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La baionetta di Mario Draghi

di Giuseppe Masala - 23/12/2011

Fonte: statopotenza

   

Strepitoso successo dell’operazione di pronti contro termine implementata dalla BCE di Mario Draghi, così almeno l’hanno definita gli imbonitori dei mass media tradizionali.

Tecnicamente questa operazione, posta in essere dalla BCE e denominata LTRO (Long Term Rifinancing Operation), consiste nel concedere liquidità (danaro contante) al sistema delle banche commerciali europee in cambio di titoli in garanzia (collateral) e ad un tasso dell’1%. Prestito che andrà rimborsato alla banca centrale, comodamente, in tre anni. Forse la novità più importante in questa operazione, oltre alla durata del prestito (3 anni) e all’importo colossale (489 miliardi di euro), è l’accettazione, come collaterale a garanzia, di titoli di bassa o bassissima qualità che mai, fino ad ora la Banca Centrale Europea aveva accettato, considerandoli cartacce di infimo valore reale. Non si può negare che sulla carta, il piano congegnato da Mario Draghi sia di una raffinatezza tecnica che dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, la sua superba competenza sul funzionamento dei mercati finanziari. Si deve anche ammettere come questa operazione potrebbe avere positivi cascami su alcune variabili importantissime nell’economia reale.

Con il suo ingegnoso piano, il Governatore Draghi sembra quasi, visto l’infimo tasso d’interesse richiesto, suggerire alle banche commerciali di acquistare, con i soldi prestati, titoli di debito sovrano degli stati. Tale acquisto allenterebbe il boom degli interessi richiesti dal mercato su questa classe di investimento e allo stesso tempo permetterebbe, a rischio quasi zero, alle banche di lucrare sul differenziale tra i tassi dei titoli del debito sovrano eventualmente acquistato e quelli all’1% richiesti per partecipare alla LTRO.

Non c’è che dire, una soluzione ingegnosa che “nutre” a rischio zero l’anemico (un garbato eufemismo questo) sistema bancario europeo e allo stesso tempo consente l’allentamento della pressione sugli interessi dei titoli sovrani dei paesi in difficoltà dell’area euro, con relativo beneficio sul pagamento del servizio del debito. Un piano che avrebbe avuto forti probabilità di funzionare. Un anno fa. Innanzitutto, bisogna ricordare che quest’anno è deflagrata la crisi del debito greco. I vari piani proposti nel corso dell’anno non hanno portato ad una stabilizzazione della situazione (parliamo naturalmente dell’aspetto meramente finanziario, il lato sociale di questa crisi non lo teniamo in considerazione), vuoi perché le banche europee, a causa degli haircut ciclicamente proposti, rischiavano una significativa erosione del loro capitale netto, vuoi perché i tedeschi non hanno mai abbandonato il dogma della disciplina ferrea dei bilanci pubblici, vuoi perché i paesi “forti” volevano colpirne uno per educarne cento imponendo misure draconiane con l’intento di evitare eventuali comportamenti cosiddetti di “azzardo morale” da parte dei paesi deboli. Fatto sta che ancora oggi, l’investitore (qualora fosse così folle) da investire 1000 euro nei bond governativi greci ad un anno otterrebbe, alla scadenza, ben 4560 euro grazie ad un tasso del 356%. Naturalmente, lo dico nell’interesse dell’eventuale lettore ingenuo, è evidente che queste cifre non verranno mai pagate: semplicemente il mercato prezza una qualche forma di default con annesso haircut dei titoli del debito greco. Tale probabile haircut provocherà forti perdite alle banche europee.

Ovvio che in una situazione così problematica, i banchieri europei hanno paura di bruciarsi le mani. Per esempio Federico Ghizzoni, top manager di Unicredit, già infatti mette le mani avanti e dichiara che “non sarebbe logico” usare i soldi ottenuti dalla BCE per acquistare ulteriori quote di debito governativo. Quindi, con buona pace della BCE, probabilmente le tensioni sui tassi di interesse dei debiti sovrani europei non sono destinate a rallentare.
Ma altri cigni neri, per usare una felice espressione di Nassim Taleb, potrebbero perturbare quello che è l’altro possibile grande obiettivo del piano di Draghi: dare nutrimento alle dissanguate casse delle banche commerciali, consentendo di lucrare sulla differenza tra i tassi di interesse all’1% sui prestiti concessi e i vari assets che con quei soldi verranno acquistati.
Infatti nel frattempo l’Italia, terza economia dell’area euro, sta entrando in una recessione che potrebbe trasformarsi in una depressione. E’ di questi giorni l’annuncio ufficiale dell’Istat che già nel terzo trimestre il Pil italiano è entrato in “crescita negativa” (-0,2% rispetto al trimestre precedente).

Ancora più terrificante se si vuole, il dato (sempre Istat) dell’indice grezzo sulle vendite diffuso oggi: -1,5% rispetto ad ottobre 2010. Tutto questo probabilmente è solo l’antipasto di quello che accadrà grazie alla manovra Monti che ha effetti sicuramente recessivi. Inutile dire che la recessione alle porte aumenterà le sofferenze delle banche vanificando in parte l’obbiettivo della BCE di mettere in sicurezza (dare nutrimento…) il sistema bancario, almeno in Italia.

Siccome, a quanto pare, viviamo un epoca storica dove i cigni neri non vengono da soli ma in stormi, segnalo che altri problemi potrebbero venire dall’Est Europa e precisamente dall’Ungheria. Infatti il FMI e la UE hanno deciso di non proseguire i colloqui per la concessione di un altro prestito “di salvataggio”. La situazione ungherese è sotto certi aspetti drammatica, infatti circa il 50% dei mutui immobiliari concessi sono denominati in franchi svizzeri. L’attuale svalutazione del fiorino ungherese rispetto alla moneta della confederazione elvetica ha messo in seria difficoltà prima i mutuatari (che guadagnano in fiorini ungheresi svalutati e pagano i mutui in franchi svizzeri) e poi, di conseguenza, le banche che avevano concesso i mutui. Il rischio crollo dell’economia magiara andrebbe a colpire il sistema bancario italiano e austriaco enormemente esposto in questa nazione.

I guai per Mario Draghi sembrano dunque non essere finiti, ed anzi la sua manovra monetaria rischia di essere vanificata da tutta una serie di fattori incontrollabili.

In definitiva, visto che l’operazione di LTRO della BCE, aumenta la leva finanziaria delle banche commerciali europee si potrebbe dire che il suo eventuale fallimento provocherebbe un effetto moltiplicatore del collasso, trasformando la deflagrazione convenzionale del sistema in una deflagrazione termonucleare. Paradossalmente proprio quello che l’economista Ludwig Von Mises, demiurgo dell’attuale dottrina economica dominante, aveva ipotizzato in questo genere di situazioni: “Non c’è modo di evitare il collasso finale di un boom indotto da un’espansione creditizia. La scelta è solo se la crisi debba avvenire prima come risultato dell’abbandono volontario di un’ulteriore espansione del debito o più tardi con la totale catastrofe del sistema monetario coinvolto”.

E’ per questo che il piano di Mario Draghi a me sembra la baionetta del fante italiano prima di Caporetto.