La penetrazione cinese in Africa è caratterizzata da un atteggiamento predatorio che supera addirittura le logiche di sfruttamento occidentali. Dipendente dal continente africano per il suo approvvigionamento energetico, Pechino promuove una volontà d’accaparramento senza limiti. Le sue azioni si sviluppano su tutti i settori classici dell’imperialismo convergenti ad un unico obiettivo finale:favorire lo sviluppo economico della Cina.
Si posiziona sia come alleato che come predatore del continente africano. Le strategie della Cina sulla scena internazionale applicate all’Africa si traducono in un’unica e machiavellica strategia ipnotizzatrice ed ammaliante grazie ai prestiti offerti applicando la politica della non ingerenza negli affari interni degli stati.
L’Africa trova nel suo alleato cinese un contrappeso all’Occidente che non avrebbe senza l’aiuto di Pechino. Trova soprattutto un partner meno ingombrante che l’Europa e gli Stati Uniti, che dona rapidamente e senza condizioni quello che domandano i capi di stato africani.
Il politologo francese Julien Nessi definisce la penetrazione cinese in Africa come una conquista multisettoriale composta da vari livelli strategici applicati simultaneamente : « Il primo livello e’ applicato attraverso ingenti investimenti diretti stranieri, il livello intermedio e’ basato sugli aiuti militari e il sostegno politico a stati africani caduti in disgrazia con l’Occidente, l’ultimo livello prevede il rafforzamento della presenza silenziosa della diaspora cinese nel continente dedita al piccolo commercio1
Nella strategia cinese la contribuzione a creare un vero sviluppo economico nei paesi africani, non e’ nemmeno presa in considerazione. Forte di ingenti riserve monetarie in dollari, Pechino utilizza la cancellazione dei debiti, i prestiti a tasso zero, la cooperazione internazionale, l’aiuto militare come tanti piccoli cavalli di troia per accrescere la sua influenza nel continente.
Facendo leva sulla cupidigia e la fame atavica di potere dell’attuale classe dirigente africana, semplicemente compra il consenso dei vari presidenti trasformandoli in vassalli e creando le basi per rapporti di forza esclusivamente a suo favore.
Quali sono le vere ragioni che spingono la Cina a rafforzare la sua presenza in Africa?
Prima di tutto e’ innegabile che la Repubblica Popolare cerca di diversificare e rendere sicuri i suoi approvvigionamenti energetici per rendere duratura la sua crescita economica.
Gli esperti economici stimano che da qui al 2020 Pechino sarà costretta ad importare 80% della sua consumazione interna di petrolio. Di conseguenza, di fronte a questi immensi bisogni, Pechino punta sulla moltiplicazione delle offensive diplomatiche ed economiche sul terreno petrolifero dirette ai principali paesi produttori.
Il Medio Oriente e’ il principale fornitore di petrolio grezzo della Cina. Tuttavia Pechino prende seriamente in considerazione il rischio di una diminuzione o di una temporanea interruzione dell’approvvigionamento di energia proveniente dai paesi arabi, con drammatiche conseguenze per la crescita economica che potrebbero addirittura portare ad una stagnazione dell’apparato produttivo.
Tre sono principalmente le cause di questo rischio.
Le tensioni geopolitiche (guerra in Irak, in Afghanistan, Palestina, instabilità nel Libano ed isolamento del regime iraniano) che portano ad una instabilità politica che si riflette su un incerto futuro nell’approvvigionamento di energia.
Il raggiungimento del picco petrolifero di molti pozzi nel Medio Oriente2
La politica di “energy containment” che Washington pratica nella regione ai danni della Cina.3
Per questa ragione l’Africa appare come una zona strategica “first priority” visto che nel continente si stanno scoprendo immensi giacimenti di petrolio di ottima qualità.
Anche il cotone e’ considerato una risorsa strategica per la Cina, visto le immense quantità di materia prima che necessitano le sue industrie tessili. Pechino e’ divenuto in pochi anni, il primo partner commerciale dei paesi africani esportatori di cotone. Il cotone africano serve a diminuire la dipendenza cinese verso il cotone americano (la Cina importa tra il 40 e il 60% del suo fabbisogno annuale di cotone dagli Stati Uniti).
