Uno stallo ventennale
di Gianfranco La Grassa - 12/07/2010
1. Naturalmente posso sbagliarmi, eppure sono convinto che i vari “corpi speciali” (dai servizi segreti agli “uomini in armi”) siano controllati ben di più dall’opposizione che dalla maggioranza e dal Governo. A questo punto, se fossi uno dei vari depistatori ideologici di “destra”, sosterrei che questi corpi sono per la maggior parte composti da “rossi”. In verità, i comunisti non esistono più da tempo, se non appunto nell’immaginario creato ad arte da “destra”, secondo la quale dilagherebbero dappertutto: nella magistratura, nelle banche, nella Confindustria. Sarebbero allora ben più abili della “vecchia talpa”, su cui faceva affidamento Marx, che invece non ha “ben scavato” proprio un bel nulla. La realtà è molto diversa, sebbene la “destra” non possa dirla, le è proibito; perché, se lo di-cesse, dalle statuine del Duomo milanese in faccia si passerebbe a sistemi più efficaci (Mattei docet).
La lunga permanenza nella Nato – nel mondo bipolare (deciso a Yalta) l’Italia faceva parte dell’occidente, del mondo detto “libero”, mentre si sosteneva che l’altro era recintato da una “cortina di ferro” – ha fatto si che il nostro paese sia stato impregnato non soltanto da una ben de-terminata cultura, ma abbia costruito tutti i suoi apparati “materiali” (e in primo luogo quelli dello Stato) sulla base di questa precisa appartenenza implicante accettazione della subordinazione – con metodi “democratici” – ad un paese predominante centrale che, nel campo capitalistico, assumeva una posizione “imperiale”. Caduto il “socialismo reale”, le cose non potevano certo cambiare in meglio.
Di conseguenza, è a mio avviso indubbio che – salvo la presenza di minoranze come sempre avviene in ogni organizzazione (economica, politica, culturale) in un mondo diviso da antagonismi – i nostri “corpi speciali” sono soprattutto fedeli alla struttura internazionale messa in piedi da così tan-to tempo piuttosto che al proprio paese; un paese che non ha più vera identità, che è un assemblaggio di gruppi sociali concentrati sulla difesa dei propri interessi particolari. Il “generale”, l’interesse di una collettività nazionale, è di pura facciata, serve in certi discorsi ufficiali, ma nessun gruppo organizzato in Italia gli concede la benché minima attenzione.
Per capire quel che è accaduto in realtà, dobbiamo considerare quanto si è verificato dopo la “caduta del muro di Berlino”. In tutti i paesi dell’est hanno inizialmente prevalso settori appartenenti ai partiti comunisti ufficiali (o staccatisi da essi), che si sono apertamente schierati con l’occidente atlantico, in definitiva con gli Usa. Perfino in Urss, quanto meno il gruppo che portò al potere per qualche anno Eltsin (ma non credo che Gorbaciov fosse tanto diverso) giocò a tutto favore della preminenza globale della potenza in passato nemica (Gorbaciov tramò nell’89 con il segretario del PC cinese, battuto e dimessosi dopo la Tiananmen, per provocare in Cina un processo simile a quello che travolse i paesi “socialisti” europei e la stessa Urss). Nei paesi centroasiatici furono addirittura dirigenti ancora dell’epoca Breznev a trattare, una volta crollato il centro sovietico, con gli Stati Uniti. Adesso, rimessasi parzialmente dallo scossone la Russia, certi ambienti di quei paesi stanno tornando verso gli “antichi lidi”, ma tutto è ormai chiaramente legato alle manovre di gruppi oligarchici dominanti; poiché questo è stato il vero lascito della “dittatura proletaria” propagandata per decenni, una delle ideologie più trasparenti, nella sua falsità e menzogna, che si siano mai conosciute.
