I mutamenti climatici e la questione energetica
di Alain de Benoist - 23/08/2011
I consumi di energia continuano a crescere: in Italia, anche nell’estate si è più volte sfiorata la soglia dei 54.000 megawatt di energia elettrica, arrivando a ridosso della soglia record dell’anno precedente che ha superato i 55.000 megawatt. Qual è la sua opinione riguardo alle cosiddette “energie alternative”, come l’eolico o il fotovoltaico? Assieme alla ricerca su di esse, come dovrebbe agire una serie politica di riduzione dei consumi? Su quali versanti è più direttamente praticabile ed auspicabile un “risparmio energetico”?
Alain de Benoist. Il ricorso alle “energie alternative” è in sé una buona cosa. Ma l'errore sarebbe di credere che si potrà, grazie ad esse, conservare lo stesso ritmo di crescita. Attualmente, le possibilità che offrono le energie di sostituzione sono in effetti limitate. I petroli non convenzionali, come gli olii pesanti del Venezuela e le sabbie bituminose del Canada, per essere estratti necessitano all’incirca di altrettanta energia rispetto a quella che permettono di recuperare. Il gas naturale può servire a migliorare l'estrazione del petrolio o a fabbricare delle essenze di sintesi, ma necessita ancora di molta energia. Le riserve di carbone sono più importanti, ma è un'energia molto inquinante e che contribuisce doppiamente all'effetto serra, poiché la sua estrazione provoca delle emissioni di metano (che possiede un effetto serra 23 volte più potente dell'anidride carbonica), frattanto la sua combustione rilascia del gas carbonico in grande quantità. Il problema essenziale dell'energia nucleare risiede, come si sa, nello stoccaggio delle scorie radioattive di lunga durata (e in una catastrofe sempre possibile). Questa energia non si può inoltre sostituire ai complessi petrolchimici e ai prodotti di consumo corrente derivati. L'idrogeno è un vettore d'energia, ma non una risorsa d'energia, e la sua produzione commerciale ha un costo da 2 a 5 volte superiore rispetto agli idrocarburi utilizzati per crearlo.
Inoltre, il prezzo del suo stoccaggio è 100 volte più elevato di quello dei prodotti petroliferi, e tutte le volte che si è prodotta una tonnellata d'idrogeno, si sono prodotte altresì 10 tonnellate di anidride carbonica.
Le energie rinnovabili sono fornite dal vento, dall'acqua, dai vegetali e dal sole. Attualmente, esse non rappresentano che il 5,2% di tutta l'energia consumata nel mondo. Sebbene esse siano a priori più promettenti, sarebbe ugualmente illusorio sperare di più.
I vegetali hanno una debolissima capacità energetica. Le bio-energie (valorizzazione dei sottoprodotti della filiera bosco) implicano una deforestazione intensa. I biocarburanti sintetizzati a partire dalla barbabietola, dalla colza, dal mais o dalla canna da zucchero, come l'etanolo, hanno un rendimento abbastanza limitato. Il solare termico non è stato ancora fatto oggetto di uno sfruttamento soddisfacente. L'energia idraulica è più competitiva, ma esige degli investimenti consistenti. L'energia eolica è quella più a buon mercato, ma non funziona che nel 20-40% del tempo, tenuto conto delle variazioni dei venti.
Restano quelle tecniche di cui talvolta si parla, come la fusione nucleare, la «fusione a freddo», il sequestro del carbone o le centrali solari spaziali, ma la maggior parte di esse oggigiorno non sono che allo stato di progetto e quasi tutte necessitano di un sovraconsumo d'energia che rende il loro bilancio netto prevedibile incerto.
I mutamenti climatici negli ultimi anni si stanno manifestando in maniera sempre più decisa ed evidente. Forti variazioni delle temperature stagionali, scioglimento di ghiacciai e innalzamento del livello del mare, migrazioni della fauna fuori stagione, cambiamenti della geografia delle specie vegetali e via discorrendo. Perché le popolazioni non sembrano mostrare la necessaria attenzione a tali fenomeni? Perché queste modificazioni ancora non inducono significativi provvedimenti per il quotidiano stile di vita?
Alain de Benoist. Contrariamente a quello che voi dite, io ho il sentore che la gente oggi sia più sensibile ai problemi dell'ecologia. E ciò è ancor più vero riguardo alle perturbazioni climatiche, di cui essa è la prima a constatarne gli effetti nella vita quotidiana. Ma non è ancora disposta a trarne le conseguenze. Si potrà dire che molte persone sono a questo riguardo più o meno «schizofreniche». Da un lato sono ben coscienti del degrado dell'ambiente naturale e dei rischi provocati, ad esempio, dal surriscaldamento climatico. Dall'altro lato, essi vorrebbero allo stesso tempo poter conservare il medesimo stile di vita a cui sono abituati. Occorrerà del tempo affinchè comprendano che questa è una contraddizione. Di qui la necessità di tutto un lavoro pedagogico il cui scopo è quello di far comprendere che «più» non significa sempre «meglio».