La colonizzazione di immensi territori fertili destinati alla produzione di biocarburante e di derrate alimentari per il mercato interno cinese e’ una opportunità inattesa e gentilmente offerta da avidi capi di stato africani, noncuranti del deficit di produzione alimentare dei loro paesi.
Infine l’Africa rappresenta una delle più grandi opportunità per la Cina di diminuire la concorrenza economica e la sfera d’influenza dell’Occidente.
Dietro la propaganda di sviluppo e modernizzazione del continente africano, si nasconde una realtà fatta di complicati giochi geo-economici. Anticipando l’indebolimento occidentale in Africa, la Cina ha messo in moto una strategia per diminuire l’accesso dell’Occidente al petrolio e alle materie prime. Pechino cerca di spezzare l’attuale monopolio commerciale che vede gli Stati Uniti e l’Europa come i primi destinatari delle esportazioni del petrolio africano.
Proprio come gli USA nel Medio Oriente, applica la strategia di contenimento, tentando di diminuire l’influenza dei paesi occidentali e delle loro multinazionali per indebolire l’economia degli Stati Uniti e dell’Europa a favore di quella cinese.
Una diminuzione dell’approvvigionamento di materie prime a buon mercato si tradurrebbe nell’aggravarsi per l’Occidente della attuale crisi economica, aumentando le possibilità per la Cina di imporsi come prima potenza economica mondiale. Questa politica di contenimento versione cinese inizia dai paesi africani considerati zone a rischio o in aperta divergenza politica con l’occidente, vedi Sudan e Zimbabwe.
L’analisi di alcuni indicatori rivelano il vero volto del Dragone.
Se in teoria la Cina contribuisce alla crescita di molti paesi africani il modello di partenariato proposto da Pechino ha delle conseguenze, economiche, sociali, politiche ed ambientali disastrose per i paesi africani sul medio termine. Alcuni indicatori proposti di seguito sono un chiaro indice di un futuro non certo radioso per l’Africa.
Import-export.
Apparentemente l’aumento dell’import – export e’ a favore dell’Africa che registra un 81% di aumento nelle esportazioni verso la Cina e un’importazione di manufatti cinesi aumentata solo del 36%.
In realtà la Cina importa dall’Africa esclusivamente materie prime, inondando i mercati africani di prodotti di scarsa qualità (a volte addirittura tossici) che hanno un effetto devastante sulle deboli industrie del continente che non riescono a competere sul mercato interno a causa del basso costo dei prodotti cinesi. Molte industrie locali chiudono aumentando la disoccupazione che sempre più difficilmente viene assorbita dal famoso mercato informale4
Agricoltura
Sul settore agricolo la Cina sta installando in vari paesi africani delle gigantesche fattorie industriali per produrre delle derrate alimentari destinate all’esportazione in Cina e alla produzione di biocarburi.5 L’accaparramento delle terre porterà inevitabilmente ad alterare gli equilibri sociali e naturali di vari paesi africani.
I piccoli produttori agricoli che si concentrano esclusivamente su una agricoltura di sussistenza e che contribuiscono alla mantenimento della biodiversità saranno spazzati via per imporre un’agricoltura speculativa che contribuirà all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e delle carestie.6
Occupazione.
Nonostante che si registri la presenza di oltre 800 piccole e medie aziende produttive e commerciali cinesi nel continente, l’impatto sull’occupazione e’ negativo.
Qualche migliaia d’impiegati presso le aziende cinesi non compensano le decina di migliaia di licenziamenti che le industrie autoctone sono costrette a fare per mancanza di competitività, soprattutto nel settore tessile, calzaturiero ed artigianale.
L’aziende cinesi in Africa controllano l’intera catena economica dalla fabbricazione del prodotto in Cina alla sua distribuzione al dettaglio in Africa, utilizzando spesso mano d’opera esclusivamente cinese.
Questo impedisce lo sviluppo autoctono del settore terziario (grande diffusione, trasporti, marketing, pubblicità, etc.).
L’esclusione della mano d’opera africana e’ evidente nella realizzazione delle grandi infrastrutture dei progetti di cooperazione internazionale.
