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Monti: un altro rito di purificazione, un altro feticcio da adorare

di Francesco Lamendola - 16/04/2012


 


 

Sono stati in molti, nello scorso mese di novembre, ad accogliere con un senso di sollievo l’insediamento del governo dei tecnici, del governo di Mario Monti, il professore bocconiano che sembra un inglese e che parla come un tedesco.

In molti hanno pensato che, dopo le smargiassate e le pagliacciate dell’era Berlusconi, finalmente sarebbero arrivate la serietà e l’equità; che, dopo tante leggi «ad personam» e dopo tanto corteggiare i mille particolarismi e corporativismi italiani, finalmente qualcuno avrebbe inciso il male alla radice, riorganizzando l’economia dello Stato, senza guardare in faccia a nessuno.

Del resto, la tenuta del sistema Italia era giunta ad un passo dal crollo e la sua credibilità aveva toccato i livelli più bassi della sua storia centocinquantennale: impossibile scendere ancora più in basso, impossibile sfaldarsi ancora di più - a meno, beninteso, di imboccare la via della dissoluzione cruenta, come la Jugoslavia di vent’anni fa; dunque, si pensava, qualunque governo sarebbe stato migliore dell’ultimo, o, almeno, non peggiore.

Un governo di tecnici sembrava la soluzione più adatta: con il beneplacito dei partiti, disposti a farsi temporaneamente da parte per lasciargli l’onere di varare provvedimenti impopolari, ma senza dover temere la disapprovazione dell’elettorato, essendo, appunto, un governo tecnico, senza ambizioni politiche: come dire che la politica abdicava per il tempo necessario a permettere che altri risolvessero i problemi che essa non aveva saputo, potuto o voluto affrontare.

Si pensava: adesso saranno dolori, adesso saranno lacrime e sangue, però l’Italia si salverà; si salveranno i nostri risparmi, si salveranno i posti di lavoro, certo attraverso le vie misteriose della mobilità; adesso dovremo sputare l’anima e vedere i sorci verdi, però, alla fine, ne sarà valsa la pena, perché avremo fatto un bel po’ di pulizia nell’edificio, dalle cantine alla soffitta; questa è gente seria, gente che non ha ambizioni personali e che non cerca il consenso con mezzi demagogici, dunque la gente adatta per una emergenza come quella che stiamo vivendo, la più grave da quel lontano 17 marzo 1861, allorché nacque il Regno d’Italia.

Quando, poi, vedemmo Elsa Fornero, ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, piangere in televisione, al momento di annunciare la manovra di lacrime e sangue, ci siamo anche un po’ commossi: ma che bava persona, dopotutto ha un cuore anche lei; siamo capitati in buone mani, questi sono tecnici umani, faranno solo i tagli necessari e, sopratutto, saranno equi, cominceranno dai più ricchi, dai privilegiati, da quelli che hanno cinquantamila euro di pensione.

E quasi tutte le forze politiche, da destra a sinistra, anzi da sinistra a destra (perché a sinistra incassavano come un loro successo le dimissioni di Berlusconi, povere mosche cocchiere, e brindavano a champagne per quella loro ipotetica vittoria), si profondevano in auguri di buon lavoro e in vaticini di pronta riuscita, con la sola eccezione della Lega, cui non pareva vero di potersi rifare una verginità barricadiera in un momento di difficilissime tensioni interne e dopo anni di servaggio verso il Cavaliere; e dell’Italia dei valori, cui premeva intercettare le perplessità e lo scontento degli elettori non berlusconiani e non leghisti.

Adesso siamo entrati nel sesto mese di questo governo insediatosi in un lampo, con il presidente Napolitano che nominava Mario Monti senatore a vita un giorno prima di conferirgli l’incarico, e fra l’entusiasmo della Banca europea, della signora Merkel e del presidente Obama; e tocchiamo con mano una semplice verità: che questi tecnici non vengono da Marte, che sono italiani e che stanno governano tipicamente all’italiana.

Di sacrifici della classe politica non se n’è parlato nemmeno: mentre essi chiedevano i sacrifici più duri alla nazione, loro, per quel che li riguarda, non ne hanno fatto alcuno; deputati e senatori non si sono tolti un euro dalla busta paga o dalla pensione, anzi c’è pure chi, per aver seduto in Parlamento per la bellezza di ventiquattro ore, si  busca una pensione mensile di 3.000 euro; mentre l’onorevole Maurizio Paniz se ne va in televisione a spiegare che i parlamentari italiani, poverini, sono quelli che, al netto, prendono meno soldi in tutta Europa, perfino meno dei loro colleghi tedeschi, sempre portati ad esempio di sobrietà, di rigore e di efficienza.

