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L’anima dell’Europa cominciò a scomparire quando non si eressero più le cattedrali

di Francesco Lamendola - 21/07/2011




L’Europa possiede ancora un’anima?
Probabilmente no: quel che restava di essa è stato spazzato via dalle due guerre mondiali e specialmente dai deliberati, sistematici, criminali bombardamenti aerei alleati, che hanno cancellato, insieme alla vita di centinaia di migliaia di persone innocenti, le ultime vestigia di una antica e gloriosa civiltà: i musei, le biblioteche, le ville, i palazzi, le cattedrali…
Già, le cattedrali: quella straordinaria, incomparabile foresta di pietra vivente che un soffio potentissimo di spiritualità eresse, nel cuore del Vecchio continente, nell’arco di circa tre secoli, dal Mille al Milletrecento; precedute, a loro volta, da una grandiosa, spettacolare fioritura monastica, che disseminò ovunque conventi e abbazie e che attrasse migliaia e migliaia di giovani d’ambo i sessi verso un ideale ascetico e altamente spirituale.
Le grandi cattedrali gotiche sono il monumento più straordinario che la civiltà europea abbia mai innalzato all’Assoluto e, al tempo stesso, la più commovente testimonianza resa da quella civiltà alla nostalgia della propria parte migliore: il richiamo dell’Essere, di quel Primo Motore e di quel Centro cosmico che, per le creature terrene, è come l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine di ogni cosa ed il senso ultimo di tutto ciò che esiste.
Con buona pace della Vulgata illuminista e neoilluminista, secondo la quale vi è poco o nulla da salvare nei secoli del “buio Medioevo”, mai come allora il nostro continente è stato vivo e pulsante di fede, di operosità, di ricerca della verità: quando persone d’ogni ceto e d’ogni età si mettevano in cammino, a piedi, per San Giacomo di Compostella o per Monte San’Angelo (il computer mi segna come errore la parola “Compostella”: fino a questo punto è giunto l’oblio delle proprie radici, propiziato dalla barbarie tecnologica); e quando dai conventi alle università si spandeva, come un fiume armonioso e possente, la filosofia di San Tommaso d’Aquino, supremo sforzo di conciliazione della cultura cristiana con quella greca e mirabile architettura spirituale, nata e pensata per misurarsi coi millenni, non - come la maggior parte delle filosofie contemporanee - con gli anni o, magari, i mesi…
La decadenza dell’Europa è incominciata quando quel meraviglioso soffio di spiritualità ha incominciato a spegnersi; quando i suoi abitanti hanno smesso di costruire le cattedrali (anche se hanno continuato ad erigere templi, ma ormai non più segni di preghiera slanciati verso il Cielo, bensì vuoti simulacri per celebrare la maestria del singolo architetto); quando l’anima delle persone ha perso il proprio centro e si è dispersa in una quantità di richiami, di brame e di appetiti disordinati e distruttivi.
È stato allora, fra il XIV e il XV secolo, quando l’astuzia del banchiere ha definitivamente sopraffatto e spodestato la nobiltà d’animo dell’asceta o del guerriero (che magari erano la stessa persona, come nel caso dei cavalieri templari) e quando la Chiesa è venuta a patti col mondo dei valori borghesi, lasciando cadere la sua secolare condanna dell’usura, che l’Europa ha incominciato a perdere la propria anima.
Dopo di allora, la sua storia non è stata che quella di una lenta agonia; anche se ciò è passato, paradossalmente, quasi inosservato, perché proprio a partire da quell’epoca è iniziata la sua spettacolare espansione produttiva, commerciale, militare, scientifica e tecnologica, che le ha consentito di sottomettere gran parte del mondo e di proclamare la propria come la migliore delle civiltà possibili, dalla quale ogni altra aveva solo da imparare (quando addirittura non meritava la distruzione fisica, come più volte accadde).
Dopo di allora, l’Europa ha smesso di generare giganti dello spirito come San Francesco, giganti del pensiero come Dante, giganti dell’arte come Giotto; ed è incominciata la generazione dei nani presuntuosi e maligni, dei quali è bello tacere gli stessi nomi, anche perché il loro numero è legione e non accenna a diminuire: queste anime brutte, rachitiche, crudeli, che sanno solo distruggere, dissacrare e gettare su ogni cosa l’ombra dei peggiori sospetti.
Se, percorrendo le navate di una cattedrale gotica, si alza lo sguardo verso la controfacciata e ci si lascia abbagliare dalla luce che filtra attraverso il rosone, non si può non percepire, oltre alla perfetta sapienza costruttiva, anche il significato simbolico e mistico della ruota, che ricorre anche in mille e mille sculture, pitture, mosaici: di quella ruota che è, al tempo stesso, simbolo di movimento, di vita, di progresso spirituale e di ritorno al cuore della realtà, al cure dell’Essere, a quel Motore Immobile dal quale ogni cosa ha ricevuto inizio.
E non è certo un caso che l’immortale poema dantesco, summa e coronamento di tutto il sapere medievale, si concluda con l’immagine di una ruota che gira con movimento uguale ed armonioso, riassumendo in se stessa quanto vi è di geometricamente perfetto, come il cerchio, e di nobilmente mobile e progressivo:

«All’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa
l’amor che move il sole e l’altre stelle»
(Par., XXXIII, 142-45).

Scrive Angelo Terenzoni nel libro «L’universo simbolico della cattedrale. San Lorenzo di Genova» Genova, Edizioni Alkaest, 1980, pp. 13-15):

«Espressione di un cosmo ordinato attorno al Primo Motore e di una tensione verso l‘alto attuantesi nel raggiungimento del centro dello stato umano e da lì ascendente verso gli stati superiori dell’essere, la cattedrale rappresenta una realizzazione artistica che affonda le sue radici in un “humus” tradizionale nel quale venga mantenuto un costante collegamento tra metafisica e religione, ove sia cioè possibile, a chi ne è qualificato, di trascendere, pur senza annullarla, tale ultima dimensione e così fare riferimento alla sfera dei principi. Opera di centri iniziatici coscienti di una simile gerarchia di livelli conoscitivi, tale collegamento si esaurì con essi e col venire alla ribalta dell’individualismo, il quale si realizzò pienamente con Umanesimo e Rinascimento; il primo pose l’uomo infatti al centro dell’universo ed a Lui ricondusse ogni cosa, tagliando il filo collegante l’essere umano al suo Principio, mentre il secondo ne fu un’immediata conseguenza nell’arte e diede inizio ad un processo involutivo, al termine del quale l’artista si sarebbe scoperto una miserevole nullità, uno spettro schiavo degli impulsi psichici ed ormai condannato a vagare nella dimensione infraumana.
L’arte postmedievale si caratterizza quindi per la perdita di quel centro che l’artefice del Medioevo ebbe sempre ben vivo e presente ed attorno al quale fa ruotare il suo universo simbolico, riconducendo il tutto nell’ambito sacro del tempio, immagine del cosmo e perciò visione totalitaria della realtà, Il Rinascimento disperde questa armonia e questa sintesi, spargendo le opere d’arte in ogni punto che piaccia all’individuo e dove esse ne soddisfano il gusto estetico; su questa via si smarrisce completamente l’idea della forma e la figura umana, dall’arte medievale riassunta nell’immagine del Cristo Verbo Incarnato, si snatura, sino a divenire un’accozzaglia di linee e di ghirigori, di nasi e di bocche mostruosi, piazzati su visi dalla più aberrante forma. È questa la perdita di un centro simbolicamente esprimibile collo sfasciamento della Ruota, i cui frammenti si disperdono all’intorno, sino al dissolversi nel nulla inferiore; ma, accanto, ad una inesorabile dissoluzione, la quale appare conforme peraltro alle leggi cicliche, vi sono delle ripercussioni sulle organizzazioni dei costruttori delle cattedrali e sulla liturgia religiosa.
Sdi ha tuttavia, in questi due casi, solo un occultamento del centro, in quanto la Ruota resta sempre ben salda nella sua interezza; vi è comunque un riflusso sul contorno, come effetto del venir meno dei centri iniziatici vivi e operanti in seno alla Tradizione Medievale. Così le corporazioni dei costruttori, a partire dal XV secolo, entrano in una fase di fluidità, al termine della quale verrà alla luce la Massoneria, fiera nemica del Cattolicesimo e fattiva parte nella formazione del mondo moderno. Si ha, in poche parole, un continuo coinvolgimento nella molteplicità ed un mutamento di azione per adattarla alle contingenti realtà, il tutto come effetto dell’abbandono dell’operatività, quest’ultima condizione unica ed imprescindibile per il raggiungimento del centro. La massoneria conserva comunque il rituale degli antichi costruttori ed i suoi simboli sono in grado di riacquistare tutto il loro valore, una volta che verrà attuato il ritorno all’operativo, come effetto derivato di una primaria ed imprescindibile restaurazione tradizionale muovente dai principi metafisici.