Pechino ricorre alla mano d’opera cinese facendola emigrare verso il paese beneficiario del progetto solo per il tempo necessario per la realizzazione dell’opera, per poi rispedirla in patria. Solo una percentuale quasi insignificante di mano d’opera africana viene assunta. Ad essa sono riservati lavori non qualificati e stipendi da fame.
I lavoratori cinesi temporaneamente immigrati in Africa non creano un reale impatto sull’economia locale poiché il loro valore aggiuntivo e’ ridottissimo. Non affittano case, preferendo dormire in container costruiti sul cantiere. Non comprano quasi mai cibo locale essendo approvvigionati dal cibo inviatogli dalla Cina. Raramente spendono i loro guadagni nell’industria del divertimento e del turismo, preferendo riportarli in patria.
Inoltre vi e’ il sospetto che le multinazionali cinesi in vari casi utilizzano prigionieri cinesi che il governo fornisce come mano d’opera gratuita per la realizzazione dei lavori.7
Consumatori
I prodotti cinesi sembrano favorire i consumatori africani grazie al loro basso costo e alla varietà delle merci disponibili sul mercato, diminuendo il carico economico delle spese quotidiane soprattutto per le famiglie urbane.
In realtà l’acquisto di questi prodotti si trasforma in una perdita finanziaria a causa della loro bassissima qualità. I prodotti “made in China” destinati al mercato africano hanno un periodo di utilizzazione brevissimo e in poco tempo diventano inutilizzabili, vanificando così il risparmio originale.
Infrastrutture
Se da una parte Pechino e’ pronta ad creare colossali infrastrutture in Africa dall’altra non é disposta a rispettare i standard edili internazionali. Questa politica pregiudica la qualità delle opere realizzate.
Per esempio le strade costruite da ditte cinesi hanno un terzo di durata rispetto a quelle costruite da ditte occidentali. In un giro di alcuni anni l’asfalto cede obbligando i governi africani ad alti costi di manutenzione che, per scarsità di fondi, non vengono affrontati.
Impatto ambientale.
Le multinazionali cinesi stanno creando un vero e proprio disastro ecologico in molti paesi africani. Per esempio non rispettano alcuna regolamentazione nello sfruttamento del legname e stanno distruggendo varie foreste nel Cameroon, nel Gabon e nel Congo Kinshasa. L’estrazione delle materie prime viene attuata senza nessun studio sull’impatto ecologico poiché Pechino é interessata solo all’estrazione e all’importazione delle risorse naturali non certo al degrado ambientale causato in paesi lontanissimi.
Sviluppo democratico e dei diritti umani.
Nei rapporti diplomatici con i vari stati africani, la Cina adotta la tattica Europea ed Americana del “Strong Man”: l’appoggio incondizionato ad un dittatore per curare gli interessi delle multinazionali nel paese e prevenire la nascita di una forte società civile.
Il lavoro dell’Uomo Forte e’ quello di creare delle società deboli, povere ed etnicamente divise, che non abbiano alcuna possibilità di ostacolare le sue fortune , e quelle del suo cerchio di amicizie personali e dei capitali stranieri. Lo Stato diventa un apparato privato dove non ci sono cittadini ma sudditi. Il concetto stesso della nazione scompare per far posto a quello del reame.
La sola differenza tra la Cina, gli Stati Uniti e l’Europa e’ nella scelta del Strong Man. Mentre Washington e Bruxelles preferiscono appoggiare Uomini Forti che accettano un simulacro di democrazia (Museveni in Uganda, Kagame in Ruanda, etc) i Cinesi scelgono di appoggiare i Uomini Forti caduti in disgrazia con l’Occidente contribuendo così all’inasprimento dei loro regimi dittatoriali e alla più completa negazione dei diritti umani.
Cooperazione allo sviluppo.
La Cina e’ riuscita a trasformarsi in beneficiario occulto di numerosi protetti di sviluppo sostenuti dalla Comunità Europea, l’Aiuto Francese allo Sviluppo, della Cooperazione tedesca e di USAID. Al momento dell’attribuzione dei mercati per la realizzazione di opere pubbliche le ditte cinesi riescono a vincere le gare d’appalto grazie alle loro offerte competitive e ad una forte azione di lobbying del governo cinese.
