Paradossi e antinomie del deficit democratico
di Lorenzo Borrè - 17/11/2011
A volte l'epistemologia, al pari della dialettica democratica, si imbatte nel cul de sac del paradosso.
Questo quando si è in buona fede.
Quando invece, a scapito del sentimento e del senso comune, si intende far prevalere la propria posizione, allora si fa ricorso all'antinomia.
Il paradosso, è noto, consiste in un ragionamento che partendo da assunti generalmente riconosciuti come validi, giunge a una conclusione logica e non contraddittoria che contrasta con il nostro modo abituale di vedere le cose, e a volte con la realtà vera e propria.
A cavallo del XIX ° e del XX° secolo la scienza matematica e la filosofia hanno elaborato diverse figure di paradosso (il paradosso di Burati Forti, quello di Russel, il paradosso di Zermelo Koeni, il paradoso del barbiere etc.) mentre, qualche decennio fa, un buontempone ha escogitato il paradosso del gatto con la schiena imburrata, paradosso che nasce dalla crisi della compresenza di due posizioni legate a luoghi comuni generalmente accettati: quello secondo cui “un gatto cade sempre sulle zampe” e quello secondo il quale “se ti cade dalle mani una fetta di pane imburrata, la fetta di pane toccherà il suolo dalla parte del burro”.
Secondo lo scherzo concettuale, dunque, legata una fetta di pane imburrato sulla schiena di un gatto e lanciato il gatto per aria, per il principio di non contraddizione il felino dovrebbe rimanere sospeso a mezz'aria roteando all'infinito su se stesso.
L'antinomia consiste invece in una vera e propria contraddizione logica causata dalla contestuale affermazione di due principi che si contraddicono: “ti metto in galera affinchè tu sia libero”; “ti impedisco di parlare e di esercitare i diritti costituzionali perchè sono democratico”; “invado il tuo paese per liberarlo”, “tutti sono uguali davanti alla legge, ma tu sei meno uguale di me”, etc. etc.
Utilizzando i due concetti, possiamo dire che per paradosso, l'antinomia sta diventando lo strumento dialettico con cui sedicenti democratici giustificano l'adozione di politiche discriminatorie nei confronti dei propri (malcapitati) avversari, giungendo a negargli il libero esercizio dei diritti su cui si fonda la Democrazia (almeno nella sua accezione liberale).
Capita così che a Napoli in nome dell'antifascismo si neghi il diritto di manifestare ad un gruppo politico nazionale che è fascista solo per assunto degli antifascisti (perchè se lo fosse veramente sarebbe stato sciolto d'autorità del Ministro dell'Interno, come è accaduto in passato per altri movimenti extraparlamentari).
L'antifascismo attuale partendo dall'assunto che il fascismo è la negazione della democrazia, nega così i diritti democratici ai (pretesi) fascisti.
Paradosso o antinomia? Comunque sia, non vorrei essere nei panni del gatto di questa democrazia di burro.