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Il marpione ed il minchione

di Gianni Petrosillo - 14/09/2012


Lo abbiamo detto e ridetto e poi scritto, riscritto, trascritto, segnalato, ricalcato, sottolineato, svelato, sventagliato, rivelato quando tutti tessevano le lodi del mitico manager cosmopolita, il quale essendo un uomo di mondo le sparava da un punto all’altro del globo, più o meno da Torino a Detroit sola andata e con grande risonanza mediatica. Marchionne è un vero mago, questo è assodato, come fa sparire le cose lui nemmeno Merlino e  abracadabra magicabula bidibidobidiboo Fabbrica-Italia non c’è più, sim salabim bimbumbam guarda il Lingotto la fine che fa!  Il prestigiatore col cilindro rotto, come la reputazione delle sue auto, Fiat (fix it again Tony), ha rivelato il trucco anche perché al giochetto non ci credeva più nemmeno il più fesso dello Stivale. Ecco la fatidica frase: «Le cose sono profondamente cambiate da quando nell’aprile 2010 venne annunciato il piano «Fabbrica Italia»…è impossibile fare riferimento ad un progetto nato due anni e mezzo fa ed é necessario che il piano prodotti e i relativi investimenti siano oggetto di costante revisione per adeguarli all’andamento dei mercati». No, e che proprio è impossibile fare riferimento ad un piano che non è mai nato anche se è stato sempre annunciato. Ma ora, ladies and gentleman, signore e signori, lavoratrici e lavoratori, lavatrici e frullatori, apriamo una nuova rubrica, quella del leccaculo padronale amico del furbacchione imprenditoriale, scappato con la cassa lasciando a noi il suo sepolcro industriale imbiancato. Si chiamerà il Marpionne ed il Minchione, raccogliamo tutte le dichiarazioni dei politici, degli analisti, dei giornalisti sul grande trascinatore globale che divora aiuti negli Usa, accumula fondi in Svizzera e depone merda in Italia, per dimostrare, semmai ce ne fosse ancora bisogno, quanto è servile il circuito politico-mediatico di una nazione soggiogata dal mito del destriero finanziario, mezzo straniero e tutto menzognero (il premio di peggior lacchè è però già stato assegnato a quel finto proletario buono a nulla di Bertinotti che definì il Ceo di Fiat un borghese buono). In rete c’era già una buona parte del lavoro fatto. Giorgio Meletti per Il Fatto:

Ottobre 2005. Corriere della Sera: “Ha fatto le due del mattino. Per una volta, però, non c’entrano numeri e budget plan e trattative. È che ad Asti c’era Paolo Conte in concerto. E lui, Sergio Marchionne, ha preso la macchina e c’è andato. ‘Perché mi piace moltissimo’. Un gesto che, come le cravatte che porta di rado, rivela molto dell’amministratore delegato Fiat. Modi diretti, immediati. Zero bizantinismi. Dicono stia anche qui la ragione del suo successo”.

Luglio 2006. Fausto Bertinotti, presidente della Camera: “Dobbiamo puntare ai borghesi buoni. Marchionne parla della risposta ai problemi dell’impresa, non scaricando sui lavoratori e sul sindacato, ma assumendola su di sé”.

Agosto 2006. Pietro Modiano, banchiere: “Ha restituito al nostro sistema industriale un gruppo in grado di essere competitivo rappresentando un elemento di forza nel contesto internazionale”.

Settembre 2006. Piero Fassino, segretario Ds: “Pronto ad allearmi con Marchionne. Lui sì che è un vero socialdemocratico”.

Luglio 2007. Silvio Berlusconi, capo dell’opposizione: “L’ho comprata la nuova 500, quella con le bande laterali. Mi ricorda la mia prima auto, quand’ero ragazzo”.

Maggio 2009. Massimo D’Alema, deputato Pd: “Ho sempre pensato che il destino della Fiat era quello di una forte internazionalizzazione in una fase caratterizzata dalla concentrazione della produzione di automobili. Marchionne lo sta facendo nel modo migliore”.

Ottobre 2010. Vittorio Feltri, giornalista: “Lui è arrivato a Torino quando le cose andavano male e le ha raddrizzate applicando metodi da grande manager”.

Dicembre 2010. Sergio Romano, editorialista del Corriere della Sera: “Appartiene a un gruppo di italiani che hanno avuto il merito di non lasciarsi imprigionare in quel complicato intreccio di compromessi, patti di reciproca convenienza, luoghi comuni, che formano il retaggio di un’Italia bizantina, arcadica, conformista e contro-riformista. Per restare nell’ambito del secondo dopoguerra penso, per fare soltanto qualche esempio, a Ugo La Malfa, Guido Carli, Cesare Merzagora, Mario Monti”.

Gennaio 2011. Walter Veltroni, deputato Pd: “Marchionne ha posto con chiarezza, durezza e per tempo il problema. Ci vuole un contratto di lavoro costruito più a ridosso dell’organizzazione aziendale”.

Sergio Chiamparino, sindaco di Torino: “Marchionne rimane l’uomo che ha preso quella macchina ingrippata che era diventata la Fiat e l’ha salvata”.

Marzo 2011. Raffaele Bonanni, segretario generale Cisl: “Sarà brusco, sarà crudo, ma Marchionne è stato una fortuna per gli azionisti e i lavoratori della Fiat. Grazie a Dio c’è un abruzzese come Marchionne”.

Giugno 2011. Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro: “A Marchionne si oppongono il sindacato conservatore, settori ideologizzati della magistratura e ambienti delle borghesie bancarie. Una alleanza minoritaria che in Italia più volte ha rallentato il progresso”.