Il cosiddetto eurocomunismo, di cui il Pci fu alfiere (e quasi solo portatore) da Berlinguer in poi, si inscriveva in un processo di progressiva occidentalizzazione politica; con caratteri certamente specifici dato che si trattava di un partito obbligato a lungo a fare anticamera, ad essere escluso dal Governo, pur trovandosi ormai al centro di un’opposizione morbida e ben coccolata dai poteri dominanti nell’atlantismo (si ricordino il viaggio di Napolitano negli Stati Uniti e i rapporti tenuti da Segre con ambienti americani). La “Bolognina” era inscritta in quel lungo processo; si attendeva sol-tanto la sanzione ufficiale che non poteva avvenire fino a quando non fosse crollato l’antagonista storico degli Usa. Gruppi politici importanti di tale paese si fidavano ormai della quasi totalità della dirigenza piciista, ma sapevano dell’esistenza di frange “nostalgiche” (valutate nella seconda metà degli anni ‘70 intorno al 15%) che non dovevano mettere il naso nella Nato; e il pericolo ci sarebbe stato con il Pci in possesso di alcuni Ministeri in un eventuale Governo.
Craxi avvertì certo “sul collo il fiato” del Pci americanizzato, e lo combatté dunque con molto maggior accanimento della Dc; anche la battaglia sulla “scala mobile” (referendum del 1985 indetto per abrogare il taglio di 4 punti della stessa decretato oltre un anno prima dal Governo Craxi) si in-scrive in questo tentativo di impedire che il Pci, ben più grosso, sostituisse il Psi nella condirezione del paese. Per motivi inspiegabili, almeno secondo quanto mi riesce di capire, Craxi si illuse invece che il “crollo del muro” decretasse la fine del Pci e la definitiva vittoria dei socialisti; fu molto meno preveggente di Andreotti, che divenne molto serio e preoccupato, mostrando continuamente di rimpiangere il periodo precedente. Immagino questo dimostri come il Psi avesse poca influenza sui Servizi, mentre un buon democristiano era avvertito di quanto stava maturando. Se si erano occidentalizzati molti “comunisti” dell’est, figuriamoci a quale punto di “cottura” fosse giunto il processo di “atlantizzazione” dei piciisti italiani.
Già l’ho detto più volte: americani e Confindustria italiana fellona (accodata ai primi) scelsero il ricambio di rappresentanti politici in Italia. Ci fu “mani pulite” e il processo di attacco e disgrega-zione del regime Dc-Psi, fatto che sembrò, c.v.d., non sorprendere Andreotti (e altri Dc) e invece molto Craxi. Sapendo meglio oggi di certa politica mediorientale dei governi democristo-socialisti, l’interesse degli Usa al cambio di “personale di servizio”, una volta venuta meno la funzione italiana di bastione contro il sedicente mondo comunista, risulta evidente. La loro “felice” scelta si vide soprattutto nel 1999, durante la guerra contro la Jugoslavia (con il Governo D’Alema), ma è sempre stata abbastanza chiara in ogni momento di questi ultimi quasi vent’anni. Non appena c’è da boi-cottare il Southstream, in netto vantaggio sul finto europeo (in realtà americano) Nabucco, ecco la “sinistra” (il cui grosso è costituito dai vecchi “eurocomunisti” che hanno allevato i loro “piccoli mostri”) protestare contro i rapporti tra Berlusconi e Putin (cioè tra Italia e Russia). Quando si tratta di appoggiare la magistratura che tenta di indebolire la Finmeccanica, si schierano contro quest’ultima perfino i “sinistri radicali” (Liberazione), che ormai – dopo la breve dissidenza rispetto alla svolta della Bolognina e tutte le “botte” prese da allora – si sono allineati al tradimento e rinnegamento di ogni passato, diventando segugi degli Usa nella lotta multipolare che avanza.