In altri casi le ditte cinesi riescono ad impadronirsi delle attività produttive create dai progetti di sviluppo occidentali. Il Fondo Cinese – Africano per lo Sviluppo interviene a progetto finito offrendo ai beneficiari africani consulenze per rafforzare il marketing e la distribuzione. In realtà queste consulenze non sono mirate ad un passaggio di competenze ma a creare una dipendenza alle strategie manageriali offerte dagli esperti cinesi, che, durante il corso del progetto, diventano la vera leadership manageriale dell’impresa o della cooperativa creata tramite gli sforzi economici della cooperazione occidentale.
Conseguenze sullo sviluppo politico del continente.
La Cina, grazie ai principi di neutralità e di non ingerenza in Africa, e’ direttamente responsabile del mancato sviluppo politico del continente.
Il suo intervento e’ un freno all’emergere di Stati di Diritto in Africa. L’appoggio della Cina e’ stato prezioso per Strong Men caduti in disgrazia come Mugabe in Zimbabwe o per dittatori sulla lista nera dell’Occidente come Omar Bechir in Sudan. Senza questo aiuto entrambi i regimi sarebbero caduti sotto il peso del fallimento economico e delle rivolte popolari.
Gli sforzi di integrazione dei vari Stati Africani in strutture economiche e politiche regionali o continentali come l’Unione Africana, la CEMAC, la East Africa Community, rischiano di essere vanificati dall’approccio bilaterale della Cina. La diplomazia cinese preferisce avere come interlocutori diretti i singoli stati, creando all’occorrenza una rivalità aperta tra Paesi come per esempio le recenti tensioni economiche tra Sud Africa, Nigeria ed Angola.
Il partenariato Cinese - Africano costituisce un’alternativa per gli Stati Africani agli accordi internazionali con l’Occidente (AGOS, UE-ACP - Cotonou), che condizionano gli scambi commerciali al rispetto di obiettivi politici come il rafforzamento democratico, il buon governo, il rispetto dei diritti umani.
La Cina e’ concentrata su una frenetica attività diplomatica che prevede la creazione di alleati africani per permetterle di controbilanciare l’influenza delle potenze concorrenti all’interno degli organismi internazionali come per l’esempio l’ONU. La Cina e’ riuscita ad entrare nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU grazie ai voti africani e recentemente a far nominare un Cinese alla dirigenza dell’OMS8.
L’appoggio africano alla Cina si sta tramutando in servilismo e impedisce la nascita di una posizione politica indipendente del Continente Africano.
Conseguenze sulla sicurezza.
La vendita di armi cinesi nel continente ha sostenuto il recente conflitto eritreo-etiope, e la guerra in Darfour Sudan. La Cina assiste militarmente Khartoum aiutandolo a prepararsi per la probabile ripresa del conflitto con il Sud Sudan a seguito del referendum per la creazione di uno stato indipendente previsto nel gennaio 2011.
Oltre alla presenza militare ufficialmente registrata nell’ambito delle missioni ONU di mantenimento della pace in RD Congo, Costa d’Avorio, Sudan, Liberia, la Cina continua a espandere un capillare network di alleanze militari con vari paesi africani attraverso i suoi canali diplomatici. Attualmente si pensa che vi siano circa 4000 consiglieri militari dell’Esercito Popolare sparsi in Africa. Da qualche mese a Kinshasa e’ frequente osservare ufficiali cinesi in alta uniforme che pubblicamente entrano ed escono dal Ministero della Difesa.9
Per chiudere il cerchio qualche migliaio di agenti di sicurezza sono presenti in Africa, (soprattutto in Etiopia, Nigeria e Congo Kinshasa) al fine di proteggere direttamente le ditte cinesi nelle regioni in cui operano.
L’Esercito Popolare provvede direttamente alla sicurezza delle ditte cinesi inviando questi agenti di sicurezza che in teoria sono stati congedati dall’esercito ma che in realtà dipendono ancora dallo Stato Maggiore.
