Ma ha ancora senso parlare di crescita?
di Maurizio Pallante e Andrea Bertaglio - 16/08/2011
Segavano i rami sui quali erano seduti. E si scambiavano a gran voce le loro esperienze, di come segare più in fretta. E precipitarono con uno schianto. E quelli che li videro, scossero la testa e continuarono a segare. (Bertolt Brecht)
Sembra ormai sempre più chiaro: non stiamo seguendo la giusta direzione, e serve un nuovo paradigma culturale che ci permetta di cambiarla. Magari con la decrescita. Che non vuol dire “tornare indietro”, ma semplicemente “cambiare rotta”, in totale contrasto con l’imposizione della crescita (economica) senza limiti, tanto deleteria quanto improbabile. La Decrescita Felice non è ripudio per la tecnologia o per l’innovazione. Ci vuole infatti più tecnologia per costruire, ad esempio, una casa “passiva” senza impianto di riscaldamento o che, se non passiva, consumi al massimo 7 litri di gasolio al metro quadro all’anno, come in Germania, di una che ne consuma anche più di venti, come in Italia.
La Decrescita Felice è il desiderio ed ha l’obiettivo di riportare sia l’economia che, appunto, la tecnologia al servizio dell’uomo, e non il contrario. Decrescita significa mettere in pratica una serie di cambiamenti che in certi casi possono dare l’impressione di far fare un passo indietro, ma non ritiene necessariamente che il passato sia stato tutto rose e fiori. È un tentativo di dare un aspetto più umano e meno atomizzato alla situazione attuale, cercando di unire alcuni vecchi usi o abitudini all’attuale apertura mentale e livello culturale (in teoria superiori rispetto a prima), nonché agli attuali progressi scientifici e tecnologici.
È il proposito di riportare l’essere umano a lavorare per vivere, non vivere per lavorare; a produrre per usare, non consumare per produrre. È il tentativo di ridare il giusto significato a termini quali “progresso”, “sviluppo”, “benessere” (ormai confuso con “tantoavere”) e ovviamente “crescita”, non di voler tornare al carro e alla candela, o altri luoghi comuni preconfezionati che le vengono attribuiti. E se in certi casi la Decrescita Felice può in effetti portare a fare un passo indietro, non vuol dire che sia un male, o che sia una scelta così sbagliata. Se vi trovate sull’orlo di un precipizio, ad esempio, preferireste fare un passo avanti o uno indietro?
Decrescita Felice è anche questo. È la consapevolezza del fatto che è arrivato il momento di rallentare, magari anche di fermarsi un attimo a riflettere sul da farsi, guardare il precipizio che ci si prospetta davanti (che sia economico, sociale, ambientale, esistenziale), fare un passo indietro se è necessario, e continuare sulla nostra “nuova” strada, avendo scelto un sentiero diverso per potere davvero andare avanti. È, paradossalmente, uno dei fenomeni più innovativi che ci siano in questo momento, soprattutto se si pensa che mercato, politica ed economia si basano per lo più su concetti, convinzioni e ideologie ormai vecchi di due secoli.
Siamo solo all’inizio di quello che, si spera, sarà un lungo percorso da fare tutti insieme dato che, in un modo o nell’altro, siamo tutti sulla stessa barca. L’importante è non abbandonarsi all’idea che sia in ogni caso una battaglia persa, e che l’unica possibilità che abbiamo è quella di adeguarci alle regole dettate da un mercato impazzito che, promuovendo (tramite la società di consumi che ha creato) lo spreco e la superficialità, continua a (provare a) distrarci dalle nostre reali esigenze, propinandoci una serie di vuote e false promesse che non stanno creando che problemi e frustrazioni.