Le persone sono state abituate a pensare che la «crescita» e lo «sviluppo» sono dei fenomeni naturali, mentre durante i millenni l'umanità ha ragionato diversamente. L'ideologia del progresso ha giocato da questo punto di vista un ruolo essenziale. Anche se oggi ha perso gran parte delle sua credibilità (l'avvenire appare più portatore di minacce che di promesse), la vecchia credenza secondo la quale una crescita quantitativa permanente è una cosa sempre buona in sé non ha abbandonato le menti. Le persone non vedono che una tendenza prolungata all'infinito può invertirsi bruscamente nel suo contrario (ciò che i matematici chiamano il passaggio al limite). Resta loro da comprendere che una crescita infinita in un mondo finito è una contraddizione in termini: non si può vivere indefinitamente a credito tirando su un capitale che non si rinnova.
Eugenio Benetazzo sostiene che quella delle “energie alternative” non sia nient’altro che una “farsa”, poiché sarebbe più corretto definirle “derivative”: in altri termini, è sempre la disponibilità di petrolio greggio a determinarle e renderne possibile la produzione e la diffusione. Il petrolio è necessario, ad esempio, per la fabbricazione dei pannelli fotovoltaici così come per il loro trasporto. Il petrolio sarebbe dunque connaturato alla complessa molteplicità dello stile di vita moderno, da un punto di vista prettamente antropologico: grazie ai trasporti ed ai ritmi di vita da essi consentiti, alle tipologie di prodotti alla cui base (industriale e commerciale) esso si pone, grazie agli innumerevoli settori in cui la petrolchimica ha ingerenza (dai fertilizzanti alla catena alimentare), si può ben affermare che “l’uomo moderno è il petrolio”. Se così fosse, con l’esaurimento degli idrocarburi naturali, l’umanità intera dovrà davvero rinunciare a qualsiasi forma di “energia” attualmente conosciuta e così rimodellare integralmente il proprio stile di vita?
Alain de Benoist. Eugenio Benetazzo è uno specialista di problemi borsistici che ha scritto delle cose interessanti sulla possibilità di una nuova crisi finanziaria mondiale (un «nuovo 1929»). Non ha torto quando afferma che il petrolio fa parte della composizione di un gran numero di oggetti utilizzati oggigiorno e che non c’è da attendersi troppo dalle energie alternative - anche se a mio avviso è molto esagerato qualificarle come «farsa».
Un certo numero di queste energie alternative non presenta in effetti interesse senza la presenza di petrolio a buon mercato. Occorre ad esempio molta energia per estrarre il carbone e inviare il minerale. Per fabbricare dell'elettricità occorre ancora energia, fornita oggi dal petrolio, il gas o il carbone. Parimenti, i biocarburanti hanno bisogno di concimi e di pesticidi, che furono all'origine della «rivoluzione verde», ed esigono dunque del petrolio per avere un rendimento soddisfacente.
Ancora, si può beninteso immaginare che nuove forme di energie saranno scoperte in futuro. In astratto è sempre possibile - ma attualmente fare una tale scommessa è solo un atto di fede. La verità è che, allo stato attuale delle cose, né le energie rinnovabili, né il nucleare classico, né le altre energie di sostituzione conosciute dai ricercatori possono sostituirsi al petrolio con la stessa efficacia e i costi contenuti. Ora, come le riserve di petrolio non sono inesauribili, è la prova che il problema deve essere posto diversamente, all'occorrenza interrogandosi seriamente sulle condizioni di una «decrescita sostenibile».
Gruppo Opìfice. Una teoria comune è quelle secondo cui solo la tecnologia sia in grado di rimediare ai danni della tecnologia. In altri termini, il meccanismo industriale ha ormai compromesso irrimediabilmente l’ecosistema, il suolo e le specie viventi, e pertanto anche un “ritorno alla terra”, a forme di autoproduzione/autoconsumo, di sobrietà e di riduzione dei consumi non potrà rimediare ai danni della modernità, o quantomeno in misura minore di quanto consentirebbe una ricerca tecnologica sempre più avanzata sugli stessi settori. Qual è la sua opinione riguardo a questo pensiero?
Alain de Benoist. La teoria secondo la quale i difetti della tecnica saranno corretti dal nuovo progresso della stessa tecnica è una delle numerose versioni dell'ottimismo tecnologico. Beninteso, questa tesi può essere puntualmente vera (un errore può sempre essere corretto), ma ad un livello globale essa corrisponde soprattutto ad un'ammissione d'impotenza. Il tratto dominante della tecnica è la sua capacità di svilupparsi da se stessa in funzione della sua sola fattibilità: ciò che è tecnicamente possibile sarà effettivamente realizzato. Nell'istante in cui lo sviluppo tecnologico è posto sotto l'orizzonte della fatalità, l'uomo si condanna allo stesso modo a subirne gli effetti, quali che siano. In ultima analisi, questa credenza nella capacità della tecnica di correggersi essa stessa non è che un atto di fede.