Quel che si è visto, finora, è stato un pessimo inizio: una mannaia spietata sulle fasce sociali più deboli; un ritorno di vecchie tasse o una introduzione di nuove, dalla casa all’I.C.I.; un aumento generalizzato dei prezzi, come quello della benzina, che incidono pesantissimamente sui bilanci familiari più modesti; una serie di tagli sulle pensioni più povere, senza alcun intervento nei confronti di quelle più alte; una riforma del mercato del lavoro in cui è preso di mira l’articolo 18, salvo poi arrivare a un compromesso che non soddisfa nessuno; qualche timido e irrilevante tentativo, subito rientrato o finito in compromessi inconcludenti, di scalfire le posizioni della categorie privilegiate, dai farmacisti ai tassisti; ulteriori tagli alla spesa sociale, alle pubbliche amministrazioni, ai pubblici servizi, in cambio di bollette più care e di servizi più scadenti.

Nessun intervento strutturale sulle rendite e sui grandi patrimoni; nessuna misura per la ripresa, se non a parole; nessuno stanziamento per la ricerca e per l’innovazione; una caccia alla piccola evasione fiscale, strombazzata e reclamizzata al massimo, magari infliggendo multe salatissime al gestore di un panificio che non ha emesso uno contrino fiscale per la somma di ben settantacinque centesimi, mentre distinti signori se ne vanno tranquillamente in Svizzera a depositare cifre con parecchi zeri nelle banche elvetiche; nessuna misura per arrestare l’emorragia di laureati che espatriano, portando altrove le loro competenze, la loro creatività, la loro voglia di fare; nessun provvedimento della pubblica amministrazione per restituire ai privati, ai commercianti, agli imprenditori le somme loro dovute, ad esempio sotto forma di rimborso dell’I.V.A.; nessun provvedimento per alleggerire la pressione fiscale sugli artigiani e sui piccoli commercianti, strangolati dalle tasse; nessun provvedimento per rilanciare l’agricoltura o, almeno, per smantellare una parte delle assurde normative che costringono un contadino a spendere quasi tutto quel poco che guadagna per mettersi in regola con la burocrazia; nessuna semplificazione nella dichiarazione dei redditi, anzi, ulteriori complicazioni.

E, ancora: nessun intervento contro gli aumenti ingiustificati dei prezzi, specialmente nel settore controllato dai petrolieri; nessun intervento sulle banche, affinché concedano prestiti agevolati ai cittadini onesti e la smettano di speculare sul piccolo risparmio; nessun provvedimento contro le furbizie delle compagnie di assicurazione; nessun intervento per la trasparenza nell’utilizzo del pubblico denaro, anzi, nuove e sofisticate forme di occultamento; nessun taglio alle spese della presidenza della repubblica, che ci costa come l’Eliseo e Buckingham Palace messi insieme (con buona pace delle continue prediche moralizzatrici di Napolitano); in compenso, una nuova, ingegnosa forma di prelievo fiscale indiretto, incoraggiando la pratica immorale delle pubbliche lotterie, che arricchiscono lo Stato mentre rastrellano gli ultimi spiccioli dalle tasche delle fasce sociali più povere, con il miraggio della vincita favolosa.

Ma ci voleva un governo di tecnici, per governare così? C’era bisogno di Supermario, oppure bastava una squadra di ragionieri qualsiasi? Anzi, non di ragionieri qualsiasi, ma di ragionieri ben decisi a non pestare i piedi dei poteri forti, a non toccare i privilegi e gli sprechi dei soliti noti, ma a tartassare sempre più spietatamente quei quattro milioni di italiani che vivono con meno di 500 euro di pensione mensile, o quei sei milioni che vivono con meno di 750 euro…

Il problema del governo Monti non è quello di essere formato da tecnici arroganti, spietati, che pensano ai cittadini italiani in termini di numeri e per i quali sarebbe meglio che la gente morisse presto, appena va in pensione, in modo da far quadrare i conti; non è nemmeno quello di essere formato da professionisti milionari, che non sanno nemmeno cosa sia la povertà, che non sanno neanche per sentito dire cosa voglia dire arrivare a fine mese con il portafoglio vuoto e il frigorifero altrettanto vuoto, pur con tutte le loro lauree e le loro prestigiose amicizie internazionali; il problema, infine, non è nemmeno quello di essere dei tecnici del settore bancario, magari impiegati fino a poco tempo fa in quelle stesse banche americane, come la Goldman Sachs, che hanno regalato all’Italia e al mondo questo po’ po’ di crisi finanziaria ed economica.

