Rischio Euro e sopravvivenza: è ora di fare scorte
di Marco Della Luna - 20/05/2012
Quando sono a rischio i rapporti monetari, finanziari e commerciali internazionali, la priorità nazionale è fare scorte e rendersi quanto possibile autonomi per soddisfare i bisogni primari materiali della popolazione – cibo, energia, trasporti, cure mediche – e salvaguardare l’apparato produttivo, nongià spendere tutto per traguardi contabili. La crisi globale è in corso da 4 anni ed è sistemica, non congiunturale. Sta spostando redditi, capitali e opportunità lontano da noi. Non sappiamo a che assetti porterà, né quando. Il paese, in declino comparativo da 20 anni e in recessione persistente, è caduto nell’avvitamento fiscale, con una pressione sull’emerso oltre il 70% (quindi insostenibile), senza prospettive di ripresa endogena, ma solo, nel DEF, previsioni fondate su un ipotetico traino estero. L’orizzonte estero però vede un cedimento dello slancio cinese e preannunci di una “perfetta tempesta” monetaria con cinque anni di recessione a seguito dell’attesa crisi da insostenibilità dell’indebitamento. In ambito europeo, l’UE e la BCE a guida tedesca non cedono sulle ricette recessive di austerità, conformi agli interessi del solo capitalismo tedesco, mentre la Grecia probabilmente uscirà dall’Euro, ed è pure probabile che nel tempo la seguano altri PIIGS, per ragioni di insostenibilità strutturale della loro posizione, ossia per effetto sia dell’avvitamento fiscale nel fiscal compact, che dei disavanzi commerciali accumulati verso Berlino, che della crescente competitività, rispetto alle economie periferiche, dell’economia tedesca, la quale attrae da esse capitali, imprenditori e professionisti qualificati dalla periferia europea (questo fatto era noto e prevedibile, perché già aveva creato la crisi monetaria del 1964 e quella del 1992, quindi i padri dell’Euro sapevano di questo effetto). La perdita comparativa di produttività e vitalità dell’imprenditoria italiana deriva anche dal fatto che i regolamenti europei in materia amministrativa, infortunistica, igienica, ecologica e creditizia sono pensati per la grande e media impresa, tipica dell’Europa centrale e settentrionale, e soffocano le piccole e piccolissime imprese, costituenti il 95% dell’industria italiana. Questo squilibrio ha un feedback positivo, ossia alimenta e amplifica se stesso (sposta risorse dai paesi periferici alla Germania, e con quelle risorse le Germania aumenta continuamente la propria superiorità rispetto ai partners periferici, accrescendo così il trasferimento di risorse a proprio vantaggio e le strettezze finanziarie, l’impoverimento e la destabilizzazione sociale di questi. L’effetto distorcente dell’Euro sulle bilance dei pagamenti è irriducibile dalla politica e dalle chiacchiere e dagli idealismi. Quindi non vi è via di uscita entro il sistema, che non ammette svalutazioni o altri correttivi. Il sistema dovrà rompersi, prima o poi – ad es., allorché i paesi periferici saranno tanto impoveriti da non poter più assorbire l’export tedesco. Più tardi si rompe, più forte sarà la Germania al tavolo delle trattative per un nuovo sistema, e più deboli saranno gli altri. Possiamo plaudere alla vittoria del più forte e all’eliminazione dei più deboli, nella logica darwiniana della selezione del migliore. Ma, se invece vogliamo sopravvivere, in tale quadro, la assoluta priorità, per ogni governo PIIGS, non è rincorrere lo spread o il pareggio del bilancio, ma attrezzarsi per soddisfare i bisogni primari, materiali (cibo, riscaldamento, trasporti), della popolazione, nel medio termine – ossia prendere misure idonee ad assicurare la sopravvivenza del proprio paese nel verosimile scenario di un dissesto monetario, finanziario e commerciale internazionale. E cercare di mettere in crisi il competitore. Già nel 2008 gli scambi internazionali, dai quali dipendiamo per materie prime e altro, crollarono del 40% in pochi mesi. Ciò insegna che bisogna attrezzarsi per resistere a una situazione di questo tipo, ma molto più grave. Si tratta di perseguire l’autosufficienza o autonomia nel possibile e nell’essenziale, almeno per la prevedibile durata della crisi. Questa non è, ovviamente, una scelta ideologica di autarchia, ma un’esigenza pratica. Peraltro, si è già abbastanza palesata l’inefficienza e pericolosità di un’organizzazione mondiale dei commerci e della finanza come l’attuale, e la preferibilità di un sistema basato sullo scambio delle eccedenze, con produzioni e consumi, per quanto razionalmente possibile, locali, se non proprio a chilometri zero. In un tale sistema si potrebbe controllare la qualità presso il produttore, si risparmierebbero inquinamento e carburanti per i trasporti, si scoraggerebbe la concorrenza basata sullo sfruttamento di lavoro e ambiente. Le misure da prendersi (alcune anche a livello regionale o subregionale, specie in caso di inerzia del governo centrale) sono ovvie; è augurabile che siano adottate preventivamente, ossia prima di ulteriori dissanguamenti, prima di un collasso del paese, prima di una uscita passiva dall’Euro; ma è ben possibile che si arrivi a prendere misure di questo tipo per effetto proprio di tali eventi. Ecco le misure che raccomando: -costituire scorte di oro quale mezzo di pagamento internazionale, nazionalizzando quelle della Banca d’Italia; -costituire scorte strategiche di ciò che il paese non produce da sé (cibo, materie prime, combustibili e carburanti, pezzi di ricambio, farmaci, etc.); -efficientare e ampliare