Africa, la guerra che non c'era
di Massimo Fini - 09/05/2012
I recenti massacri di cristiani in Nigeria e in Kenya per mano di integralisti islamici ci raccontano della disgregazione, sociale e culturale, oltre che economica, di un Continente, il Continente Nero.
Fino a pochi decenni fa la storia dell'Africa nera e delle sue mille etnie era stata una storia in cui si ricercavano gli accomodamenti più che i conflitti. E salvo le eccezioni ovvie in una vicenda millenaria vale per l'intera Africa ciò che l'antropologo John Reader scrive per le popolazioni del delta del Niger: “ Il rischio di conflitti era altissimo, il delta interno del Niger avrebbe dovuto essere un focolaio di ostilità interetniche. Eppure ciò che distingue la regione durante i 1600 anni di storia documentata non è la frequenza dei conflitti quanto la stabilità di pacifiche relazioni reciproche”. I neri africani sono stati maestri nel creare istituti per canalizzare e rendere innocua l'aggressività di gruppo, come la festa orgiastica, la guerra ritualizzata, cioè finta (chiamata 'rotana' presso i Bambara e altre tribù per distinguerla dalla 'diembi' la guerra vera), o, prima che vi arrivassero i kalashnikov, la guerra fatta togliendo le alette alle frecce in modo da rendere il tiro impreciso. Nel 1970 assistetti a Nairobi a una Convention sulla guerra in Africa cui partecipavano i rappresentanti di moltissime etnie. E quel che ne veniva fuori è che la guerra in Africa, fino ad allora, era stata una cosa ridicola, non solo rispetto a ciò che han combinato occidentali e islamici, ma in termini assoluti.
Se in Africa nera c'erano state poche guerre, non ce n'era mai stata una di religione. Perchè le tribù nere non sono monoteiste, non hanno un dio unico, e spesso nemmeno un pantheon di dei, sono animiste, hanno un senso sacrale e magico della Natura. Un conflitto per questioni religiose è quindi inconcepibile. Più in generale, come scrive ancora Reader, “la gente sa come comportarsi perchè è consapevole delle differenze e il reciproco rispetto consente alle tribù di prosperare e ai simboli dell'unità di gruppo di svilupparsi”. Insomma un profondo senso della propria identità che passa però per il rispetto di quella altrui. Questa era l'Africa nera prima che, al seguito delle armate coloniali, vi irrompessero i missionari cristiani, gli islamici e, da ultimo, il devastante modello economico occidentale alla disperata ricerca di nuovi mercati, per quanto miseri, perchè i nostri sono saturi (ma adesso, in una sorta di contrappasso, vi dominano i cinesi che comprano intere regioni).
Le culture nere, checchè ne pensi quella 'superiore' (secondo lo storico inglese Hugh Trevor-Roper l'Africa nera prima dell'incontro con gli europei non ha avuto una Storia ma solo “lo sterile turbinio di tribù barbare in pittoresche ma irrilevanti zone del globo”), erano estremamente raffinate nel pensiero astratto e nel sentimento spirituale (si veda, per esempio, la cosmogonia dei Dogon) e nel gusto estetico, come sa chi abbia fatto un salto al museo delle 'Arti primitive' in Quai Branly a Parigi, ma fragili proprio per il motivo per il quale quella cristiana e islamica son forti. Non essendo monoteiste, mancando di un'idea forte, totalitaria, radicale, inclini piuttosto alla tolleranza e all'accomodamento si sono fatte penetrare docilmente dal cristianesimo e dall'islamismo. Ne sono nati degli ibridi, dei mostri che oggi si massacrano l'un l'altro per convinzioni che non erano mai state le loro. Ma a partorire questi mostri e le loro efferatezze, di cui oggi ci sdegnamo agitando lo spettro del consueto ricorso alla forza, siamo stati noi. Noi e gli islamici.