Pechino e’ impegnata in una spietata concorrenza alle multinazionali d’armi occidentali applicando tre tattiche: Forniture d’armi ufficiali tramite accordi bilaterali di cooperazione militare, forniture segrete di armi ai paesi africani sotto embargo economico, forniture illegali di armi leggere a chiunque tramite intermediari dei ex paesi del blocco sovietico. La vendita legale di armamenti in Africa include contatti bilaterali tra stati nell’ambito della cooperazione militare che prevede, vendita, assistenza tecnica, e training. Algeria, Egitto, Nigeria, Sudan, Sud Africa, Gabon, Guinea Equatoriale, sono tra i migliori clienti della Cina. I contatti con la Repubblica Democratica del Congo stanno cominciando a maturare i frutti sperati. La vendita di armamenti comprende: armi leggere, artiglieria, mezzi blindati, carri armati, mezzi terrestri di trasporto truppe, aerei, navi, equipaggiamento tecnologico, radar, sistemi di comunicazione. Gli accordi bilaterali vengono firmati nel “frame work” della lotta contro il terrorismo internazionale e della sicurezza delle rotte marittime, contro gli attacchi dei pirati, soprattutto somali.
Un Occidente indebolito.
Rispetto alla guerra fredda contro il blocco sovietico ora l’Occidente si trova in una posizione di debolezza.
L’Europa sta attraversando una profonda crisi sociale ed economica. La sua classe politica, ormai auto referenziale, sta scavando un profondo fossato tra le istituzioni e i cittadini, distruggendo lo stato sociale e riducendo il tenore di vita di milioni di persone per salvaguardare gli interessi di un manipolo di lobby economiche e finanziarie.
La bancarotta della Grecia ha costretto i membri dell’Unione Europea (soprattutto quelli della Zona Euro10) ad avviare un gigantesco salvataggio economico per evitare che il fallimento economico greco si porti dietro tutti i partner europei.
L’Europa e’ malata, vari sono i paesi prossimi alla situazione greca. I membri dell’indesiderato club PIIGS11 hanno tutti grosse probabilità di collassare.
La Gran Bretagna (pur essendo con un piede dentro e l’altro fuori dall’Europa) non e’ in una situazione migliore. Sta semplicemente camuffando il collasso economico come per due anni ha fatto il governo greco.
Solo la Francia e la Germania (antichi rivali) sono gli unici motori economici attualmente rimasti. Questa loro supremazia li condanna ad intervenire per salvare il sistema bancario e i paesi membri in difficoltà per paura di un collasso ben peggiore di tutta l’economia.
Sul fronte della politica estera le nomine di Hernan Van Rompuy (Presidente Europeo) e Catherine Ashton (Primo Ministro), sono un evidente simbolo della mancanza di visione strategica nella politica estera. “Van Rompuy e Ashton danno l’impressione di essere stati scelti per i loro limiti e non per i loro meriti12.”
In realtà l’Europa non ha una politica estera comune. I suoi stati membri continuano a difendere e a promuovere i propri interessi nazionali (spesso contraddittori tra loro) piuttosto che adottare una strategia comune.
Pochi paesi europei vedono il ruolo dell’Europa come quello di una potenza internazionale, limitandosi solo al mercato comune, e all’Euro.
In Africa, l’Europa ha grosse difficoltà a promuovere una propria strategia da contrapporre alla Cina.
Alcuni suoi stati membri portano avanti strategie schizofreniche.
La Francia tenta a tutti i costi di mantenere i suoi “territori d’oltremare” sotto l’influenza economica e culturale seguendo la vecchia dottrina della “France – Afrique”.
Belgio, Spagna e Portogallo si muovono come spettri unicamente nelle loro ex colonie senza un’idea chiara con il solo obiettivo di salvare il salvabile. In questo obiettivo il Belgio, spesso, si allinea alle strategie Francesi sull’Africa.
La Gran Bretagna non può fare altro che appoggiare la politica USA in Africa, ossessionata di perdere il suo gioiello più importante, il Kenya, ormai ridotto ad un “Stato fallito” ma sostenuto da Londra grazie a continue iniezioni di denaro pubblico.
E’ evidente che il fallimento dell’Europa nella scena internazionale e’ quello di essere incapace di parlare con una sola voce.
