Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Afghanistan. Gli afgani sono stanchi degli stranieri

Afghanistan. Gli afgani sono stanchi degli stranieri

di Ferdinando Calda - 08/02/2012

http://www.rinascita.eu/mktumb640a.php?image=1328632665.jpg “Nel 2004 i talibani erano circa 400. Nel 2009, 25.000. Oggi possono contare su 30.000 combattenti. La comunità internazionale dovrebbe cominciare a chiedersi perché i ribelli aumentano invece di diminuire”. Le parole di M. Akram Azimi, docente all’Università Ghargistan, a Farah (Afghanistan occidentale), riassumono bene il senso di insicurezza e sfiducia che aleggia tra gli afgani nei confronti delle truppe straniere che da dieci anni occupano il Paese. La testimonianza è contenuta nella ricerca promossa dall’ong Intersos e realizzata dal giornalista Giuliano Battiston, già autore di ricerche e reportage dall’Afghanistan, dal titolo Le truppe straniere agli occhi degli afghani: opinioni, percezioni e rumors a Herat, Farah e Badghis. La scorsa estate Battiston ha intervistato una settantina di persone – tra governatori, autorità tradizionali (Shura), commercianti, insegnanti, giornalisti, religiosi, imprenditori, funzionari governativi, magistrati e gente comune – nelle zone dell’Afghanistan occidentale dove da diversi anni operano anche i 4mila militari italiani di stanza nel Paese.
Quello che emerge è un generale fallimento della missione internazionale, che, agli occhi della popolazione, non è riuscita a garantire né sicurezza né sviluppo, e la presenza della quale viene sempre meno tollerata. In particolare alle truppe straniere, pur con accenti diversi, vengono rimproverate le azioni contro i civili (come l’uso indiscriminato dei bombardamenti aerei e dei raid notturni, la violazione degli spazi domestici) compiute al di fuori della legge. “In caso siano vittime di un incidente, gli afgani non hanno alcuno strumento legale per chiedere giustizia”, denuncia Abdul Qader Rahimi, della Afghanistan Independent Human Rigths Commission di Herat.
Ma spesso è la presenza stessa degli stranieri che per gli afgani rappresenta una minaccia. La decisione degli italiani di stabilire il PRT (Provincial Reconstruction Teams) all’interno della città di Herat – una scelta che apparentemente avrebbe dovuto “avvicinare” la popolazione ai militari – è stata condannata in maniera unanime dagli intervistati, che considerano pericolosa la presenza di un obiettivo degli insorti all’interno della zona residenziale. “Alla gente non piace affatto che il PRT sia lì, si sente minacciata – ha spiegato Adela Kabiri, giornalista e docente universitaria –  per questo è stato chiesto agli italiani, tramite il governatore di Herat, di cambiare sede. Finora, nessuna risposta”.
A questo si aggiunge che gli afgani non sembrano aver capito come i Provincial Reconstruction Teams – che dovrebbero integrare attività militari e civili – possano aiutarli. “Quando chiediamo più sicurezza, i militari ci dicono di essere qui per la ricostruzione. Quando chiediamo la ricostruzione, ci dicono di essere qui per la sicurezza. Alla fine, non garantiscono nessuna delle due…”, dice Farid Ehsas, esponente società civile a Farah. Su questo giudizio pesa anche il fatto che dei 290 miliardi di dollari investiti in Afghanistan dal 2001 al 2009, l’85% è stato destinato alle operazioni militari e solo poco più del 10% all’economia e allo sviluppo. L’Italia, decimo donatore, ha fatto un po’ meglio della media (dei 4 miliardi investiti il 13% è andato alla cooperazione economica), però almeno ha la fama di mantenere le promesse ed erogare effettivamente i fondi promessi.
 
Afgani divisi tra diffidenza verso gli stranieri e paura nel futuro
È tanta la sfiducia e l’insofferenza nei confronti delle truppe straniere, che molti afgani sono arrivati a dubitare della volontà della Nato di sconfiggere gli insorti. “Perché oggi i talibani sono forti? Si dice che qualche Paese straniero fornisca loro assistenza, armi, equipaggiamenti vari, aiuti militari e logistici… La ragione è che ci sono obiettivi di natura strategica e per raggiungerli occorre una presenza di lungo termine in Afghanistan”, ha dichiarato Faisal Kharimi, giornalista e docente universitario di Herat.
Ma se la diffidenza nei confronti degli stranieri è molta, lo è anche la paura in un futuro che appare sempre più incerto e sul quale aleggia lo spettro della guerra civile che ha insanguinato il Paese negli anni successivi al ritiro sovietico. “La grande preoccupazione – ha spiegato Abdul Khaliq Stanikzai, Sanayee Development Organization, Herat – è che, con il ritiro delle truppe internazionali, l’Afghanistan venga di nuovo dimenticato. Molta gente lo pensa, ricordando la tragica situazione che si è creta negli anni Novanta … C’è il rischio che l’esercito nazionale non combatta contro i talibani, ma si divida in fazioni, che si combattono a vicenda”.