E qui veniamo agli interessi dei nostri confindustriali che, assieme ai centri statunitensi e in qua-lità di loro quinte colonne nel nostro paese, sono stati ben lieti di buttare a mare Dc e Psi e di eleggere a loro rappresentanti politici i voltagabbana piciisti. Dopo che si è ormai resa nota la riunione del 1992 sul panfilo Britannia, anche qui non vi sono più misteri: ci si voleva reimpadronire dell’industria e dell’apparato bancario “pubblici”. Se mi si permette un tuffo nel passato, Mussolini offrì loro (non esattamente agli stessi di sessant’anni più tardi, ma della stessa pasta) di riavere quei “gioielli” circa un anno dopo la costituzione dell’IRI. Essi rifiutarono perché preferivano essere as-sistiti in altro modo senza rischiare nulla; venne infine la guerra con cui fecero ottimi profitti, tra-dendo al momento opportuno per passare con i vincitori, preparandosi così ad un “bel” (per loro) dopoguerra.
La Dc, però, non distrusse l’apparato dell’IRI e se ne servì come una buona base di potere. Vi aggiunse anzi nel 1953 l’Eni con presidente Mattei, anticomunista e filoamericano fino al viaggio a Mosca nel 1960, dove mutò atteggiamento (per chiara convenienza economica), che lo portò rapi-damente in rotta di collisione con gli statunitensi facendo la fine ben nota (1962). Con gli accordi tra Dc e Psi, che portarono subito dopo al primo governo di centro-sinistra nel 1963, venne anche l’Enel (1962). Dc e Psi fecero sempre gli interessi “atlantici “ e pure quelli della Fiat e degli altri industriali dello stesso genere. Tuttavia, venne mantenuta quella base di potere nel “pubblico”; ciò permise una serie di iniziative non certo di vera indipendenza nazionale, ma comunque con qualche fastidio per i predominanti statunitensi e i loro subordinati nel sistema economico (“privato”) italiano. Con quei “brutti comunisti” in casa, né Usa né confindustriali se la sentirono tuttavia di fare a meno del baluardo democristiano, prima, e socialista (quelli che avevano già rotto con il “Fronte Popolare”), poi.
2. Per farla breve, quando il “muro crollò” e i piciisti completarono il loro passaggio di campo, si poterono soddisfare sia i veri decisori “supremi” (statunitensi) sia i loro subordinati italiani; che sono però i dominanti nel nostro paese (sono appunto subdominanti). I primi ottennero di liquidare un personale politico ormai “logoro” e trovarono “carne fresca” (e molto ben ricattabile dato che lo status di rinnegati dei piciisti non consentiva loro ritorni all’indietro; e poi indietro dove, visto che il “socialismo” era morto?) per controllare completamente l’Italia, buona base geopolitica per molti scopi. I nostri subdominanti vi guadagnarono l’eliminazione del settore “pubblico” dell’economia, che però non fu totale come speravano. Gli ex piciisti vi misero tutta la buona volontà, appoggiarono in pieno i settori “laici” (che poi giocarono la recita degli antifascisti della “Liberazione”), accaniti anticomunisti, stretti intorno a Repubblica, ma solo in quanto organo di dati gruppi economici particolarmente avventurieri. Assieme a sedicenti “cattocomunisti” (in realtà alcuni pseudocattolici tanto rinnegati quanto i pseudocomunisti) furono gli “antifascisti laici” (appoggiati dalle truppe dell’ex Pci) a fare tutto il necessario per cedere l’intero settore “pubblico” ai “privati” e per entrare in Europa quale longa manus dei predominanti americani.
Non vi riuscirono in modo adeguato per l’intervento di quel “rompiscatole” di Berlusconi. Cer-tamente, giocò il fatto che l’elettorato diccì e piesseì non aveva alcuna intenzione di votare per uno schieramento dominato da quelli che erano stati vissuti fino al giorno prima come gli antagonisti, per di più giudicati pericolosi perché, sia pure ambiguamente, erano stati sempre ufficialmente legati al “mondo nemico” fino al suo crollo. Non vi era nulla che giustificasse la fiducia verso gente così vile da aver abbandonato solo all’ultimo momento la nave che affondava. Chi si può fidare di simile ciarpame umano? Quindi, è abbastanza chiaro perché un certo elettorato votò (e continua a votare) per la sedicente “destra”, pur messa in piedi in fretta e furia e a tutt’oggi assai poco capace di selezionare dirigenti adeguati, salvo rare eccezioni. Questa spiegazione della non completa riuscita dell’operazione Usa-Confindustria – con l’appoggio dato ai “topi” scappati dal “comunismo” in rot-ta affinché diventassero la loro nuova rappresentanza politica – non è però sufficiente. Non si può credere a virtù speciali di una singola persona, messa in pericolo nella sua sopravvivenza economica dal nuovo disegno dei “padroni/padrini”.
