Il prezzo del petrolio cala a 90 dollari a barile. L'ultima dose?
di Andrea Degl'Innocenti - 24/06/2011
L'Aie ha dichiarato di voler immettere 60 milioni di barili di greggio nei prossimi 30 giorni, prendendoli dalle scorte dei paesi membri - la metà circa dagli Usa. Una decisione del genere, che in passato si era dimostrata controproducente facendo salire ulteriormente il costo del petrolio, questa volta è sembrata funzionare, ed il greggio è sceso attorno ai 90 dollari al barile. Ma la notizia potrebbe celare dei risvolti inaspettati e tutt'altro che positivi.
L'Aie ha deciso di immettere 60 milioni di barili di greggio nei prossimi 30 giorni
È bastato che l'Aie dichiarasse di voler immettere 60 milioni di barili di petrolio in 30 giorni per far calare nettamente il prezzo del greggio. Le altre due volte in cui era stata presa una decisione del genere – nel 1991 e nel 2005 – la risposta dei mercati fu di segno opposto poiché la decisione venne interpretata come un ulteriore sintomo della gravità della situazione. E proprio la risposta positiva di oggi, forse, è il dato più preoccupante.
Ma cerchiamo di capire cosa è successo. L'Aie (Agenzia Internazionale dell'Energia) è un'organizzazione internazionale nata in seno all'Ocse nel 1974 in conseguenza del terribile shock petrolifero dell'anno precedente. In quell'occasione era accaduto che le nazioni del medioriente appartenenti al cartello petrolifero Opec, il maggiore a livello mondiale, avevano deciso di interrompere il flusso di petrolio in occidente in seguito alla guerra fra lo stato d'Israele e l'esercito sirio-egiziano.
L'Aie nacque dunque per cercare di ridurre la sudditanza energetica del mondo occidentale nei confronti dell'Opec, e per far fronte ad eventuali emergenze. Per questi motivi decise di istituire una riserva di petrolio obbligatoria per tutti gli stati membri, che consentisse di coprire almeno 90 giorni di fabbisogno. Situazioni di emergenza si verificano ogniqualvolta scoppia una guerra fra uno o più paesi occidentali ed un paese produttore di petrolio. Quest'ultimo chiude i rubinetti e l'intera economia occidentale barcolla pericolosamente finché la guerra non finisce e le preziose risorse del paese diventano 'cosa nostra'.
Così accadde nel 1991, quando durante la prima guerra del Golfo l'Aie decise di utilizzare per la prima volta il petrolio di scorta. Ma, come dicevamo, il risultato ottenuto fu quello contrario: i mercati impauriti interpretarono la mossa come conferma della fondatezza dei loro timori ed il prezzo salì ancora. Stessa reazione si ottenne nel 2005, quando l'immissione di greggio non fu dovuta ad una guerra ma agli effetti devastanti dell'uragano Katrina sulla produzione americana.
Oggi l'elemento scatenante è stato la guerra in Libia, con l'assenza del petrolio di Gheddafi che pesa come un macigno sulla già sconquassata economia mondiale. Il petrolio è salito costantemente per diversi mesi, con picchi attorno a 115 dollari al barile. Ad aggravare la situazione, l'ultimo vertice Opec è stato una sorta di buco nell'acqua – se così si può dire – con l'Arabia Saudita che non è riuscita a far passare la propria linea circa l'aumento della produzione, per l'opposizione di Iran e Venezuela.
L'Aie ha così deciso di immettere 2 milioni di barili al giorno per 30 giorni. 30 dei 60 barili complessivi saranno immessi dai soli Stati Uniti, gli altri dai restanti stati membri; l'Italia dal canto suo ne immetterà circa 2 milioni e mezzo, 82mila al giorno. La decisione dell'Aie, questa volta, ha incontrato non poche critiche, soprattutto da parte degli stessi paesi Opec, contrari a questa manipolazione esterna e forzata del mercato del petrolio.
La reazione dei mercati invece è stata di segno positivo. Il greggio è sceso rapidamente attorno ai 90 dollari al barile; la qualità Brent, il greggio di riferimento scambiato in Europa, è calata del 6,1 per cento. Come mai? Eppure fra un mese, quando terminerà l'immissione d'emergenza, la situazione tornerà a precipitare. E gli esperti ritengono che l'intervento in Libia non si risolverà prima di un anno. Perché queste preoccupazioni non pesano sul mercato?
Il dubbio, fondato, è che la situazione economica dell'occidente non consenta di pensarci. Che la dipendenza dal petrolio in esaurimento sia così forte da far scordare qualsiasi scenario futuro pur di ottenerne un'altra dose. I paesi industrializzati non si possono permettere di pensare ad un futuro che vada più in la di poche settimane; si comportano oggi alla stregua di tossicodipendenti alla disperata ricerca di un'ultima iniezione. Il petrolio sta finendo ed i petroliodipendenti sono sempre più aggressivi e pericolosi, pronti a tutto pur di avere un'ultima dose.