la produzione di generi alimentari, rimettendo a coltura terreni dismessi e convertendo a produzioni per alimentazione umana e biocarburanti i terreni coltivati a foraggio (in termini di rendimento nutritivo, il cibo vegetale assorbe 1/9 di quello carnaceo); -dotarsi della capacità strategica di produrre e ibridare sementi, diserbanti e fertilizzanti senza dipendere da fornitori stranieri; -dotarsi di capacità strategica di produrre, se necessario in violazione dei brevetti internazionali, le sostanze chimiche e gli apparati tecnologici utili al paese, incluse le apparecchiature elettroniche, informatiche, telematiche e il relativo software; -ridotarsi di autosufficienza monetaria interna, con una banca centrale a direzione pubblica e interamente nazionale, che assicuri l’acquisto del debito pubblico, e vincoli di portafoglio per le banche di credito; nella situazione attuale, solo un folle o un sabotatore si affiderebbe ai “mercati” o ad istituzioni esterne, etero-guidate e non solidali, per le proprie esigenze monetarie interne e per l’assorbimento del proprio debito pubblico; -tenersi adattabili alle diverse possibili soluzioni per i rapporti monetari internazionali: unità di conto non monetaria, o valuta internazionale diversa da quella interna, oppure sistema di cambi fissi o variabili – a seconda di come gireranno le cose in ambito globale; -allestire un sistema di credito e risparmio separato dalle attività speculative e idoneo ad assicurare finanziamento alle attività produttive; -istituire controlli dei flussi di capitali e di merci (dazi, contingenti), nonché degli acquisti stranieri in ambito domestico (restrizioni agli acquisti di aziende e di immobili); -abrogare o correggere i regolamenti europei inadatti al tessuto imprenditoriale italiano; assicurare un credito a condizioni confacenti ad esso, in deroga agli accordi di Basilea; -uscire dall’Euro e dall’UE; -stabilire un pieno controllo dei confini e dei movimenti in ingresso e in uscita. La precedenza va data agli investimenti per l’autosufficienza, per la realizzazione di impianti industriali e agricoli e per le tecnologie necessarie, nonché alle infrastrutture più utili. Un tale piano di investimenti andrebbe studiato come piano di rilancio economico dei paesi interessati, ossia non solo come piano di difesa nazionale, ma pure come un’opportunità di uscita dalla recessione con adozione di un modello di sviluppo più sicuro e sostenibile. Incauto è non provvedere in tal senso, dato lo scenario interno e internazionale. Pazzerello è destinare le poche risorse disponibili non a questi investimenti, ma a rincorrere obiettivi contabili imposti da potentati finanziari assolutamente non solidali ma opportunisti, o a interventi a pioggia di tipo demagogico, vetero-democristiano, come quello varato dal governo Monti l’11.05.12. Pazzerello, perché significa lasciare la gente esposta, pur potendosi evitarlo, al rischio di crollo delle condizioni di vita, se non di inedia e assideramento, e lasciare il paese al rischio di un take over per fame. Ma ormai è chiaro che, per qualcuno, lo scopo è proprio questo: con la crisi economica creare la rivolta sociale, con la rivolta sociale giustificare la repressione; poi arriverà il capitale finanziario tedesco vestito da UE a salvarci in cambio di un total surrender del paese periferico a un MES guidato da Berlino. Intanto, irrazionalmente, si continua a puntare tutte le risorse su modelli che presuppongono solidarietà, coordinamento e tenuta nei rapporti monetari e politici internazionali, e ciò proprio mentre questi presupposti falliscono, uno dopo l’altro, o appare che non erano mai esistiti nella realtà, ma solo nella propaganda europearda e mondialista. In generale, si seguita a non tener conto dell’esperienza, della storia: tutte le promesse di integrazione o armonizzazione monetaria ed economica sono rimaste inavverate, dalla PAC e dallo SME in poi, anzi hanno aumentato gli squilibri. Pensare che dalle istituzioni europee, espressione di conflitti di esigenze tra diversi modelli socioeconomici, venga aiuto, solidarietà e risoluzione dei problemi, è irrazionale e contrario ai dati storici e all’evidenza del presente. Anche le promesse di riduzione e riqualificazione delle spese pubbliche sono rimaste irrealizzate, come le promesse di maggiore democrazia e partecipazione alle scelte di fondo, di benefici e stabilità che dovevano automaticamente scaturire dall’apertura dei mercati. Le assicurazioni di uscita dalla crisi, di uscita dalla recessione, di istituzioni capaci di prevenire nuove crisi (Financial Stability Board), sono risultate vane. Il sistema risulta inabile a utilizzare i dati empirici e la logica per riformarsi, correggersi, razionalizzarsi. E’ altamente entropico, salvo intendere che l’andamento in questione sia voluto, nel senso che la scena politica ed economica è dominata non da un regolatore né da leggi equilibranti, ma da attori-profittatori che mettono a profitto le ricorrenti sbandate del sistema e i suoi crescenti scompensi. Aprirsi agli scambi internazionali anziché chiudersi protezionisticamente è indispensabile per evitare fossilizzazioni e per stimolare l’innovazione e l’efficienza; ma non è detto che ciò sia vero in tutte le circostanze, in tutti i modi e in tutti i tempi. Questo è un tempo in cui entra più caos e nocumento che stimoli e innovazioni costruttive. E non potrebbe essere diversamente, in un tempo in cui i mercati sono dominati da una speculazione finanziaria di brevissimo termine. |