Viaggio in Andalusia
di Serena Raggi - 04/04/2012
L'Andalusia è soprattutto un Cielo, infinito, mutevole, grandissimo.
I colori dei luoghi sono forti, netti, instancabili e si può ritrovare il significato vero delle parole Rosso, Giallo e Azzurro.
Tutto è netto e deciso, così come la popolazione gitana che si incontra ad ogni angolo di Siviglia, Cordoba e Granada, le città che ho avuto la fortuna di visitare.
Siviglia per me è stata la più sorprendente. Tra i monumenti bellissimi e nelle vie palpitanti di vita si respira la forte consapevolezza della cultura Andalusa, una fierezza - tipica degli spagnoli, per un'Arte sconvolgente, che si vive con lo stomaco, che suscita sensazioni forti e trasmette la gioia, l'Amore, la morte e la sofferenza dell'animo andaluso: il flamenco.
Occorre scoprire el duende [1], la forza che passa dall'artista al pubblico e dal pubblico all'artista. Si può essere un tutt'uno con el tocar di chitarra flamenca dei musicisti, si può far battere il proprio cuore al ritmo dei battiti delle mani, si può ascoltare la storia di un Amore perduto perdendosi nei passi di danza delle flamenquitas...
Il popolo gitano ha dato un enorme contributo all’evoluzione di questa danza, musica e canto (il Flamenco le comprende tutte tre), era (ed è ancora) un'arte liberatoria, in cui ogni sensazione o problema della propria vita viene tirato fuori con forza; è un lungo lamento, certe volte straziante per le orecchie non abituate, oppure è una serenata per l'amata, un grido di guerra. Ecco, andando in Andalusia, era proprio questo che volevo avere e l'ho trovato.
Seguendo i consigli di una guida, ho portato la mia truppa in un locale assai conosciuto, nel centro della città, la Carbonería. Una ex carboneria, appunto, adibita a locale notturno.
Se si arriva verso le 22 (orario in cui gli spagnoli cenano), si assiste ad un pietoso spettacolo di finto flamenco (roba per turisti, pessimo), ma se non si perdono le speranze e si resta lì ancora un po’...ancora un po’...ecco che avviene il miracolo!
Via le orde di italiani, tedeschi e giapponesi, ed ecco una nuova atmosfera...creata dai sivigliani.
Il locale diventa luogo di improvvisazioni del flamenco; è stata la prima notte a Siviglia che ho avuto l'onore di conoscere Carlos Heredia, un gitano andaluso maestro di chitarra flamenca che ti osserva e sorride mentre suona e la Musica che ne viene fuori è indescrivibile a parole. E proprio a lui ho chiesto per la prima volta qual era la situazione dei gitani in Spagna, o quantomeno in quella regione. Carlos mi ha detto che di discriminazione non ce n'è molta e mi ha guardato stupito quando gli ho raccontato che in Italia i gitani vengono frequentemente cacciati dai loro insediamenti.
Le informazioni però sono stati discordanti: vicino alla Cattedrale di Siviglia una donnona gitana, dopo avermi predetto la buena suerte (e spillato ben 7 euro perchè sono molto superstiziosa....attenti!), mi ha raccontato che per loro non c'è lavoro, così molti chiedono l'elemosina (e sono mendicanti che, se improvvisassero un passo di flamenco, potrebbero essere ballerini cento volte migliori di quelli che si vedono nei locali). Oppure, addirittura, in un bar vicino a Plaza AlfaAlfa, una signora, un po’ ubriaca, mi ha negato l'esistenza dei gitani in Spagna....
Per approfondire l'argomento, una volta arrivata a Granada, sono stata al Centro Sociocultural Gitano Andaluso (nella ricorrenza del 20° anniversario d'apertura) per poter chiedere a chiunque volesse darmi informazioni...e così, insistendo, cercando, sono stata ricevuta dalla Presidentessa del Centro. Un onore, peccato che in realtà ci fossi solo io ad essere interessata.... Una bella donna dalla carnagione scura e i capelli color pannocchia, e tanti anelli bene in mostra che si è illuminata quando le ho detto cosa cercavo e mi ha travolta da un fiume di parole andaluse, spiegandomi che in realtà la situazione, paragonandola a quella dell'Italia, non è troppo diversa: la discriminazione esiste, il bambino fatica ad andare a scuola e a trovare lavoro, sebbene ci sia un grande rispetto per l'Arte gitana.
