Pallante: ma la crescita non è il rimedio, è il male
di Giorgio Cattaneo - 23/12/2010
Lo sostiene Maurizio Pallante, promotore italiano della Decrescita, impegnato a raccogliere forze critiche per costruire una piattaforma alternativa, anche politica, su cui impostare una rinascita delle idee per il futuro. Nuovo paradigma: decrescita del Pil non significa disagio sociale, ma migliore qualità della vita. Evitare riduzioni drastiche del benessere? Possibilissimo: basta dare spazio al potenziale di cui l’Occidente dispone, le grandi risorse delle tecnologie avanzate. Due settori chiave: energia e edilizia. Più tecnologia, uguale meno sprechi, più impresa, più fatturato, più occupazione. Esempio: costruire una casa ben coibentata riduce il Pil, alla distanza, perché la casa consumerà meno. Ma una campagna di ristrutturazioni ecologiche del patrimonio immobiliare comporterebbe un’infinità di vantaggi: più lavoro, meno impatto sull’ambiente, meno spreco di energia.
Stesso discorso per le rinnovabili: anziché rincorrere la «irresponsabile politica del ritorno al nucleare», basterebbe trasformare i consumatori in piccoli auto-produttori di energia, grazie alle moderne tecnologie di generazione energetica. Se scattasse un’alleanza fra ricerca, politica, industria e utenti finali, si invertirebbe la rotta con esiti immediati: zero devastazioni, meno maxi-costi, niente rischi e una gigantesca iniezione di economia sana, destinata a migliorare il pianeta, a partire dalla vita quotidiana di tutti. Edilizia ed energiafuturo possibile, quello che Pallante (Movimento per la Decrescita Felice) si è impegnato a ridisegnare insieme alle nuove reti civiche della cittadinanza attiva, con Giulietto Chiesa (Alternativa), Massimo Fini (Movimento Zero), il network “Per il bene comune” e molti altri. Obiettivo: creare un nuovo soggetto politico, per costringere i partiti a prendere atto che è ora di rivoluzionare l’orizzonte. sono due motori del
L’analisi è lucida, partendo dalla grande crisi del capitalismo finanziario: le innovazioni tecologiche, finora finalizzate ad aumentare la produttività accrescendo l’offerta, hanno ridotto la domanda e l’occupazione. I mercati oggi sono saturi. Edilizia e automobile, i settori trainanti dal secondo dopoguerra, hanno aggravato il divario tra domanda e offerta: al punto che le tradizionali misure di politica economica, finalizzate all’aumento della domanda attraverso la spesa pubblica in deficit, non hanno avuto gli esiti espansivi sperati e hanno soltanto aggravato i debiti pubblici di molti paesi, fino all’insolvenza che oggi esplode, scuotendo l’America e l’Europa.
In parallelo, si fa drammaica la crisi ecologica: clima alterato, esaurimento delle fonti fossili a partire dal petrolio, aumento dei gas serra e dei rifiuti: emissioni che hanno superato la capacità dell’ecosistema di metabolizzarle, mentre l’esaurimento dei suoli fertili rappresenta un allarme crescente. Disoccupazione e nuove forme di povertà sono il riflesso immediato di una crisi, che per la prima volta sottrae ai giovani la visione del futuro, in una società devastata dal denaro, unico valore in campo se l’organizzazione economica è finalizzata solo alla crescita della produzione di merci. Se a livello planetario esplode il divario tra ricchi e poveri, si profila una guerra mondiale strisciante per il controllo delle risorse strategiche, terreni agricoli, minerali pregiati, petrolio, gas, acqua potabile.
Finora, dice Pallante, si è sempre cercato di superare le crisi – indotte dalla crescita della produzione di merci – ripetendo all’infinito l’errore, e cioè rilanciando la crescita della produzione di merci attraverso un incremento della domanda e dei consumi. Misure ormai inefficaci, perché «non ci sono più margini per accrescere ulteriormente il prelievo delle risorse e la terra non è più in grado di metabolizzare ulteriori quantità di rifiuti liquidi, solidi e gassosi. Finché si continua a perseguire l’obbiettivo della crescita – insiste Pallante – tutti gli aspetti della crisi sono destinati ad aggravarsi. Possono essere superati solo se si abbandona questo obbiettivo».
Bisogna ammetterlo: dopo 250 anni, si sta chiudendo la fase storica avviata dalla rivoluzione industriale. «Per fare in modo che questo tornante della storia non sia contrassegnato da una serie di disastri e da un regresso dell’umanità verso una conflittualità diffusa e dalla lotta di tutti contro tutti, occorre aprire una nuova fase storica, contrassegnata da una riduzione controllata e guidata della produzione di merci, del prelievo di risorse e dell’emissione di scarti a livelli sopportabili dal pianeta».
Perché la riduzione non comporti pesanti restrizioni nel tenore di vita e anzi offra più risorse a disposizione dei poveri, occorre «una rivoluzione culturale capace non solo di definire e rendere desiderabili nuovi stili di vita più sobri e più responsabili, ma anche di promuovere un grande sviluppo di tecnologie capaci di accrescere l’efficienza con cui si usano le risorse, di attenuare l’impatto ambientale dei processi produttivi e di riutilizzare i materiali già utilizzati eliminando il concetto stesso di rifiuto». Solo una decrescita guidata lungo queste direttive, continua Pallante, può aprire una nuova fase più evoluta nella storia dell’umanità, trasformando la crisi che stiamo vivendo in una grande e irrepetibile occasione di cambiamento e miglioramento.
Il primo passo da compiere? Partire dai movimenti territoriali che, a macchia di leopardo, hanno fermato l’avanzata di grandi opere. Hanno fatto scuola i No-Tav della valle di Susa, decisi a opporsi all’alta velocità ferroviaria: un’opera faraonica e superflua, sostenuta sia dal centrodestra che dal centrosinistra. Aggregare i movimenti territoriali italiani potrebbe essere strategico, per passare dalla politica del “no” alla proposta di una “alternativa di sistema”, basata sul rilancio socio-economico reale, e cioè non sul dogma della crescita. Ripensare il futuro, costringendo anche la politica a scrollarsi di dosso lo strapotere di un’economia fallimentare, restituendo ai cittadini la loro piena sovranità democratica. Non è un’eresia, ma un realistico “rinascimento”: l’unico possibile, per non scomparire dal futuro.