Le relazioni diplomatiche con la Cina, per esempio, sono attuate bilateralmente senza che i paesi europei adottino una posizione comune. All’epoca dei recenti avvenimenti a Lhasa13 la Germania ha immediatamente condannato la decisone di Pechino, mentre la Francia ha adottato una posizione molto più neutra e soft.
La Cina e’ diventata espertissima a giocare sulle debolezze e le divisioni dei singoli membri dell’Europa, mettendoli gli uni contro gli altri. “Esiste una totale assenza di strategia Europea nei confronti della Cina”.14
La situazione e’ peggiore negli Stati Uniti. Solo otto anni fa Washington disponeva di una economia solida, d’un esercito apparentemente imbattibile e non aveva avversari sulla scena mondiale. Al contrario, l’amministrazione Obama, tenta ora di gestire un declino inesorabile, cosciente dei limiti del potere americano: il fiasco militare nell’invasioni in Afghanistan e in Irak, e il collasso economico all’interno del paese.
La profonda crisi di credibilità internazionale in cui si trovano la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e l’ONU, sta offrendo alla Cina la possibilità di diventare il master delle relazioni internazionali in Africa.
Strategie di contenimento del pericolo giallo.
In questo contesto il continente nero assume un’importanza strategica pari a quella del Medio Oriente. Difficilmente l’Occidente accetterà di abbandonare l’Africa nelle mani della Cina senza colpo ferire. Sarà costretto a tentare tutte le strade possibili per bloccare il Dragone.
Il tentativo di convincere l’opinione pubblica africana sul ruolo nefasto della Cina non produce i risultati sperati: molti governi africani stanno sempre più rivolgendosi al Dragone.
Totalmente impreparati ad affrontare la nuova minaccia Europa e Stati Uniti stanno attuando una politica schizofrenica.
Da una parte continuano con le vecchie politiche neo colonialiste cercando di imporre trattati economici a convenienza unilaterale e pressioni politiche sui vari governi del continente affinché adottino o rafforzino modelli politici convenienti per l’Occidente nel nome della democrazia e del rispetto dei diritti umani.
Questa strategia basata sull’arroganza sta creando uno slancio di ribellione. Gli accordi di partenariato economico (APE), basati sulla liberalizzazione selvaggia degli scambi economici e sull’ultima versione del Patto Coloniale francese, presentati al vertice internazionale di Lisbona nel dicembre 2007 sono stati clamorosamente rifiutati da vari paesi africani.
E’ accaduto l’inimmaginabile: il vertice si é concluso con un clamoroso fallimento. José Manuel Barroso, presidente della Commissione Europea é stato costretto a cedere accettando la rivendicazione degli stati africani, che vogliono la prosecuzione del dibattito e la revisione degli accordi economici su una linea più paritaria.
A distanza di tre anni vari paesi africani non hanno firmato gli accordi rimanendo ancora nella fase delle trattative.
Dall’altra, pur di conservare la supremazia politica ed economica, Europa e Stati Uniti sono disposti a mettere in secondo piano i diritti umani e il processo di democratizzazione del continente. La Banca Mondiale, altri organismi internazionali e vari paesi europei stanno prendendo in considerazione di imitare la strategia cinese, offrendo prestiti a tasso zero ed aumentando gli aiuti non commerciali senza criticare le metodologie di potere dei vari governi africani.
Questa strategia, se attuata, non avrà altro effetto che aumentare il potere dell’apparato dirigenziale africano e di ridurre al minimo ogni possibilità di partecipazione democratica delle popolazioni.
Parola ai cannoni come ultima soluzione.
Se anche questo tentativo non dovesse funzionare Stati Uniti ed Europa potrebbero optare per una politica di destabilizzazione dei paesi africani che si stanno avvicinando a Pechino. Questo si tradurrà in una nuova ondata di guerre civili e genocidi.
L’esempio della ribellione nell’est del Congo nel novembre 2008 e’ estremamente indicativo.
In una settimana le forze ribelli guidate dal Comandante Nkunda si impadroniscono di varie cittadine del Nord Kivu e marciano su Goma, il capo luogo della regione. L’esercito congolese abbandona la città dedicandosi al saccheggio della propria popolazione e già si parla di una nuova marcia su Kinshasa per rovesciare il regime. Solo il contro ordine venuto dal Pentagono ferma la marcia vittoriosa del movimento ribelle. Nkunda desisterà nella presa di Goma e scomparirà in Ruanda sciogliendo il suo movimento.