Mi ha dato un paio di opuscoli preziosi che il Centro distribuisce nelle scuole elementari e medie della città: si tratta di un fumetto (oltretutto disegnato benissimo) che racconta tutta la Storia del Popolo Gitano. In breve, i punti fondamentali sono:
Si parte dalle migrazioni dell' VIII e IX secolo dal Punjab (India del Nord) fino all'arrivo in Europa. Qui convivevano più o meno pacificamente diverse culture e religioni e il popolo gitano venne bene accolto. Ma perchè cambiarono le cose poi?
Nel fumetto una grande Croce disegnata è del tutto esplicativa: dal 1492 i Re Cattolici, per unificare i territori conquistati, cercarono di unificarli anche con la Religione e la Lingua, il Cristianesimo e il Castigliano. Così, come agli ebrei e ai musulmani, anche al popolo gitano venne proibito di parlare la propria lingua (il Calò, Kalé), di praticare riti e indossare gli abiti della propria cultura; venne impedita la pratica del nomadismo, cercando insomma di negare, camuffandola, quella specifica identità.
L'impegno del gitano di conservare la propria Romanipé (identità) veniva punito con torture, soprusi, galera ed espulsione dal Paese.
E fu così fino al 1783. Durante il regno di Carlos III si dettarono per la prima volta leggi contro la discriminazione delle persone, anche se ai gitani si continuò a proibire di parlare la propria lingua ed indossare i propri costumi.
Con l’avvento della dittatura franchista, nel XX secolo, si ripresentò una situazione fortemente negativa per il popolo gitano: gli fu proibito parlare il Calò o Romanés che venne etichettata come la lingua dei delinquenti; si vietarono nuovamente il nomadismo e la vita errante, considerati reati, e si raccomandò alla Guardia Civil un controllo particolare sulla comunità gitana, a cui venne applicata la legge di “Peligrosidad Social”.
Più recenti e vergognosi e dolorosi gli anni del nazismo, in cui furono sterminati nei campi di concentramento (assieme a Ebrei, omosessuali e 'impuri') oltre 500 mila gitani.
Con l’avvento della democrazia spagnola tutto è cambiato. L'Articolo 14 della Costituzione Spagnola dice:
''Los españoles son iguales ante la ley, sin que pueda prevalecer discriminación alguna por razón de nacimiento, raza, sexo, religión, opinión o cualquier otra condición o circunstancia personal o social''. E vero, ripeto: “Siamo tutti uguali davanti alla legge, senza discriminazione di razza, sesso, religione, o qualsiasi altra ragione.
Nello Statuto Autonomo dell'Andalusia, l'articolo 9 garantisce il rispetto verso le minoranze etniche, tenendo come obiettivi di base la piena integrazione di queste ultime e in particolare quella gitana.
Dopo tutte queste persecuzioni ci si chiede che cosa sia rimasto della Cultura di un popolo tanto travagliato. I valori sono trasmessi di padre in figlio, di madre in figlia. La famiglia è il punto centrale nella vita del gitano, una colonna portante, un costante punto di riferimento. La donna è fondamentale per la trasmissione ai figli dei valori e dei costumi. Gli anziani sono altamente rispettati, in quanto detentori di 'Storia'. Da loro si accetta ogni consiglio per superare le difficoltà della vita.
Si venera la Libertà, si vive nel Presente e non si da tanta importanza alle cose materiali.
Sono fondamentali la solidarietà, l'ospitalità e l'aiuto verso chi lo necessita, all'interno del nucleo familiare o nella comunità.
Purtroppo la lingua è quella che si è persa di più, a causa delle persecuzioni prima descritte. I gitani spagnoli oramai non parlano più il romanés, sono rimaste in uso corrente soltanto alcune parole, che anche gli spagnoli gagè (i non gitani) conoscono ed usano con frequenza.
La Musica, il Canto e il Baile Flamenco rimangono il punto più forte e consolidato e amato della cultura gitana.