Si è abituati ormai ad una misera interpretazione della politica come si trattasse di una serie di scelte personali. Anche adesso, se Fini fa opposizione a Berlusconi, sarebbe sempre per questioni di invidia e ripicca personali. Ci sono evidentemente caratteristiche individuali che influiscono nelle vicende della quotidianità politica, ma non determinano i movimenti di fondo. E il berlusconismo è stato uno di questi movimenti data la sua durata. Così come Fini sta oggi giocando la partita per conto di chi vuol concludere l’operazione iniziata nel ’92-’93; delle sue invidie, ecc. ci si serve per questa operazione sostanziale, il resto sono pettegolezzi di scarso valore. Del berlusconismo sono state date al massimo spiegazioni culturalistiche, di mutamento di costumi e mentalità, di psicologia nuova, ecc. Non è convincente; e non per mero economicismo. Non si tratta di sostenere che dietro di lui dovessero esserci prevalenti settori di industria o di finanza (e con legami anche internaziona-li). Ci sarà stato pure altro, altri poteri politici oltre che economici (minoritari, assai provati dalla sconfitta del vecchio regime, soprattutto del craxismo, ecc.), ma quest’altro c’è stato, qualcosa per-mane tuttora. Non so però indicarlo, lo ammetto, e quindi devo soprassedere.
Risulta però chiaro che americani e subdominanti italiani hanno dovuto accettare la situazione obtorto collo e non hanno mai smesso di tentare di rovesciarla. Assai probabile mi sembra pure il fatto che la stessa opera di dismissione totale del “pubblico” a favore del “privato” non si è comple-tata perché certi settori (economico-politici) “non in evidenza” hanno “resistito” alla valanga ameri-co-subdominanti italiani (“privati”); hanno perso posizioni ma non sono stati spazzati via. In ciò sono stati favoriti magari dalle caratteristiche personali di Berlusconi e da certi mutamenti di costume e mentalità. Ancor più notevole è stato l’aiuto fornito dalla credenza, saldamente impiantata in una grossa quota di elettorato, che la sinistra fosse in fondo erede del “comunismo”. Questa è una scioc-chezza; meno sciocca è l’identificazione del “comunismo” (in realtà “socialismo”) – quello realmente esistito in Urss e paesi consimili – con uno statalismo forsennato, con il “magna magna” di un apparato “pubblico” infarcito di parassiti che succhiano il sangue di chi lavora e produce (questo spiega perché molti operai votino ormai “a destra”, mentre la “sinistra” ha i suoi punti di forza negli apparati statali e parastatali).
A questo punto, non può non venire in piena luce una conclusione. Berlusconi è riuscito a fare quel che ha fatto perché in una certa misura vi è stato costretto; per ragioni personali ma non solo. Se oggi non esce dalla politica, in cui era entrato per mancanza di sostituti, non è per spirito di servizio al paese, ma nemmeno per interessi solo suoi secondo l’idiota e consapevole menzogna di coloro che sentono di non aver assolto i compiti servili assegnati loro da Usa e subdominanti della Confindu-stria. In realtà, è anche lui invischiato in una ragnatela, pur nettamente minoritaria, di poteri politici ed economici, che gliela farebbero pagare cara se abbandonasse la sua postazione di lotta (altro che possibilità di ritirarsi tranquillo in qualche “Eden” del Globo a godersi i soldi).
