In morte di un ologramma
di Marco Cedolin - 02/05/2011
Gli “eroici” Navy Seals americani hanno ucciso Osama Bin Ladin, l’inafferrabile icona del terrorismo olografico internazionale, l’ectoplasma più ricercato del pianeta, fin dai tempi dell’autoattentato alle torri gemelle dell’11 settembre 2001, riguardo al quale lui stesso, quando ancora possedeva una dimensione corporea, aveva più volte ribadito la più completa estraneità.
La “sconvolgente” notizia campeggia in formato maxi lusso sulle prime pagine di tutti i media, con una tale ridda di foto, articoli, retrospettive, precognizioni, indiscrezioni e valutazioni dotte, da tenere impegnato il lettore almeno per qualche settimana, sempre che si legga di buona lena e senza troppe distrazioni.
Ci sono i racconti concernenti i risvolti dell’operazione militare di grande prestigio ed estrema difficoltà, perché ammazzare un ectoplasma non è una passeggiata che s’improvvisa così su due piedi.....
C’è la narrazione della sepoltura del “corpo” in mare, secondo le modalità del rito islamico, dal momento che quando si ammazza un ologramma non occorre attendere qualche giorno prima di fargli il funerale, anzi si può procedere perfino in anticipo rispetto all’assassinio.
Ci sono le dichiarazioni dell’onorevole del PDL Michaela Biancofiore che vede nell’uccisione di Osama un miracolo del nuovo santo Wojtyla, dando della vicenda una visione mistica ricca di suggestioni.
Ci sono i filmati delle manifestazioni di giubilo a Ground Zero, i timori che l’ologramma anche da morto possa istigare masse di pixel a diffondere il terrore in giro per il mondo come ritorsione. L’esultanza di Karzai che nell’accaduto coglie una “lezione” per i talebani, condita dalla speranza che le truppe occidentali tornino presto a casa loro, risparmiando la vita di donne e bambini. Il rimprovero del Vaticano che ricorda come la morte non vada festeggiata, atteggiamento che potrebbe svilire l’entusiasmo della Biancofiore. E poi tantissimi filmati, tante foto, tante dichiarazioni, tanto di tutto.
Andando oltre la facile ironia, senza dubbio anche la morte di un ologramma pone interrogativi reali, parte dei quali molto inquietanti e che meriteranno di venire sviscerati nel tempo.
La scomparsa ufficiale di Bin Ladin potrebbe essere indicativa della fine di un decennio in cui le guerre imperialiste americane sono state giustificate solo e sempre attraverso lo spettro del terrorismo olografico e dimostrare come ormai i tempi siano maturi, perché le rivoluzioni colorate che corrono su twitter e facebook si sostituiscano ai terroristi mascherati che correvano nelle videocassette del Pentagono.
Al contempo potrebbe rivelarsi prodromica di un progressivo disimpegno americano in Afghanistan e in Iraq, volto a privilegiare l’occupazione militare di altri territori più appetibili nel prossimo futuro, quali la Libia, la Siria, il Marocco, l’Egitto, ma anche quell’Iran che per la Casa Bianca rappresenta un’onta da lavare, ormai vecchia di oltre trent’anni.
Ma non è da escludere che, al contrario, il Pentagono intenda invece usare la scomparsa dell’ologramma, proprio per rianimare di fittizia vita il di lui esercito “del male” e riproporre in grande stile la lotta al terrorismo, fidando sugli ottimi risultati ottenuti durante l’ultimo decennio.
Nessuna ipotesi può essere sposata con certezza assoluta, così come molte ed indecifrabili potrebbero essere le vie che hanno portato all’assassinio virtuale che per lungo tempo catalizzerà l’attenzione dei media.
L’unica certezza è caratterizzata dal convincimento che nulla venga fatto mai accadere per caso. Chi ha spento i pixel di Osama Bin Ladin, aveva ottime ragioni per agire in questo senso e tutti noi non tarderemo a prendere coscienza delle stesse, sempre ammesso che nel futuro in preparazione ci sia ancora spazio per prendere coscienza di qualcosa.