Zygmunt Bauman e l'incognita del futuro
di Luca Aterini - 06/09/2011
«Romolo regnò su Roma per 38 anni, la vita media di un individuo di quei tempi. Chi era nato sotto il primo re di Roma non aveva dunque avuto modo di sperimentare altre fonti di autorità diverse dalla sua quando, alla sua morte, si dovette aspettare un anno perché la successione si concretizzasse; improvvisamente, il punto fermo del passato era sparito, ed ancora non era definito il nuovo ordine. Un po' quello che ci sta succedendo adesso».
In un'afosa e stipata sala stampa, nell'occasione del Festival della Mente di Sarzana, così il celebre sociologo e filosofo polacco Zygmunt Bauman introduce la metafora dell'interregno, un concetto, che sembra ben descrivere lo spazio in cui si muove la nostra civiltà, utilizzato per la prima volta da Tito Livio ma ripreso anche da Gramsci, e costruito da una varietà di concause.
Come sottolinea Bauman, tra queste possono ben annoverarsi i radicali cambiamenti sociali introdotti dal galoppare della globalizzazione. Il cittadino viene disegnato e percepito come un consumatore anche dal proprio Stato, che si arroga il compito di soddisfarlo nell'erogazione di determinati servizi, senza che gli concesso però l'onere e l'onore di creare qualcosa, ma solo di "consumare". «Attualmente, tuttavia, il cittadino ha perso fiducia nello Stato - nota Bauman - non potendo questo più fare granché per soddisfare le richieste che gli provengono: mentre 60 anni fa il potere era nelle mani della politica, e la politica poteva dettare le regole, ora tra potere e politica c'è un netto smarcamento. La politica è rimasta ferma, mentre il potere è volato nel cyberspazio, o comunque al di fuori di ogni spazio nazionale».
Tale contesto sociale è ulteriormente destabilizzato da quella sovrabbondanza informativa da cui siamo sommersi: «Quando ero giovane il principale problema sembrava quello di non avere abbastanza informazioni, mentre ora c'è stato un ribaltamento, e quest'esponenziale eccesso informativo crea una densa cortina che l'occhio non riesce a penetrare. Non è un caso se le parole "cortina, sipario" ricorrono frequentemente nella letteratura moderna, rappresentando un telo - non incolore, ma che brulica di immagini - che ti impedisce di sapere cosa si muove sullo schermo. In definitiva siamo ignoranti, non sappiamo cosa sta succedendo e men che meno cosa accadrà».
«A quest'ignoranza - continua Bauman - si mischia una sensazione d'impotenza. La nostra società è piena di "muri di bambagia". Se vuoi abbattere quel muro, cambiare le cose, il colpo che sferri verso il muro viene assorbito, come da della bambagia, e ti senti impotente. Il binomio tra ignoranza e impotenza crea una sensazione d'inadeguatezza, quell'insicurezza che caratterizza la modernità liquida».
Mentre il secolo scorso è stato dominato dalle ideologie, in quello presente sembra sopravviverne forse solo una: quella del mercato. Per uscire definitivamente dal pantano è lecito aspettarsi che decolli una nuova rivoluzione culturale, magari basata sull'etica della reciprocità, con un ampliamento e un consolidamento del raggio del rapporto empatico che ogni essere umano è capace di sperimentare.
Ma anche una mente brillante e dalla grande esperienza come quella del prof. Bauman non può che provare a scattare una fotografia della nostra civiltà, senza spingersi però in azzardate previsioni sul futuro. E questa è solo un'altra conferma della mancanza di sicurezze della modernità liquida, nella quale galleggiamo tutti. «Questa situazione mutevole, magmatica - chiosa Bauman - è densa di possibilità ma, se internet (e le accresciute possibilità di comunicazione che porta con se) può essere il mezzo per i cittadini per rifiutare quello che c'è già, come nel caso della primavera araba, ancora nessuno riesce a definire un'alternativa politica che possa durare nel tempo, offrendo solo esperimenti».