Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La Germania non è il centro imperiale dell'Europa

La Germania non è il centro imperiale dell'Europa

di Eugenio Orso - 25/06/2012

Fonte: pauperclass.myblog.it

   
   

E’ opinione di molti che l’attuale sconquasso nell’area europeo-mediterranea è determinato dalle politiche sovrane della Germania, che attraverso l’euro e l’Unione impone agli stati deboli politiche espropriative e immiserenti che distruggono l’industria di quei paesi, ne riducono i redditi, azzerano le conquiste pregresse del lavoro, e favoriscono l’industria tedesca (a partire dal manifatturiero), contribuendo a sostenere i redditi in Germania.

Quindi la Germania unificata dopo la caduta del muro di Berlino – errore storico che non si stigmatizzerà mai abbastanza – costituirebbe una sorta di “centro imperiale” europeo, o meglio una potenza regionale che sta riducendo alla fame, per mantenersi, i paesi più deboli del continente, e tutto questo con il supporto (ma sempre meno convinto e sicuro, parrebbe) della Francia.

Soltanto l’uscita dall’euro ed eventualmente anche da tutte le istituzioni europee unioniste potrebbe consentire di sottrarsi alla stretta mortale della Germania, e di non alimentare più, con il proprio sangue, la potenza industriale tedesca che cerca di mantenersi ad ogni costo, sterminando parte dell’Europa.

In pratica, lo stato sociale dei paesi mediterranei e meridionali deve essere smantellato per consentire alla Germania di mantenere le sue coperture sociali, l’industria manifatturiera del meridione d’Europa, con quella italiana in testa per importanza, deve essere annichilita per consentire a quella tedesca di non collassare sotto il peso della concorrenza asiatica ed emergente, i lavoratori greci, italiani, spagnoli devono essere rischiavizzati, perdendo qualsiasi tutela al limite minimo di sopravvivenza, per mantenere alti i salari e gli stipendi tedeschi. Ed infine, i titoli del debito pubblico italiani e spagnoli devono pagare interessi cospicui, almeno al cinque per cento, per il vantaggio germanico e per mantenere bassi i tassi d’interessi pagati sul bund, suggerendo che lo “spread con il bund” non è uno strumento di dominazione e di esproprio delle Aristocrazie globali, cioè di una nuova classe dominante planetaria, ma della Germania sovrana “centro imperiale” in Europa.

Come conseguenza, però, anche l’euro non sarebbe una moneta “privata” sopranazionale, di cui beneficia la nuova classe dominante globale, ma una moneta principalmente tedesca imposta a molti paesi d’Europa.

Secondo questa visione, la catena di disastri greco, italiano, spagnolo, portoghese sarebbe stata provocata proprio dalla “politica imperiale” targata Bundesrepublik, fondata sulla moneta comune tedesca, e non tanto dagli appetiti statunitensi.

Per quanto io condivido le posizioni antieuro ed antiunioniste più spinte, ritenendo che l’Unione Europea è per noi un nemico spietato da abbattere, per quanto non nascondo il mio disprezzo per i tedeschi (mai come oggi forti con i deboli e deboli con i forti), ai quali auguro, come popolo e senza eccezione alcuna, di subire una sorte peggiore di quella riservata agli incolpevoli greci, non posso, però, condividere nella sostanza queste analisi.

La Germania contemporanea non è una “potenza imperiale” autonoma che si autodetermina e si confronta con le altre, nel mondo, mantenendo sotto il suo tallone molti popoli del vecchio continente, condannati al sacrificio per alimentare la sua potenza.

La Germania ha finora approfittato in modo spregiudicato degli assetti euro-unionisti, con lo scopo di salvarsi e scaricare il peso della crisi sui mediterranei e sugl’altri, ma la “classe dirigente” tedesca non è pienamente autonoma e sovrana nelle sue decisioni, perché deve sottostare come le altre all’ordine globale e alla catena di comando globalista.

In pratica, anche Merkel e Schäuble sono sub-dominanti politici del pari di quelli francesi, o spagnoli, o italiani, ed anche loro possono essere “sacrificati” e sostituiti dall’Aristocrazia globale, che non è certo interna alla Germania e non si riconosce in specifiche entità statuali. Per la Bundesrepublik, che sta remando contro la stessa possibilità di salvezza del continente europeo, ed in definitiva di sé stessa, in un contesto globale completamente ostile, prospetto una sorte simile a quella riservata, oggi, ai paesi dell’Europa mediterranea.

Nell’affermare questo, mi rifaccio ad una mia ben precisa, personale concezione del capitalismo contemporaneo, quale nuovo modo storico di produzione sociale, ultimo nella celebre sequenza marxiana dei modi di produzione riadattata ai tempi: comunismo primitivo, o modo di produzione comunitario, schiavismo antico, feudalesimo, capitalismo del secondo millennio, capitalismo contemporaneo, e poi … si vedrà. Ci sono due elementi da considerare, a proposito della “non-specialità” della Germania, che per ora sembra uscire quasi indenne dalle turbolenze economico-finanziarie, anzi, come affermano gli stessi media italiani che talora la prendono a modello (economico e produttivo), traendone qualche significativo vantaggio, vantaggio che però si rivelerà soltanto temporaneo e potrà soltanto ritardare il ridimensionamento dell’economia tedesca, e del suo peso nel commercio globale.