In campo cattolico, alla cattedrale segue la chiesa barocca della Controriforma, la cui struttura pesante ed intonacata esprime la sclerotizzazione di un mondo, mentre i cieli tempestosi delle sue volte danno l’idea di una tensione interore priva di sbocco verso l’alto: è infatti questo un contesto in cui la dimensione esoterica è perduta ed in cui regna sovrano il più bieco esclusivismo religioso. Purtuttavia la fede delle masse appare salda e la liturgia, coi suoi cori, il suo incenso e le sue luci, è in grado di trasmettere all’individuo una tensione sentimentale che ne appaga le esigenze devozionali, dandogli la chiesa un senso di sicurezza e di protezione. La modernizzazione del cerimoniale attuata dal Concilio Vaticano II, come effetto del recepimento delle dissacrate motivazioni esistenziali del mondo moderno, toglie al rito tale capacità di appagamento, trasformando la chiesa in una sala di adunanza comunitaria, ove la celebrazione delle lingue nazionali e gli sdolcinati inni, privo di significato, sono il risultato di una simile “protestantizzazione”. Dell’espressione liturgica. Il tempio perde allora la sua natura di luogo ove attuare l’elevazione verso l’alto e diviene una sola ed unica navata, al cui centro sta un altare rivolto verso i fedeli, ove il celebrante spesso si compiace di sentirsi “uno dei tanti” e, in questa sua follia, smarrisce il senso del rito della Messa che, come sacerdote, ripete continuamente.
Individualismo artistico, Massoneria e liturgia postconciliare costituiscono quindi, seppure con sfumature diverse, altrettanti aspetti di una degenerazione e, come tali, esprimono una realtà profondamente diversa rispetto al’epoca in cui l’arte trovava il suo fine ultimo nella conoscenza ed i costruttori delle cattedrali ne attualizzavano operativamente i suoi canoni, elevando monumenti ove ilo rito rifletteva una centralità indefinitamente recuperabile. Il ritorno ad una simile armonica sintesi, nella quale un centro immobile governa ogni cosa, non appare tuttavia un’impossibilità esistenziale - e la cattedrale si staglia ad immagine viva di una restaurazione da attuare - restaurazione che avrà tuttavia un senso - ed è bene sempre ribadirlo - nella misura in cui la luce della conoscenza metafisica brillerà di nuovo nell’Occidente, distruggendo ogni individualismo, “scacciando i mercanti dal Tempio” e ridando al Cattolicesimo quell’apertura verso l’alto che ne fa una tradizione “conforme ai principi”, in linea cole parole di Cristo a Pietro: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’Inferno non prevarranno contro di essa”.»

Tirando le somme dall’esperienza degli ultimi sette secoli, si può dire che da quando gli uomini hanno voltato le spalle al Motore Immobile e, con esso, all’idea di un Cosmo vivo e ordinato, per sostituirla con quella di una casuale aggregazione della materia, senza senso e senza scopo, non hanno fatto altro che preparare, dietro gli effimeri successi della scienza e della tecnica, la propria caduta morale e spirituale.
Vi è ancora spazio per nutrire la speranza di una ripresa, di una rinascita, di una ricostruzione dell’anima dell’Europa e, con essa, dell’uomo contemporaneo?
Dal punto di vista puramente razionale, bisogna ammetterlo, le speranze sono deboli. E tuttavia: nessuna speranza è morta del tutto, finché anche un solo essere umano custodisce e alimenta, nel tesoro della propria anima immortale, il sogno eterno della Verità, della Bontà e della Bellezza…