Da Andreotti a Prodi, da D'Alema a De Mita: decenni di favori al gruppo sotto forma di incentivi e protezioni. Nel periodo '70-'90 i finanziamenti più consistenti a favore del gruppo torinese. Genericamente si potrebbe dire che furono tutti i big della politica della prima Repubblica a prestare un'attenzione particolare al gruppo Agnelli. Nella forma di aiuti, sostegni, spintarelle, scambio di favori, piaceri, paletti protezionistici. Il caso più clamoroso fu la protezione data da Romano Prodi in occasione dell'asta sull'Alfa Romeo. Ma ci furono interventi apparentemente marginali, però dalle conseguenze favolose per la Fiat. Basti pensare a quella nuova tassa che si inventò il governo Andreotti nel 1976, chiamata superbollo per i motori Diesel. Sotto al vestito una grande mano ai motori torinesi che all'epoca erano praticamente solo a benzina e di cilindrate basse. E la fuoriuscita dei motori stranieri a gasolio, all'epoca più avanzati. E poi la famigerata Cassa del Mezzogiorno, feudo democristiano, che con la scusa dell'industrializzazione gettò miliardi anche nelle fabbriche del gruppo (ma non solo ovviamente). Andiamo per ordine. Le ultime dichiarazioni di Sergio Marchionne («dall'Italia non arriva alla Fiat un euro di utile») hanno riportato alla ribalta il tormentone dei tanti sussidi, diretti e indiretti, di cui il gruppo che fa capo alla famiglia Agnelli ha beneficiato nella sua lunga storia. «Per elencare tutti i favori - dice maliziosamente un esperto del settore - ci vorrebbe un'enciclopedia». Sul banco degli «imputati» sono soprattutto i governi di centrosinistra e gli uomini che li hanno condotti: Romano Prodi, Massimo D'Alema e Giuliano Amato firmano i provvedimenti che danno maggiore ossigeno all'azienda torinese. A molti brucia ancora il regalo, già accennato, fatto da Prodi, all'epoca alla guida dell'Iri, alla Fiat: quell'Alfa Romeo strappata alla Ford, che nel 1986 (governo Craxi) aveva messo sul piatto 4mila miliardi di lire, ben più dei 1.050, da versare in cinque rate (la prima sei anni più tardi) senza interessi, offerti dal Lingotto allora amministrato da Cesare Romiti. Se l'Alfa Romeo aveva problemi allora, la situazione nel tempo è stata oggetto di pochi alti e tanti bassi, tant'è che il destino del marchio milanese non è tuttora ancora ben delineato. Il simbolo di un nazionalismo industriale di cui lo stesso Marchionne oggi essendone vittima, si lamenta. C'è chi è arrivato a quantificare l'ammontare dei finanziamenti statali elargiti a Torino in 100 miliardi di euro. Queste le voci considerate: rottamazioni (leggi incentivi: 400 milioni di euro solo nel '97 in virtù del piano Prodi), cassa integrazione, contributi per gli impianti al Sud, prepensionamenti, mobilità lunga, interventi sul fisco, barriere protezionistiche, leggi ad hoc. Nel balletto di cifre proprio ieri la Cgia di Mestre ha fatto due conti: 7,6 miliardi di finanziamenti erogati dallo Stato solo negli ultimi 30 anni, da suddividere in contributi per realizzare le fabbriche di Melfi e Pratola Serra (1,279 miliardi tra il '90 e il '95 con i governi De Mita, Andreotti, Amato, Ciampi e Berlusconi). Complessivamente, secondo la Cgia, tra il '77 e il '90 Torino ha beneficiato di 5,2 miliardi, avallati dai governi Moro, Andreotti, Cossiga, Forlani, Spadolini, Fanfani, Craxi, Goria e De Mita: praticamente tutti i bei nomi della prima Repubblica. Il gruppo degli Agnelli è stato aiutato, in base alla legge per il Mezzogiorno, a realizzare il suo programma di insediamenti industriali al Sud: oltre 6mila miliardi di vecchie lire in base al contratto di programma stipulato a Palazzo Chigi nel 1988 con i governi Goria-De Mita. In anni successivi, e precisamente tra il '93 e il 2009 (governi Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi, D'Alema e Amato) alle voci ristrutturazioni, innovazione e formazione è corrisposta un'erogazione da parte dello Stato pari a quasi 500 milioni di euro. C'è poi lo stabilimento di Pomigliano d'Arco, ereditato dalla vecchia Alfa Romeo (20,5 milioni a carico dello Stato per l'innovazione dell'impianto tra il '95 e il 2000)e quello siciliano di Termini Imerese, costruito nel golfo di Cefalù in una delle zone meno adatte per un polo industriale e sicuramente più indicata a ospitare milioni di turisti. La nascita del sito nel 1970 (governo Rumor) avvenne sulla spinta delle grandi lotte operaie del tempo che tra le principali rivendicazioni ponevano lo sviluppo del Mezzogiorno. Purtroppo, con il trascorrere degli anni, sono emerse le difficoltà di mantenere la produzione in un'area difficile da raggiungere e carente di infrastrutture, tant'è che la fabbrica che ha prodotto modelli di successo come 500, 126, Panda, Punto e Lancia Y, chiuderà a fine 2011. Di investimenti e contributi, comunque, Termini Imerese ne ha assorbiti: l'ultimo risale al 2007 (governo Prodi) con un intervento statale di 46 milioni. Bisogna sempre considerare infine due fattori. Ogni impresa, in qualsiasi parte del mondo, chiede aiuti economici alla politica. Il problema è quando la politica cede con tanta dovizia come ha fatto negli anni con Fiat. E infine occorre sempre ricordare come in un paese dotato di pochi colossi industriali, il gruppo torinese abbia negli anni rappresentato uno dei pochi baluardi dell'occupazione e della ricerca. Basti pensare al recentissimo caso serbo: hanno fatto ponti d'oro,tra incentivi fiscali e contributi vari, affinchè la Fiat rilanciasse il suo stabilimento locale.
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