono da Roma lasciandola in balia dei tedeschi, a Toni Negri, a Moro, che dalla sua prigione scrive le lettere che scrive, a Bettino Craxi, classe dirigente che, al momento del dunque, trova sempre qualche autogiustificazione per non pagar dazio e per violare quelle regole e quei codici morali che aveva chiesto agli altri di rispettare).
La Resistenza non fu quindi il riscatto dell’Italia né degli italiani, la stragrande maggioranza dei quali stette alla finestra aspettando di vedere chi fosse il vincitore per poi accodarsi a lui o addirittura prenderne la guida. Ma aver fatto credere il contrario ha avuto come conseguenza che gli italiani, a differenza dei tedeschi e dei giapponesi che la guerra la condussero fino in fondo e la persero fino in fondo, non abbiamo mai fatto veramente i conti con sè stessi e con il proprio passato. È dalla retorica della Resistenza (no, sia ben chiaro, dai veri partigiani che meritano il nostro rispetto, la nostra ammirazione, il nostro omaggio) che è nato il fenomeno del terrorismo rosso che insanguinò il nostro Paese per una decina d’anni e che ancor oggi, di quando in quando, continua ad insanguinarlo.
Io credo che il 25 aprile potrà essere una giornata di memoria condivisa solo quando cesserà di essere la celebrazione retorica di un’epoca che riguardò i pochi e diventerà invece un momento di riflessione autentica sulla nostra storia, sui nostri errori, sulle nostre responsabilità.