A tal proposito, se vi capiterà di andare a Granada, il flamenco è possibile gustarlo nel quartiere gitano di Sacromonte. Di gitani ne ho visti ben pochi; la maggior parte vivevano nelle cuevas - case costruite scavando nella roccia - ma un recente terremoto ne ha fatto franare la maggior parte e le famiglie gitane residenti sono state spostate nel centro della città, per cui al fascino meraviglioso delle case bianche, i fiori enormi, e le fontanelle piastrellate, aspettatevi anche il cattivo gusto di una miriade di turisti che parlottano a voce alta e fotografano, senza prima “osservare”, ogni angolo che gli capita sotto tiro!
In ogni caso, le Cuevas Los Tarantos sembrano le migliori, anche se abbastanza turistiche, ma sapere che ci ha ballato Carmen Amaya [2] a me basta come scusa per tornare a Granada!
E quando vi verranno i brividi escuchando un canto flamenco, ricordate che è grazie al popolo gitano, al popolo Rom, che potete goderne.
Lo stesso popolo che vi legge la mano per le vie di Cordoba, lo stesso popolo che in Italia chiede l'elemosina all'uscita dei supermercati, lo stesso popolo che non riceve rispetto, eppure ha tanta Bellezza da offrire.
Concludendo questo racconto sul mio viaje andaluso, mi piace ricordare ancora una volta la felicità della Presidentessa del centro culturale, nel sentirmi, con il mio accento strambo, chiedere tutte le informazioni possibili sulla situazione del suo popolo. Andando via, dopo una lunga chiacchierata, mi ha salutata dicendomi ''¡Hasta luego, preciosa!''....perchè ogni scambio culturale è una Meraviglia, e ogni parola detta è, vero, molto Preziosa.
¡ Hasta luego!
TEORIA E SIGNIFICATO DEL DUENDE
Estratto da una conferenza di Federico Garcia Lorca
... In tutta I’Andalusia, dalla rocca di Jaen alla chiocciola di Cadice, la gente parla sempre del duende e lo scopre d’istinto. Lo splendido cantante "El Lebrijano", creatore della "Debla", era solito dire: – "Quando canto con duende nessuno può competere con me". La vecchia ballerina gitana "La Malena", esclamo un giorno, udendo Brailowsky interpretare un frammento di Bach: – "Ole! Qui c’e duende!" mentre si annoiava con Gluck, Brahms e Darius Milhaud, Manuel Torre disse questa splendida frase: "Tutti i suoni oscuri hanno duende". E una gran verità. Questi suoni oscuri sono il mistero, le radici che si impiantano nel fango che tutti conosciamo ed ignoriamo allo stesso tempo, da cui nasce pero la sostanza dell’arte... ... Dunque il duende e un dono, non una costruzione; una lotta, non un pensiero. Ho udito dire un vecchio maestro di chitarra: – "II duende non sta in gola, viene dal profondo, comincia a salire dalla pianta dei piedi". Vale a dire che non e questione di abilità, ma di stile vivo, di sangue, di antichissima cultura e di creazione del momento... ... II duende di cui parlo, oscuro e tremolante, discende da quell’allegrissimo demonio di Socrate, fatto di marmo e sale, che lo graffio sdegnato il giorno in cui prese la cicuta e dall’altro demonietto malinconico di Cartesio, della dimensione di un mandorlina verde, che, sazio di circoli e linee, spunto dai canali per udire il canto dei marinai ubriachi. Qualsiasi uomo, qualsiasi artista, ogni gradino che sale alla torre della sua perfezione, è frutto della lotta che ha sostenuto con un duende, non con un angelo, come si e detto, ne con la sua musa... ... L’angelo guida e fa doni come San Raffaele, difende dai pericoli come San Michele e protegge come San Gabriele. L’angelo splende, ma vola sopra la testa dell’uomo, sta in cima, emana la sua grazia, e I’uomo, senza alcun sforzo, realizza la sua opera, il suo fare simpatico o la sua danza... ... La musa detta, e qualche volta, suggerisce. II suo potere è limitato perché e lontana e molto stanca... ... La musa risveglia I’intelligenza, crea paesaggi di pietra e falso sapore di alloro... ... Angelo e musa vengono dal di fuori, I’angelo porta luce e la musa da forma... ... Mentre il duende bisogna scovarlo nel più profondo del proprio sangue: scacciando I’angelo e facendo sgambetto alla