No: il problema vero, insormontabile, insolubile, è che sono italiani.

Quando salì al governo il professor Prodi, tutti gli Italiani di sinistra si rallegrarono, pensando che, finalmente, qualcuno avrebbe messo le cose a posto, i conti in ordine, e favorito un minimo di equità sociale; ma sono rimasti delusi.

Quando, poi, andò al governo Berlusconi, tutti gli Italiani di destra esultarono, pensando che finalmente le pastoie dello Stato sarebbero state rimosse e che, di privatizzazione in privatizzazione, industria e commercio avrebbero visto spianata la strada verso la ripresa; ma sono rimasti amaramente delusi anch’essi.

I leghisti si aspettavano il federalismo fiscale, la moralizzazione della vita pubblica, il rilancio dell’economia del Nord, un freno all’immigrazione, specie clandestina, una maggiore sicurezza contro la criminalità: ma hanno dovuto accontentarsi di chiacchiere, di promesse, di slogan  roboanti, di barbari sognanti, di proclami d’indipendenza, di riti fluviali sempre più stanchi, sempre più logori, mentre la corruzione dilagava nel gruppo dirigente.

Ogni volta ci sono state grandi attese, grandi aspettative, grandi speranze; ogni volta grida di giubilo, bandiere spiegate verso il cielo, tifo da stadio; e ogni volta riti di purificazione, incensi per la figura del capo carismatico, scongiuri, formule magiche, mantra e cerimonie di salvezza, come per l’avvento dell’era del Bene dopo le tenebre del Male,

Il Male, con la lettera maiuscola, era sempre l’altro: per gli elettori di sinistra era Berlusconi; per quelli di destra, il comunismo; per i leghisti, lo statalismo romano; mai un esame di coscienza, mai una ammissione di responsabilità, mai un riconoscimento di aver contribuito, per la propria parte, alla cattiva politica e alla cattiva amministrazione, ai conti pubblici in disordine, agli sprechi, alle faziosità, alla demagogia, alla retorica, alla dissoluzione della scuola, allo sfacelo della sanità, all’implosione dei trasporti pubblici, Ferrovie dello Stato e Alitalia in testa.

Il Male era sempre fuori, e mai dentro; i corrotti erano sempre gli altri, mai i propri; gli scandali, le inefficienze, gi sperperi, erano sempre quelli dell’avversario, del nemico; se le cose andavano di male in peggio, la colpa era sempre di qualcun altro: per questo ogni partito chiedeva più fiducia, più soldi, più poteri, per restaurare il Bene contro il Male, per rimettere le cose a posto, per salvare l’Italia dai marioli e dagli incompetenti.

E, intanto, una televisione di Sato sempre più asservita al potere ci raccontava le cronache di un Paese inesistente, con le veline sui fatti più incresciosi riguardanti la classe dirigente, con una pletora di giornalisti dalla schiena curva sempre pronti a mettersi la livrea del padrone di turno, e i pochi dalla schiena dritta costretti ad andarsene, in un modo o nell’altro; così, a forza di disinformazione, e a dispetto del canone profumatamente pagato dai cittadini in cambio di telegiornali da barzelletta, sono cresciute l’ignoranza, la stupidità, l’inconsapevolezza.

E siamo arrivati dove siamo arrivati.

Chi si aspettava la salvezza dal governo Monti, lo ha caricato di aspettative esagerate e non ha tenuto conto che un governo di quel genere, insediatosi più per la pressione di forze esterne (la Banca europea in primo luogo) e più in funzione di commissariamento internazionale che di governo nazionale sovrano, non poteva agire diversamente da come sta agendo: forte con i deboli e debole con i forti; spietato con i poveri e generoso con i ricchi; indulgente con i privilegiati e rigoroso, anzi draconiano, con le fasce sociali più deboli.

Ci sono piccoli imprenditori che si suicidano per la disperazione; ci sono pensionati che si suicidano per la disperazione; ma si continua a parlare, per ore e ore, per giorni e giorni, per settimane e settimane, del teatrino della politica; ci tocca vedere Rutelli che dice di non aver mai saputo quel che faceva il suo amministratore; Bossi che piange in televisione, chiedendo scusa per i figli, ma intanto grida al complotto; Rosy Mauro che piange anche lei in televisione, mentre si abbarbica alla poltrona di vice-presidente del Senato e catalizza su di sé tutto l’odio dei suoi ex amici di partito, mentre il Trota e la signora Marrone la passano liscia. Insomma, niente di nuovo sotto il sole…