La ribellione di Nkunda e’ stato un avvertimento degli Stati Uniti al presidente congolese Joseph Kabila che si stava spingendo troppo oltre nella sua amicizia con la Cina, non rinnovando degli accordi di sfruttamento minerario a delle multinazionali americane per cederli a Pechino.15
Solo la decisione del Presidente Kabila di far marcia indietro ha spinto Washington a fermare la marcia dei ribelli nell’Est del paese.
Nonostante questo avvertimento, Kinshasa, passata questa bufera ha ripreso a rafforzare i suoi legami economici e politici con Pechino a danno delle multinazionali anglo americane e franco-belghe.16
Ovviamente uno scontro diretto tra Occidente e Cina sul territorio africano non e’ pensabile ne’ attuabile, visto la debolezza americana che obbliga Obama a una pianificazione della politica internazionale prudente fondata sull’idea che gli Stati Uniti si dovranno adattare ad un mondo dove non avranno più la supremazia incontrastata.17
Più probabile e’ il ricorso alle classiche tattiche di guerra per procura ideate dalla famosa ”Equipe onda d’urto” della CIA18, con l’utilizzo di truppe americane “di colore” che si possono facilmente confondersi nei vari eserciti africani alleati (Ruanda, Uganda, Etiopia) e nelle varie milizie. La Cina a causa della evidente diversità etnica dei suoi soldati sarà costretta a limitare il suo sostegno nella vendita di armi, consulenze militari e nel finanziare l’utilizzo di mercenari.
Spezzare le catene.
Molti paesi africani nutrono grosse speranze verso la Cina, credendo che essa possa offrire una possibilità di divenire dei veri protagonisti sulla scena mondiale.
Purtroppo la realtà sta loro riservando un futuro composto da un pesante servilismo nei confronti di Pechino e di una nuova e più cruenta ondata di guerre per procure che verranno innescate dall’Occidente (se ne avrà la possibilità economica) come ultima soluzione per contrastare il potere del Dragone nel continente.
L’unica strategia che può evitare tutto ciò é l’accelerazione del processo di unificazione politica ed economica del continente che è alla base del sogno Panafricano degli Stati Uniti Africani.
Questo progetto, contrariamente a molti osservatori internazionali che pongono dubbi sulla sua riuscita visto le diversità etniche e l’incapacità dei vari governi africani di attuare una vera unione politica, è realizzabile a condizione che le masse africane, tramite una forte mobilitazione dei movimenti sociali e delle organizzazioni sindacali, rinnovino l’attuale apparato dirigenziale.
Le masse africane devono compiere un rapido e complesso processo politico abbandonando il loro vittimismo, il loro complesso coloniale e la trappola dell’identificazione etnica, attuando la sostituzione dell’attuale apparato di potere con una nuova classe dirigente capace di promuovere valori di progresso sociale e di unire il continente.
La vittoria cruciale dell’Africa nel vertice di Lisbona è un ulteriore segno del momento favorevole che il continente sta attraversando. Nel corso degli ultimi anni i conflitti più sanguinosi sono giunti ad un termine (restano solo il Darfur, la Somalia e l’Est del Congo), mentre progressi verso una coscienza delle masse urbane si stanno consolidando.
L’ondata di libertà che ha portato all’indipendenza e alla creazione di stati sovrani negli anni ‘60 è stato fatta arenare dalle politiche neo coloniali grazie alla complicità dei dirigenti africani e alla eliminazione fisica degli incorruttibili, come Lumumba o Tomas Sankara.
Il fermento sociale che sta avanzando nel continente, seppur tra mille contraddizioni, può portare ad una seconda fase di indipendenza e di risveglio dell’Africa, capace di sottrarre le popolazioni al macabro destino a loro riservato dai master, siano essi orientali od occidentali.