E’ tuttavia molto evidente il perché non abbia mai controllato la situazione. In primo luogo non è (né lo sono coloro che stanno con lui) un personaggio con vocazione nazionale alla De Gaulle (manca pure la statura, per carità, ma è comunque assente la vocazione in questione); è pregno di “occidentalismo” – nel senso di “atlantismo” – e ha quindi sempre cercato di mediare con gli Usa e i subdominanti italiani, attaccandoli solo per necessità difensive, e soprattutto alla fine di certe cam-pagne elettorali per non soccombere del tutto ed essere spazzato via. Più di così non farà però mai, non è nella “sua natura”. Del resto, sarebbe abbandonato persino dai “suoi”, che sono della stessa “natura atlantica”.
In secondo luogo, non ha mai potuto avvicinarsi ai Servizi e ai “corpi speciali” (in armi), forgiati da 60 anni di Nato, cioè di sudditanza agli Usa. Forse ha tentato, ma senza troppo insistere per non entrare in urto dirompente con ambienti con cui cerca sempre di mediare. Sarà anche una questione soltanto di forma, ma appare sciocco che abbia accettato di buon grado di mettere D’Alema – il fe-dele agli Usa per eccellenza, l’uomo della “difesa integrata” durante l’attacco americano alla Jugoslavia – alla presidenza del Copasir (dove prima, comunque, c’era Rutelli). Direi che “a destra” non hanno mai curato – e non credo per incuria o stupidità congenita – il problema dei Servizi, ecc. Gli “altri” – quelli che adesso sembrano all’opposizione perché lo sono in Parlamento in quanto minoranza nel corpo elettorale, questa finzione “democratica” che deve essere mantenuta formalmente il più a lungo possibile pur nella ricerca di sostanziali “colpi di Stato” tipo “mani pulite” – sono in realtà i veri rappresentanti nella sfera della politica della maggioranza che conta: centri strategici statunitensi e subdominanti nostrani.
I gangli effettivi del potere – quei corpi di coercizione (ma solo in ultima istanza) senza i quali lo Stato non esisterebbe, malgrado superficiali intelletti e manutengoli del potere ciancino di questo organismo come svolgesse solo compiti amministrativi e atti di una politica diretta a tutelare, imparzialmente, gli interessi della “cittadinanza tutta” – non possono essere modificati senza un autentico rivolgimento dei rapporti di forza; non foss’altro che quelli intercorrenti tra i vari gruppi dominanti. Se qualcuno sogna – in buona fede? Mah! – rivoluzioni o trasformazioni sociali in cui le “masse” dei subalterni, per taluni addirittura da sole, sarebbero in grado di trasformare questa “sporca società”, costui va isolato e messo in condizioni di non nuocere; proprio perché non riesco a credere alla buona fede di simili “sognatori”, non possono essere così stupidi, preferisco pensare ad autentici mentitori che compiono azioni (teoriche e pratiche) diversive ben foraggiate da chi ha inte-resse allo statu quo. Oggi stiamo entrando – ma ne siamo appena all’inizio – in una nuova epoca “dell’imperialismo” (usando una terminologia obsoleta). La lotta acuta è per il momento tra gruppi dominanti, dove però ci sono i pre e i subdominanti.
3. Si stanno trasformando i rapporti di forza tra le varie partizioni (formazioni particolari o paesi o nazioni) della formazione sociale mondiale. Sta cedendo sempre più il “modello” unipolare che sembrava potersi instaurare dopo il crollo dell’Urss; ha resistito forse 10-12 anni ma ormai stiamo andando verso il multipolarismo (ancora “imperfetto”, sia chiaro, e quindi con qualche margine di incertezza per il futuro). Gli Stati Uniti hanno preso atto della nuova situazione mondiale cercando di adattarvi la loro nuova strategia e tattica (per il momento più tattica che strategia). La loro azione mira a preservare, con metodi più flessibili ma sempre “armati di violenza” (in atto o potenziale, aperta o subdola), la più vasta possibile zona d’influenza. Di fronte alle turbolenze in atto perfino nel cosiddetto “giardino di casa” (Sud America), è per loro importante la zona europea. La UE è di fatto succube della Nato ed è quindi una base per le loro manovre verso est (Russia in particolare) e sud/sud-est, con Iran e Turchia oggi in primo piano.