I due elementi da considerare sono i seguenti:

1) La progressiva distruzione, in Europa, di tutti i modelli capitalistici alternativi a quello liberista anglosassone “ereditati” dal novecento, modelli con aspetti dirigisti, con una forte presenza dello stato sociale, con un ruolo attivo in campo economico-produttivo e redistributivo del reddito affidato allo stato. Dirigismo, keynesismo, stato sociale, interevento statuale diretto nell’economia e redistribuzione dei redditi operata dagli stati sono d’ostacolo al mercato, e perciò, come tutti gli ostacoli, si devono rimuovere. Fra questi modelli “non conformi” al nuovo capitalismo, evolutosi a partire modello liberista anglosassone, accanto alla cosiddetta economia mista italiana c’è il capitalismo renano tedesco, e personalmente dubito che nel periodo medio-lungo (ma forse già nel medio periodo), se la storia proseguirà su questi binari, elementi consistenti di capitalismo renano potranno sopravvivere in Germania. Quindi, la stessa Germania, che per ora sembra relativamente al sicuro, dovrà essere completamente “normalizzata” e perdere quel tanto di sovranità nazionale, di “privilegi” e di specialità del suo modello capitalistico che conserva ancora, quando arriverà il suo turno. Un modo storico di produzione che diventa prevalente tende a fare tabula rasa di tutti gli altri che l’hanno preceduto, e quindi anche dei modelli (di capitalismo) “non più conformi” come quelli dell’Europa continentale. Il neocapitalismo non potrà tollerare a lungo (l’esperienza italiana di questi ultimi decenni lo insegna) la persistenza di vecchi modelli capitalistici, interpretati come ostacoli al suo sviluppo. Così è stato, ad esempio, per il dispotismo asiatico, distrutto dal colonialismo nel secondo millennio, e così è stato, in tempi recenti, per il collettivismo con lineamenti capitalistici di matrice sovietica. Mi limito a queste poche considerazioni, per brevità.

2) La creazione finanziaria del valore non può fermarsi, semmai deve subire continue accelerazioni. E’ un elemento strutturale del nuovo capitalismo così importante da sussumere anche la classica, marxiana estorsione del plusvalore dal lavoro nella tradizionale fabbrica capitalistica. Ho scritto sussumere (kantianamente come fece Marx), intendendo proprio un “concetto” più ampio (la creazione del valore azionaria, finanziaria e borsistica) che contiene in sé uno più piccolo, ma coerente (l’estorsione del plusvalore marxiana). Ciò implica la doppia sussunzione del lavoro e la sua svalutazione, e un simile fenomeno pare che riguardi non solo Italia, Grecia, Spagna, Portogallo, ma pur in minor misura la stessa Germania, che negli ultimi tempi ha realizzato incrementi occupazionali (sbandierati come un esempio da seguire dalla disgustosa stampa italiana) principalmente attraverso una maggior precarietà e le riduzioni dei costi. Ma ciò implica che entri in gioco anche un secondo elemento della struttura del nuovo capitalismo, che consente di accelerare ed estendere (in teoria, ma solo in teoria illimitatamente) questa necessaria creazione del valore: la crisi strutturale neocapitalistica. La crisi, quale elemento strutturale del capitalismo contemporaneo, aggredisce paesi e mercati sempre nuovi, si sposta come uno sciame di cavallette pronto a calare su campi e coltivi (e la metafora è calzante, per quel che abbiamo osservato negli ultimi anni). Gli effetti riproduttivi sistemici che ne conseguono sono almeno due: (a) si consente a Mercati & Investitori di creare nuovo valore attraverso la speculazione finanziaria (rating, debito pubblico alle stelle, alti tassi d’interesse sul debito, stretta sul bilancio dello stato, crollo dei consumi interni e dei redditi, compressione del manifatturiero, svendita di assets pubblici, eccetera) e (b) si sottomettono completamente gli stati nazionali, che perdono ogni traccia di sovranità residua (vedi, ad esempio, il caso italiano), imponendogli persino governi non eletti. La Germania non potrà sottrarsi, nel medio-lungo, e forse già nel medio periodo, alle stringenti necessità della creazione del valore azionaria, finanziaria e borsistica e agli effetti della crisi strutturale, intesa come sopra. Mi limito a scrivere questo, per brevità.

Spero di aver spiegato in modo sufficientemente chiaro, ancorché sintetico, il mio punto di vista e il perché io credo che la Germania, alla fine, nonostante la sua accettazione dell’ordine globale imposto e le sue evidenti corresponsabilità nel massacro di altri europei, seguirà la stessa sorte oggi riservata alle “cicale” mediterranee.

Non ci sarà alcun duraturo e spietato Quarto Reich.