Crisi. E se dopo la Grecia toccasse agli Usa?
di Angelo Spaziano - 14/06/2011
Moody’s è ormai senza freni. Dopo avere impietosamente castigato la Grecia, declassandone il debito e precipitarlo al mortificante rango di “junk”, adesso ha rivolto i suoi strali velenosi verso lo Zio Sam. Sì, proprio il primo della classe, il poderoso Titanic stellestrisce, che ultimamente, però, è andato ad impattare contro un debito-iceberg di dimensioni spaventose.
La “suprema magistratura” del rating ha infatti spedito a Washington un pizzino col quale la si avverte che la prestigiosa pagella con la tripla A di cui ha goduto finora potrebbe essere a rischio.
Così, a 17 mesi dalle elezioni per il secondo mandato, Obama, oltre a fare i conti con un grave problema occupazionale, con un mercato del lavoro asfittico e con un’industria che stenta a ripartire, ora deve battagliare anche contro i boss del rating e con la loro mania di correre sempre in soccorso del vincitore e penalizzare il poveraccio.
Secondo i maestrini con la penna rossa, infatti, se non ci sarà entro breve tempo «un accordo credibile che porti all’innalzamento del tetto del debito con una netta riduzione del deficit», il baraccone obamiano potrebbe essere decurtato come un’Atene qualsiasi. E come un’Atene qualsiasi potrebbe presto fare i conti con l’ignominia delle ignominie: Il Default.
Il rischio di un’insolvenza, tuttavia, ha precisato l’infaticabile istanza, sarebbe alquanto basso, anche se in crescita. Gli gnomi della società di rating hanno specificato tuttavia che un «accordo credibile» sulla riduzione del deficit federale potrebbe mantenere l’outlook sotto i livelli di guardia. Tutto a posto quindi? Non proprio…
Il fatto è che nell’agone politico Usa è in corso una cruenta lotta all’ultimo sangue tra repubblicani e democratici che vede i primi fortemente determinati ad ottenere sostanziosi tagli alla spesa per risanare il bilancio. Un bilancio che soffre di un deficit a dir poco spaventoso, fissato per legge intorno ai 14.000 miliardi di dollari. Ma che necessita ope legis di un innalzamento. Si tratta quindi di una cifra da capogiro, difficile pure da scrivere e che farebbe tremare le vene ai polsi a chiunque.
La mammasantissima delle agenzie, insomma, considerata l’entità del buco, alquanto allarmata, avrebbe avvisato chi di dovere che se la situazione «non dovesse cambiare nelle prossime settimane», il rating statunitense potrebbe finire sotto osservazione. Un modo come un altro per annunciare un umiliante “downgrading” a breve termine.
Alla fine dello scorso mese di maggio infatti la Camera Usa, dove dominano i repubblicani, ha respinto la proposta d’innalzare di 2.400 miliardi di dollari il tetto del debito pubblico in mancanza di un accordo con l’amministrazione sull’adozione di un ferreo piano di contenimento. L’esecutivo naturalmente ha gettato acqua sul fuoco, annunciando che potrà far fronte agli impegni in tutta tranquillità almeno per un altro paio di mesi. Ma una soluzione mirata a mollare ulteriormente i cordoni della borsa sarebbe assai rischiosa per Obama, visto che tale opzione potrebbe mettere in pericolo la riforma della Sanità, fortemente voluta dal presidente democratico.
Le difficoltà attualmente attraversate dall’economia yankee si stanno ripercuotendo anche sul sistema creditizio. Un settore vitale dell’economia, anch’esso naturalmente oggetto delle insane attenzioni di Moody’s, che ha messo sotto osservazione pure i prim’attori del mercato d’Oltreoceano: Bank of America, Citigroup e Wells Fargo in primis.
E non è andata meglio neppure a Goldman Sachs. Lo scorso anno Goldman era già stata costretta a sborsare 550 milioni di dollari per risolvere una disputa con la Sec – la Consob americana – sul prodotto Abacus tramite il quale la banca guadagnava a rotta di collo mentre i suoi clienti ci lasciavano le penne. Ora G&S è stata raggiunta da un’altra tegola.
Il procuratore distrettuale di Manhattan avrebbe infatti richiesto altri particolari sulle pratiche – si presume illecite – seguite dal big di Wall Street per la concessione di crediti durante la crisi. Il provvedimento si è reso obbligatorio in seguito alla pubblicazione del rapporto della sottocommissione d’indagine permanente del Senato Usa che avrebbe accusato Goldman Sachs di avere ingannato i risparmiatori.
Niente di nuovo dal fronte occidentale insomma.