In quest’azione, che trova reazioni varie (per lo più molto arzigogolate e non sempre chiare) da parte di altre potenze in formazione, si andranno creando catene di relazioni tra certi centri (paesi predominanti, di cui appunto il più forte è ancora rappresentato dagli Usa) e una serie di paesi subordinati, di cui alcuni sono però subdominanti come quelli europei nei confronti degli Stati Uniti. Ebbene, assicurata da tempo la fedeltà dell’“alleato” inglese, si tende al pieno controllo dell’Italia che, per la sua conformazione di “naturale” base aerea e navale, è di notevole importanza per l’area a est e sud dell’Europa; nel contempo è anche un non irrilevante punto di rafforzamento del controllo statunitense su quest’ultima. In Italia, la maggioranza del potere reale dei subdominanti spetta alla grande finanza e industria “matura” di passate stagioni dell’industrializzazione, pienamente subor-dinate ai centri statunitensi e che, come già detto, hanno scelto le sedicenti “sinistre” quali loro rap-presentanti nel palcoscenico della politica. Queste hanno molto deluso: in vent’anni non sono riuscite ad avere ragione dei gruppi berlusconiani e a portare a compimento la svendita dell’industria “pubblica” (proprio quella dei settori più ambiti nella nuova epoca industriale), che dovrebbe lasciare totalmente il campo alla corrispondente industria del paese predominante dell’area e ai suoi “camerieri”, i subdominanti italiani.
I suddetti subdominanti hanno la maggioranza del potere reale, ma non riescono a prevalere nell’agone elettorale, sfera d’altronde importante se si vuole mantenere la facciata “democratica”. Altrimenti si è sempre in deficit; non si riesce ad esercitare il potere reale in tutta la sua pienezza. Tuttavia, è abbastanza evidente che i Servizi e gli altri “distaccamenti speciali di uomini in armi” sono per l’essenziale a disposizione di chi ha la maggior quota di potere reale, ma solo in quanto postosi al seguito dei predominanti statunitensi. A questo punto ci si trova da anni in una situazione bloccata. Dato lo sfarinamento della sedicente “sinistra”, esauritasi nell’inane tentativo di perfezio-nare il “colpo di Stato” (mascherato da opera di Giustizia) del ’92-’93, adesso gli stessi settori sub-dominanti vorrebbero portare al Governo un fantomatico “centro”, di cui Repubblica favoleggia una potenzialità del 22%. In realtà, si cerca, anche con l’aiuto di una parte del Pdl (i “finiani”), di creare una grande ammucchiata di tutti quelli disposti ad essere contro Berlusconi, senza un briciolo di programma politico e di…..cervello. Basta vedere chi sono i loro cosiddetti dirigenti; vecchi arnesi di una politica ormai marcia, putrida da decenni, più gentucola di poca materia grigia e molta arroganza proveniente dalla Confindustria.
Ovviamente si conta sul cosiddetto Governo “tecnico” o di emergenza (per la crisi che non sanno nemmeno da dove cominciare non dico a combatterla, ma nemmeno a descriverla) o di “unità na-zionale”, cioè di unità contro il berlusconismo e di piena sudditanza all’atlantismo. L’unico punto di forza è la sicura contrarietà della “più alta carica” a sciogliere le Camere – sempre con la scusa della crisi, che non è fatto passeggero e quindi, se questa scusa fosse valida, non si dovrebbero più indire elezioni per almeno un decennio – dando l’incarico di premier a qualche nullità in grado di riunire l’accozzaglia “antiberlusconiana” e di pieno gradimento dei predominanti Usa. Se questo accadesse, arriveremmo in tempo assai breve al più totale dissesto sociale, alla disgregazione di ogni legame di convivenza civile.
