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G8

di Francesco Mario Agnoli - 25/05/2012

Secondo i mass-media  sempre impegnatissimi  nell' acritico sostegno  al governo dei tecnocrati,  l'appena concluso G8 di Camp David è stato un successo  sia in termini generali sia per l'Italia, che   ha riacquistato il posto che le compete in Europa e nel mondo. Il merito di questo recupero viene equamente suddiviso  fra Mario Monti e Barack Obama  col supporto della new entry francese François Hollande.

     A conferma  vengono citate le parole  del caro leader, che ha evidenziato la ''convergenza molto forte'' con Hollande e il ruolo svolto da Obama nel creare le condizioni per un dibattito costruttivo, grazie a discussioni fatte intorno al caminetto che contribuiscono a creare un clima informale diverso da quello dei vertici europei, ''ingessati, e non sempre positivi''.

   Pressoché solitaria  voce dissenziente quella di Massimo Fini, che si azzarda  a ricordare vicende  non più vecchie di un quinquennio e che tuttavia sembrano da tutti dimenticate, scrivendo:“La crisi è partita dall'America, ma quel pseudodemocratico e pseudonero di Obama ha la faccia tosta di impartirci lezioni di moralità economica”.

   In realtà sono mesi che Obama esprime il timore che la crisi dell'economia europea possa contagiare gli Stati Uniti, fingendo di dimenticare che finora l'unico contagio ha attraversato l'Atlantico in  direzione opposta: dall'America all'Europa. La crisi, difatti,  non è scoppiata  nel 2010, ma nell'estate del  2007 e proprio negli Stati Uniti  con l'esplosione della “bolla immobiliare” determinata dai cosiddetti “mutui subprime”, cioè a bassa garanzia, e dal marchingegno escogitato dalle banche americane per scaricare su altri i rischi di questi mutui concessi a chi non era in grado di far fronte agli impegni assunti: la loro “cartolarizzazione” in titoli poi proposti dal sistema bancario  a risparmiatori di tutti il mondo (in particolare di quello occidentale), che ben presto si meritarono la definizione di “titoli tossici” per avere diffuso negli altri paesi la crisi americana.

   La situazione esplose nel 2007, quando  le  banche si ritrovarono sul groppone  poco meno di due  milioni di case pignorate a proprietari che non erano più in grado di pagare le rate del mutuo, troppe  per  trovare, anche a  prezzi minimi, acquirenti su un mercato dissestato. Abbiamo scarsa memoria, ma qualcuno dovrebbe  ricordare che i mostri telegiornali ci mostrarono strade e strade  fiancheggiate da villette e giardinetti stile “american way” poste in vendita a poche centinaia di dollari e tuttavia invendute. Seguirono gli interventi di Washington  per salvare  Fannie Mae e Freddy Mac, il Citygroup e altri istituti  di credito e assicurativi e (15 settembre 2008) il crac  della banca d'investimento Lehman Brothers  reso più disastrosi per gli investitori di tutto il mondo e anche per molti istituti finanziari europei dal fatto che fino al giorno prima  i suoi titoli godevano di un buon “rating” da parte  delle  agenzie Standard & Poor's, Moody's e Fitch, tutte statunitensi.

     Si dirà che è storia passata e che, mentre occorre lavorare insieme per uscire dalla crisi, non vale la pena di litigare come fanno i bambini per attribuirsi reciprocamente la colpa. Il fatto è che, come sempre, non si possono curare gli effetti se non  si individuano le cause. In particolare, pur se è vero che dal 2009  l'Europa ci ha messo  del suo, dal momento che anche tempo e durata contano,    sarebbe un grave errore dimenticare non tanto  le responsabilità degli Usa (se non per suggerire ad Obama  meno iattanza e più umiltà), ma che la crisi riguarda fin d'ora, e non per futuri temuti contagi, l'intero mondo occidentale (Usa inclusi) e che è vecchia non di due-tre, ma di cinque anni.

    In ogni caso, venendo all'oggi, il G8 di Camp David è stato di qualche consolazione per l'Italia, ma, al contrario di quanto  sostiene la piaggeria mass-mediale, non per la ritrovata autorevolezza dell'Italia sul fronte internazionale, ma perché,  se noi contiamo su tecnici che hanno dovuto chiamare altri tecnici per fare il loro lavoro, i politici degli altri paesi  non se la molto cavano meglio se tutto quello che hanno saputo tirar fuori   dalle discussioni  “intorno al caminetto” di cui tanto si è compiaciuto il prof. Monti è  che occorre coniugare il rigore con la crescita.

    In realtà se non proprio la crescita (per questa servirebbe un sostanziale mutamento del modello economico),  almeno una ripresa, magari  una “ripresina”,  sarebbe coniugabile  col  rigore, ma  con un rigore non  come l'intendono Monti e i suoi colleghi (quelli che  Maffeo Pantaleoni  classifica come “imbecilli” a causa del loro esclusivo amore per le tasse), ma di tagli alla spesa pubblica improduttiva a cominciare, per dare l'esempio, da una severa sforbiciata ai 224.milioni di euro che, secondo una recente inchiesta,  costa alle casse pubbliche italiane  il Quirinale, il quadruplo di quanto gli inglesi pagano per  Buckingham Palace.