L'Italia che scompare: è il consumo di suolo il nemico numero 1 dell'ambiente
di Giovanna Maria Fagnani - 14/02/2012
L’inquinamento, la caccia, gli incendi dolosi sono i mali minori contro i quali la natura in Italia si trova a dover fare i conti. Il peggiore? È il consumo di suolo: la copertura di terreni vergini o agricoli con asfalto e cemento per costruire case, industrie, strade o grandi arterie autostradali. In Emilia Romagna tra il 1954 e il 2008 sono spariti 9 ettari di suolo al giorno. In Sardegna l’incremento di terreno urbanizzato è cresciuto del 1.154% rispetto agli anni Cinquanta. E le città continuano a ampliarsi nonostante migliaia di residenti scelgano ogni anno di andare a vivere altrove: per ogni abitante «perso» la città cresce invece di 800 metri quadrati. Se il processo non verrà governato, nei prossimi vent’anni si perderanno 75 ettari al giorno.
L'ITALIA CHE SCOMPARE – A lanciare l’allarme su questo fenomeno sono i risultati del dossier Terra rubata–Viaggio nell’Italia che scompare: un progetto di ricerca svolto dall’Università degli studi dell’Aquila e promosso dal Fondo ambiente italiano (Fai) e dal Wwf e presentato martedì mattina, a Milano. «Il territorio è sottoposto a una minaccia spaventosa di cui pochi si rendono conto», ha detto il presidente onorario del Wwf Fulco Pratesi, mentre Giulia Maria Mozzoni Crespi, presidente onorario del Fai, ha sottolineato la necessità di «affrontare il domani e non solo l’emergenza, perché poi si paga se nell’emergenza si è agito nella maniera sbagliata. Mi auguro che il governo Monti, che pure ha dovuto affrontare emergenze che risalgono all’epoca dei nostri padri fondatori, consideri anche il domani che seguirà alle sue scelte».
CEMENTIFICAZIONE - Una «dissennata cementificazione» ha già fatto diminuire il turismo in Italia: «Tutto il territorio italiano è un'opera d'arte creata dall'uomo con l’agricoltura, che, se fatta bene, è un’opera d’arte», ha detto Crespi, ricordando un’ulteriore minaccia che riguarda proprio gli imprenditori agricoli: l’Imu sui terreni, che secondo una stima di Confagricoltura costringerebbe circa 600 mila aziende a cessare le attività, oppure a utilizzare i campi per installare pale eoliche, impianti a biomasse, pannelli fotovoltaici. La ricerca, prima nel suo genere, ha riguardato undici regioni che coprono il 44 per cento della superficie italiana: Umbria, Molise, Puglia, Abruzzo, Sardegna, Valle d’Aosta, Lazio, Liguria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia. Intorno al secondo dopoguerra, queste regioni avevano tassi molto contenuti di densità di urbanizzazione: dall’1 al 4 per cento. Oggi alcune arrivano al 10%. «In Italia non si può tracciare un cerchio del diametro di 10 km senza intercettare un nucleo urbano», ha detto Costanza Pratesi, responsabile ufficio Ambiente e paesaggio del Fai. Si tratta di una crescita a macchia di leopardo e senza pianificazione, che non è più legata a un contesto storico particolare, come lo era nel dopoguerra, ma che procede costantemente senza essere guidata: alcune leggi vigenti risalgono al 1942.
MANCANZA DI PIANIFICAZIONE - Il risultato? «Mentre negli insediamenti storici c'è vicinanza tra abitazioni e servizi urbani, in quelli urbani moderni la lontananza genera necessità di infrastrutture e ulteriore consumo di territorio», spiega la Pratesi. Un esempio, a questo proposito, è la Legge Obiettivo del 2001, che in dieci anni ha fatto salire il numero delle opere previste da 115 a 390 (nel 45 per cento dei casi si tratta di strade), anche se, a oggi, solo l’1 per cento delle infrastrutture previste è stato ultimato. Alla mancanza di una pianificazione si aggiunge la deriva illegale della cementificazione, con l’abusivismo, lo smaltimento dei rifiuti nelle cave e i condoni. «In occasione delle tre normative del 1985, 1994 e 2003 sono stati richiesti 4 milioni 5oo mila condoni», spiega Gaetano Benedetto, direttore politiche ambientali del Wwf. «Sappiamo però che molte di queste pratiche, soprattutto al Sud, sono ancora giacenti. Due terzi si concentrano in cinque regioni: Campania, Calabria, Lazio, Puglia e Sicilia».
ROAD MAP ANTICEMENTO - Il settore edilizio è, tuttavia, molto importante per l’occupazione: ci lavorano tra gli 8 e i 10 milioni di persone, che rappresentano tra il 14 e il 17% della popolazione. Come far convivere le necessità di questo settore con la salvaguardia dell’ambiente? Fai e Wwf propongono una road map. Il primo passo sarebbe una «moratoria delle nuove edificazioni su scala comunale e il censimento degli effetti dell’abusivismo edilizio su sala comunale. Inoltre, dare priorità al riuso dei suoli anche utilizzando la leva fiscale per penalizzare l’uso di nuove risorse territoriali e permettere il cambio di destinazione d’uso di un terreno se coerente con le scelte in materia di ambiente, paesaggio, trasporti e viabilità». Indispensabile, poi, «rafforzare la tutela delle nostre coste, estendendo da 300 a mille metri dalla linea di battigia il margine di salvaguardia e difendere i fiumi non solo attraverso il rispetto delle fasce fluviali, ma con interventi di abbattimento e delocalizzazione degli immobili situati nelle aree a rischio idrogeologico». Questo dovrebbe evitare il ripetersi di esondazioni dagli esiti tragici come quella che ha colpito qualche mese fa le Cinqueterre.