D’altra parte, come già rilevato, Berlusconi sembra avere la sola possibilità di continuare a vivacchiare posticipando la precipitazione catastrofica di cui appena detto. Non fornisce una strategia alternativa perché non vuol mettersi contro gli Usa, punzecchia ma non affonda contro i nostri subdominanti servi, fa qualche mossa economicamente vantaggiosa verso est e sud ma senza spingersi troppo oltre, non ha del resto alcun controllo dei “corpi speciali”, non può nemmeno chiamare il popolo a neutralizzarli e sostituirli in una politica più nettamente nazionale (diciamo: alla Erdogan). Non può fare nulla di tutto questo perché non è espressione di forze nazionali, ma solo di chi voleva sopravvivere a quel “cambio di regime”, manovrato da oltreoceano, passato alla storia come “mani pulite”. Indubbiamente, la sopravvivenza è durata a lungo, soprattutto per demerito delle bande politiche scelte per guidare tale cambio di regime. Questa sorta di galleggiamento di Berlusconi e delle forze (per nulla in evidenza, lo ribadisco) che lo appoggiano è alla fine? Non è per nulla sicuro per il semplice motivo che le bande politiche scelte nel ’92-’93, a mezzo di “mani pulite”, hanno dimostrato che affidarsi a mercenari di così bassa levatura non conduce da nessuna parte. Le bande di “centro” che si vorrebbero adesso mettere al comando – ma con la “sinistra” dei rinnegati che fornisca le truppe, perché altrimenti si chiacchiera a vuoto – sono formate da teste vuote e da “tecnici” di bassissima statura politica.
Bisogna però arrivare anche ad una conclusione più definitiva e severa. Le bande politiche di cui sopra esprimono la pochezza, la meschinità, il parassitismo, di quelle che volevano essere classi di-rigenti. Non lo sono mai state. Sono passate da un “cambio di cavallo” all’altro. Sono state fasciste, hanno tradito nel 1943 per mettersi con gli Alleati, poi hanno appoggiato la Dc, poi anche il Psi, ma sempre aspettando di portare il colpo definitivo per prendersi tutto il potere, sia reale che formale (“democraticamente”); e sempre appoggiandosi allo straniero predominante nel campo capitalistico e, dopo il “crollo socialistico”, nel mondo. Questa predominanza è durata un decennio; ora il multi-polarismo illumina a giorno tutto il marciume, la corruzione, il saprofitismo, di questa classe pseudodirigente di subdominanti.
Ci sarebbe l’occasione di spazzarla via e di spazzare via la falsa “sinistra”, fatta di “comunisti” della stessa risma di coloro che hanno affossato il “campo socialista”, appoggiati da cattolici della medesima tempra. Gentaglia incapace e verminosa, sostenuta da un ceto medio semicolto, ormai con il cervello in acqua, obbrobrioso, disgustoso, vile quant’altri mai. Basterebbe non un branco di lupi, ma di semplici cani un po’ ringhiosi e decisi, per mettere a tacere i loro indegni schiamazzi (“viola” o di qualsiasi altro colore). Dopo quasi un ventennio, sappiamo bene che questo branco non è rappresentato da Berlusconi e dai “suoi”. Con simili forze politiche si può solo permanere in una situazione di stallo, e nulla di più.
Altro non è da dire, al momento. Noi certo non siamo capaci di fare gran che e lo riconosciamo. Possiamo soltanto stare attenti a non confondere le cause con gli effetti. Il cancro da asportare nella nostra società è la “classe” attuale dei subdominanti con le sue schiere di “sinistra” e di “centro”. Quella che viene detta “destra” è solo un fenomeno di resistenza all’essere fatti fuori in toto dal “colpo di Stato” detto “mani pulite”; senza però alcuna capacità di ripulire il paese dai suoi ignobili felloni e parassiti, svolgendo una politica nazionale nel vero senso della parola. Il che implicherebbe, fra l’altro, il coraggio di affrontare i “corpi speciali” e di “convincerli” (termine dolce) a giocare un ruolo assai diverso e nazionalmente più “incisivo” (altro termine dolce).