musa, scrollando via la paura alla fragranza di violette, che emana la poesia del XVIII secolo, e al gran telescopio nelle cui lenti dorme la musa, malata di limiti. La vera lottaè col duende... Per trovare il duende non servono schemi nè esercizi. Si sa solo che brucia il sangue come un liquido di vetro, che consuma, che scaccia tutta la dolce geometria appresa, che rompe gli schemi, che fa si che Goya, maestro nei grigi e negli argenti e nei rosa della migliore pittura inglese, dipinga a ginocchiate e pugni con orribili neri pece... ... I grandi artisti del sud della Spagna, gitani o "flamencos", che cantino, ballino o suonino, sanno che non vi è emozione senza duende... ... L’arrivo del duende implica sempre un radicale cambiamento di tutte le forme basate su vecchi schemi, da sensazioni di freschezza assolutamente inedita, come una varietà di rosa appena creata, come un miracolo, che suscita un entusiasmo quasi religioso. In tutta la musica araba, nel ballo, nelle canzoni ed elegie, I’arrivo del duende e salutato con energici "Ala, Ala!" "Dios, Dios!" cosi vicini agli "Olè!" dei toreri, che forse son la stessa cosa; in tutti i canti del sud della Spagna la venuta del duende e seguita da sincere grida di "Viva Dios!", profonde, umane, tenere grida di comunicazione con Dio attraverso i cinque sensi, grazie al duende che muove la voce ed il corpo della ballerina... ... Tutte le arti son capaci di duende, ma e più naturale trovarlo nella musica, nella danza e nella poesia declamata, che hanno bisogno di un corpo che interpreti, son forme che nascono e muoiono perpetuamente e muovono i loro contorni su un presente preciso... ... II duende non giunge se non vi e possibilità di morte, se non sa che può girarvi intorno, se non ha la certezza di cullare le sofferenze che tutti portiamo e che non hanno, ne avranno, consolazione. Con le idee, con i suoni o con i gesti, il duende assapora una lotta leale con il creatore. L’angelo e la musa fuggono col violino ed il tempo, il duende ferisce; nella guarigione della sua ferita, che non si rimargina, risiede I’insolito, I’invenzione dell’opera di un uomo. La virtù magica dell’arte consiste nell’essere sempre "enduendada", per poter battezzare con acqua oscura coloro che assistono; perché col duende e più facile amare, capire, aver la certezza di essere amati e compresi. Questa lotta per esprimere e comunicare I’espressione, acquisisce a volte, nella poesia, caratteri mortali... ... In Spagna (come nei paesi orientali, dove la danza e espressione religiosa), il duende ha un potere illimitato sui corpi delle ballerine di Cadice, elogiate da Marziale, e sui petti dei cantanti, elogiati da Giovenale e in tutta la liturgia dei tori, dove si svolge un autentico dramma religioso come nella messa, dove si adora e si sacrifica a un Dio... ... Non ci si diverte nelle danze spagnole o nelle corride, e il duende che si incarica di far soffrire un dramma a forme viventi e prepara una via d’evasione dalla realtà c circostante. II duende agisce sul corpo della ballerina come il vento sulla sabbia. Converte, con magico potere, una ragazza in paralitica estasi della luna; fa venire rossori adolescenziali ad un vecchio stanco che chiede I’elemosina per un bicchiere di vino; evoca, in una capigliatura, odore di porto notturno ed in ogni momento agisce sulle braccia con movimenti che sono fonte della danza di tutti i tempi... ... La Spagna e I’unico paese dove la morte e spettacolo nazionale, dove la morte suona lunghi clarini all’arrivo delle primavere e la sua arte e sempre sorretta da un duende acuto, che la differenzia e le da una sua qualità d’invenzione... ... II duende... Dov’e il duende? Da un arco vuoto spira un’aria mentale che soffia con insistenza sulle teste dei morti, in cerca di nuovi paesaggi e accenti stranieri; un’aria con odore di saliva di bimbo, di erba calpestata, di trasparenza di medusa, che annuncia il perpetuo battesimo delle cose appena create.
Lindsay Kemp e Duende Lorca e il suo tempo Teoria e significato del duende Photogallery Home Page