Lindia Undemi contro il "fondo ammazza stati". Ma poi?
di Davide Stasi - 23/02/2012
Tutto è iniziato a Linea Notte, la trasmissione condotta da Maurizio Mannoni su RAI 3. Una decina di giorni fa si parlava di crisi economica, ovviamente. In studio i soliti economisti ripiegati su se stessi e sui soliti principi di sistema. Poi appare una giovane, capelli biondi, viso serio. La grafica la presenta come Lidia Undiemi, “Studiosa di diritto ed economia” presso l’Università di Palermo. Ci si attende la solita tiritera convenzionale, e invece la giovane studiosa stupisce.
«La politica di Monti e di Obama è semplicemente fallimentare», esordisce, ed è già un buon inizio. Spiega, poi, apparentemente compendiando anni di analisi del Ribelle, che il fallimento è dovuto alla mera iniziativa del pompaggio di liquidità nei mercati, senza affrontare alla radice il problema principale: la speculazione finanziaria.
Stanti così le cose tutto si riduce nel buttare valanghe di denaro pubblico dentro «un secchio bucato», come la Undiemi definisce sostanzialmente la pancia insaziabile delle banche. Sarà inevitabile, con un’emorragia tale di risorse, che gli stati intraprendano iniziative di austerità. Ed è infatti in quel secchio bucato che finiranno, tramite il Fondo Salva-Stati, i 125 miliardi di euro che Monti sta spremendo dagli italiani.
Prosegue la Undiemi, stranamente senza essere interrotta: «il Fondo Salva-Stati non sarà gestito dalle istituzioni comunitarie ma da un’organizzazione finanziaria intergovernativa. E i soggetti che gestiranno questo fondo godranno di totale immunità». Una cosa di cui sia Bruxelles che i singoli governi, Monti in testa, e anche i partiti, dovrebbero rendere conto ai cittadini, e di cui invece non si parla minimamente. Probabilmente, dice l’economista, le istituzioni comunitarie hanno paura dei propri creditori internazionali. Ma soprattutto si sta profilando quella che la Undiemi non ha paura di definire una «dittatura economica».
Non c’è alcuna istituzione pubblica, comunitaria o meno, dietro al Fondo. C’è un soggetto di cui non è chiara la natura, se non che sarà irresponsabile rispetto alle situazioni debitorie nazionali e alla necessità di risanamento in tutta l’area europea, avendo invece come unici referenti il pozzo senza fondo dei creditori internazionali. Niente più sovranità, insomma. La giovane studiosa stupisce due volte: sia perché dice le cose come stanno, sia perché le viene consentito di dirle in TV, sebbene a un orario non certo da prime-time.
Sui diritti del lavoro, non si fa stringere all’angolo, e persevera nell’approccio sistemico: si tratta di temi irrilevanti nel momento in cui la finanziarizzazione dell’economia ha preso il sopravvento sull’economia di produzione. Uno dei motivi per cui la flessibilizzazione del lavoro, già estrema in Italia come altrove, ha sostanzialmente fallito. Le imprese non se ne sono giovate nei termini e nelle proporzioni che speravano, semplicemente perché la produzione non conta più nulla. Contano ormai solo i numeri sui monitor dei vari broker. Toccare i diritti dei lavoratori, in questo contesto, non migliora le prestazioni aziendali, peggiora solo la condizione delle persone.
E fin qui, almeno sulla teoria, tutto bene. Parlando della Grecia, poi, la Undiemi non sembra conseguente con le elaborazioni critiche esposte fino a quel momento. E iniziano i dolori: per uscire dalla crisi, dice, servono «piani di sviluppo industriale», per il rilancio della produzione e dell’impresa, imbrigliando contestualmente la finanza speculativa. Diagnosi perfetta, ma cura sbagliata. Da economista, la Undiemi non riesce a uscire dallo schema classico, e di fatto auspica la prosecuzione delle logiche improntate alla crescita fine a se stessa. Al momento propizio, insomma, non getta il cuore oltre l’ostacolo, ignora la palese insostenibilità di un modello che ha le fondamenta nella produzione e consumo illimitato di beni. Le abbiamo chiesto un’intervista, proprio per chiarire questa contraddizione, ma al momento non abbiamo avuto risposta.
Tuttavia, va detto, il suo intervento è già qualcosa. Certe analisi sistemiche così critiche non si erano mai sentite in televisione, non avevano mai raggiunto un’ampia platea. Inevitabilmente la cosa si è riflessa sul web. La Rete traboca di suoi interventi video e il suo profilo Facebook è stato preso d’assalto da estimatori, persone smaniose di fare qualcosa, e dalla ampia e variegata fauna internettiana di cospirazionisti o soggetti con la monomania del signoraggio. In ogni caso un esercito cospicuo, che di condivisione in condivisione ha dato la carica all’economista.
Grazie al passaparola e alla notorietà acquisita, la Undiemi sta facendo circolare infatti, con grande successo, una mozione che ha elaborato per chiedere al Parlamento italiano, a Monti e a Napolitano, di opporsi alla ratifica del Piano Salva-Stati, magari discutendone prima con la società civile del paese. Una vera chiamata alle armi di tutti, perché si associno alla mozione e la portino all’attenzione delle istituzioni. La mozione è stata preparata anche in inglese, per condividerla con le opinioni pubbliche degli altri paesi europei. Pur se pacata e misurata nei toni, il documento della Undieni è una dichiarazione di guerra alla servitù delle istituzioni nei confronti della finanza. Come tale, considerata in sé, la mozione è condivisibile.
Il problema, come in molte altre iniziative di “resistenza” civica, è che, al momento, non c’è spirito programmatico. Nella mozione si dice chiaramente cosa si vuole per il presente (discutere pubblicamente se associarsi o no al Fondo Salva-Stati) e anche cosa non si vuole (istituzioni asservite alla finanza). Non è esplicitato cosa si auspichi per il futuro. Stando all’exploit della Undiemi a “Linea Notte”, si direbbe che ci si augura un ritorno a quando le aziende producevano a nastro, in tanti lavoravano, o meglio: vivevano lavorando e consumando, come se le risorse fossero infinite. Un punto dirimente, che vorremmo che la Undiemi, o chi per lei, magari all’interno dell’IDV, partito di cui fa parte, chiarisse, prima di sposare e caldeggiare la diffusione della sua mozione. Che rimane comunque un sorprendente macigno gettato in uno stagno intollerabilmente immobile.