1 Julien Nessi, ”L’Africa, nuova riserva di caccia della Cina” Cyberscopie 2007 http://www.cyberscopie.info
2 Picco petrolifero: termine per indicare l’esaurimento del greggio di un pozzo o una sua drastica diminuzione quantitativa che rende l’estrazione del petrolio commercialmente non produttiva.
3 La politica del “contenimento energetico” si basa su pressioni diplomatiche ed economiche ai vari paesi arabi affinché diminuiscono o interrompano il rifornimento di greggio alla Cina.
4 Mercato informale: termine inventato dalle ONG per indicare una miriade di piccole attività commerciali di sussistenza: dalla vendita delle carte telefoniche, alle piccole alimentazioni, riparazioni, etc.
5 La Cina ha ottenuto nella Repubblica Democratica del Congo la concessione di 2,8 milioni di ettari per la creazione della più grande fattoria al mondo per la produzione dell’olio di palma da trasformare in biocarburante.
6La Cina non e’ sola nell’acquisto speculativo delle terre africane. Numerose multinazionali agroalimentari americane, europee, arabe e asiatiche si contendono questo nuovo eldorado. Tra le più tristemente note citiamo: AIG (American International Group) 400.000 ettari nel Sud Sudan; la multinazionale indiana Sai Ramakrishna, 600.000 ettari in Etiopia paese che ha recentemente lanciato un appello internazionale agli aiuti alimentati. The International Food Policy Research Institut (IFPRI), multinazionali britanniche e degli stati arabi del Medio Oriente e nord africani (Egitto) si stanno accaparrando milioni di ettari in vari paesi africani. Questi nuovi predatori sono incoraggiati e supportati dalle più importanti istituzioni mondiali come la Banca Mondiale, il FMI e la FAO.
6, mensile dell’Ecole Militaire Francaise 28.02.2008
7 L’utilizzo di prigionieri cinesi non e’ mai stato dimostrato e la Cina accusa l’Occidente di propaganda che danneggia la sua immagine. Jacques Van Minden, esperto militare francese, pensa piuttosto che la Cina utilizzi parte del suo esercito per la realizzazione delle opere civili in Africa, con il duplice vantaggio di impiegare economicamente una percentuale dell’esercito che conta 5,9 milioni di effettivi e di aumentare indirettamente la sua presenza militare nel continente. Point de Veille N.8
OMS = Organizzazione Mondiale della Sanità
9 Puska, Susan. Military backs China’s Africa Adventure Asia Times, June 8, 2007
10 La Zona Euro e’ formata dai membri fondatori della Comunità Europea. L’Unione Europea ingloba anche i nuovi membri soprattutto provenienti dai paesi dell’Europa dell’est considerati ufficiosamente come stati di serie B.
11 E’ la sigla cinicamente adottata dagli esperti economici internazionali per definire gli stati europei più a rischio: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna. Inutile sottolineare l’amara ironia nella scelta della sigla che stranamente assomiglia alla parola inglese: “pigs”, porci...
12 Dominique Moisi ex consigliere dell’Istituto Francese per le Relazioni Internazionali in una intervista al mensile Time. “The incredible shrinking Europe” Time marzo 2010.
13 Riferimento alla violenta repressione a Lhasa e in Tibet in generale attuata dall’esercito cinese nel 2009.
14 Daniel Korski esperto di politica internazionale nel Consiglio Europeo per le Relazioni Estere. “The incredible shrinking Europe” Time marzo 2010.
15 Vedi articolo di Colette Braekman: “Obama a’ assicurato la pace nel Kivu” pubblicato sul quotidiano belga Le Soir il 08 marzo 2009
16 Vedi articolo di Colette Braekman: “Il Congo e i suoi amici cinesi” pubblicato sul mensile francese Le Monde Diplomatique del settembre 2009 http://www.monde-diplomatique.fr/2009/09/BRAECKMAN/18100
17 Vedi la pu bblicazione del rapporto del simposio straordinario sulle nuove prospettive strategiche degli Stati Uniti, organizzato dall’Istituto degli Studi Strategici Nazionali e dall’Università’ della Difesa Nazionale: “Global stratetic assesment 2009”
18 Vedi il libro: “L’equipe de choc de la CIA” Hermando Calvo Ospina Edizioni Le Temps des cerises, Pantin 2009.