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Crisi economica ecologica: la Cina ci penserà... non prima di cinque anni però

di Alessandro Farulli - 20/01/2011


 

 

 

Per dirla alla Berselli, almeno in occidente, diventeremo più poveri. Non necessariamente questo significherà peggiorare la nostra qualità della vita. Anzi, ambientalmente e socialmente parlando, potrebbe essere la nostra salvezza se saremo in grado di cogliere l'essenza dello sviluppo che non può essere la mera accumulazione personale delle merci. La crescita all'infinito non è possibile e lo hanno capito anche i cantori del turboliberismo.

La crisi economica ed ecologica ci impone un altro punto di vista che è "il che cosa deve crescere" e il "che cosa non deve crescere" per non giocarsi le risorse del pianeta e non essere sommersi dagli output del sistema. E questa scelta non può più essere delegata al mercato, meno che mai al mercato iperfinanziarizzato come quello attuale e reso incontrollabile da un'informatizzazione in grado di bruciare in partenza ogni tentativo di regolamentazione da parte di chicchessia, grazie all'impari scontro click vs decisioni democraticamente prese (leggi link).

Ma l'orizzonte a cui tendere, ovvero quello di un'economia (ecologica) in grado di garantire una qualità della vita dignitosa per tutti senza depauperare le risorse ambientali per le future generazioni, impone di tentare, il prima possibile e con ogni mezzo democratico, di governare questi tempi della finanza. Sviluppando giocoforza un manifatturiero (perché senza industria non si va da nessuna parte) sostenibile e che porti nuovi e duraturi posti di lavoro.

Ue e Usa, però, non sono più i protagonisti dell'economia mondiale come in passato sommersi come sono dai debiti (soprattutto i secondi) e alla ricerca di un'unità (i primi) che appare sempre più lontana (brutto segno questo club della Tripla A).

Dunque bisogna come minimo che a condividere questo scenario siano le economie emergenti finalmente - va detto con onestà - in forte espansione. Convincerle però non sarà facile e i summit (più o meno tutti al limite del fallimento) sul clima lo hanno già dimostrato. Il tema però è posto e la Cina, lo scopriamo ogni giorno di più, ha già le sue regole e i suoi tempi che complice la sua forza economica crescente rischia di essere la vera autrice della road map verso l'economia ecologica, perché comunque di questo stiamo parlando anche a Pechino.

Spiega infatti Jing Ulrich, direttore e presidente di China equity and commodities di J. P. Morgan, sul Sole24Ore di oggi che: «Il nuovo cambio al comando [della Cina, ndr] non è imminente, avverrà nel 2012. Ma non ci saranno molti mutamenti di linea né di programma. Manterranno alto il livello di crescita del Prodotto interno lordo. Per un quinquennio continueranno a puntare a una crescita quantitativa. Negli anni successivi andranno verso una crescita qualitativa. La Cina ha bisogno di aumentare la sua produzione agricola e di affrontare la questione ambientale. Ci aspettiamo più investimenti in questa direzione, per lo sviluppo di energia pulita ed efficienza energetica anche se per un altro decennio il carbone continuerà a restare la prima fonte: l'anno scorso ne ha importati 100 milioni di tonnellate e quest'anno saranno di più. Il nuovo gruppo dirigente continuerà la campagna Go West».

Il semplice fatto che la Cina continuerà almeno per un quinquennio a usare il carbone incrementandone anche l'importazione rischia già di per sé - temiamo - di mandare in soffitta ogni accordo sul clima. E questo è l'aspetto più negativo. Per contro - anche se la variabile tempo rischia di far deflagrare il tutto - l'aver già pianificato una crescita qualitativa e sostenibile tra cinque anni - considerato anche che nel frattempo la Cina è già all'avanguardia nelle energie alternative - sgombra ogni dubbio sul fatto che l'economia o è (e sarà) ecologica o non sarà.

Lo ha capito (già da qualche tempo come abbiamo già avuto modo di segnalare) anche Martin Wolf che infatti oggi sul Sole24Ore afferma circa il rapporto Cina-resto del mondo: «Fortunatamente, quasi tutto quello che va fatto per rendere l'economia mondiale meno instabile e più equilibrata è nel forte interesse economico di entrambe le parti. Sta diventando anche più evidente ora che la Cina è alle prese con la pressione dell'inflazione e con l'effetto ritardato del vertiginoso aumento del credito usato per compensare la contrazione delle esportazioni durante la crisi».

«La Cina - aggiunge - si misura con la sfida di raggiungere una crescita rapida, largamente condivida ed ecologicamente sostenibile. Mentre il resto del mondo deve imparare ad adattarsi alla crescente influenza cinese».

Non solo, «nel cercare di rispondere a queste sfide, la Cina e i suoi partner devono tenere bene a mente due considerazioni. Primo: le conseguenze politiche ed economiche di una rottura delle relazioni tra la Cina e il resto del mondo sarebbero catastrofiche. Nel migliore dei casi renderebbero impossibile mantenere la prosperità e gestire le sfide nate dalla pressione dell'umanità sulle risorse mondiali. Nel peggiore dei casi potrebbero portare a una guerra.

Secondo: è cruciale rafforzare ulteriormente la legittimità e l'efficacia degli strumenti di governance globale. La Cina può considerare queste strutture un'invenzione occidentale, se non un'imposizione aliena. Ma rimangono il modo migliore per gestire un mondo in cui nessun singolo paese - per quanto potente come gli Usa o potenzialmente potente come la Cina - può provvedere da solo ai bisogni del suo popolo». Anche per Wolf dunque l'economia deve tener conto delle risorse (che sembra un'ovvietà ma ricordiamoci che non era più tema da anni...) e deve essere governata a livello globale (che ci pare di averla risentita...).

Con conclusioni che in larga parte condividiamo: «Qual è, dunque, l'agenda economica che entrambe le parti devono affrontare? È ben nota: mantenere aperto il commercio, assicurare l'aggiustamento esterno, riformare il sistema monetario internazionale, gestire i beni comuni globali e controllare i potenziali conflitti per l'accesso alle risorse naturali».

Aggiungiamo solo un altro tassello che speriamo presto faccia anch'esso parte dell'agenda per non rischiare di vanificarla: se si condivide l'analisi diventa fondamentale una riappropriazione collettiva (politica) della variabile tempo, quella devastata dal'informatizzazione della finanziarizzazione che non ha solo bisogno di regole, appunto, ma di essere ri-condotta nei tempi che permettono l'orientamento e il controllo. Altrimenti non ci saranno né regole, né controlli, né orientamento di alcunché. Ed essa sarà possibile solo con un organismo democratico che agisce al livello della finanza. Ovvero a livello mondiale. Che il futuro abbia inizio.