Decrescita o disastro, chi parla di crescita è un suicida
di Giorgio Cattaneo - 17/09/2012
«Cercare di uscire dalla crisi stimolando la crescita è come cercare di rianimare un moribondo a bastonate, perché la crescita non è la soluzione ma la causa della crisi». Servono robusti anticorpi per difendersi dall’ideologia della crescita infinita del Pil. Un virus letale: «E’ l’illusione nefasta che il denaro sia la misura di tutte le cose». L’alternativa? «Non è fra crescita e decrescita, ma fra decrescita e disastro». Luca Salvi, esponente della finanza etica italiana, concorda con Maurizio Pallante, fondatore del Movimento per la Decrescita Felice: «Siamo immersi nella crisi fino al collo e le misure che ci vengono imposte per cercare di uscirne (tagli, tasse e sacrifici) non fanno che aggravarla. Infatti il sistema economico-finanziario fondato sulla crescita, schiacciato dai debiti pubblici, è entrato definitivamente in crisi e non si intravede via d’uscita».
Come ricavare lavori utili, cioè finalizzata ridurre la nostra impronta ecologica e quindi destinati a rendere il mondo più ospitale, preservandolo per le generazioni future? Facile: attraverso la decrescita felice. Ovvero: «Una riduzione mirata, selettiva e ragionata degli sprechi, del consumo di materie prime, dell’utilizzo dei combustibili fossili, della produzione di rifiuti». Per questo, scrivono Salvi e Pallante, è necessario e urgente cambiare strada per passare dalla società della crescita infinita (e insostenibile) a quella della decrescita felice, l’unica ormai praticabile. «Non abbiamo molto tempo. Dalle nostre scelte di oggi e dalla diffusione del “virus sano e buono della decrescita felice” dipende il futuro dei nostri figli e dell’umanità».
Il “virus” della decrescita in realtà è una difesa immunitaria: talmente aliena che, sulle prime, sconcerta almeno metà delle persone che ne vengono a contatto, immerse come sono nella malattia ideologica della crescita. E’ la sindrome degli ottusi: «Nei casi più gravi, quelli senza alcuna speranza, la persona inizia a urlare e chiede che l’immonda parola “decrescita” sia cancellata dal vocabolario, oppure si alza di scatto e abbandona la sala». Segno di «scarsa intelligenza», il rifiuto della decrescita «preclude al soggetto la possibilità di guardare il mondo con occhi nuovi e di vedere che la soluzione per uscire dalla crisi che tanto lo angustia sarebbe a portata di mano». Inveire contro chi parla di decrescita? «E’ come arrabbiarsi contro chi ti offre un salvagente mentre stai annegando. Vuoi annegare? Allora annega. Ma perché vuoi tirare giù con te tutti gli altri?».
Per fortuna non manca l’altra categoria, quella dei curiosi. «Superato lo “shock” iniziale, si predispongono all’ascolto, aprono il cuore e la mente e si sforzano di capire di cosa stiamo parlando». Dopo il primo impatto, i curiosi subiscono una sorta di mutazione genetica e diventano “portatori sani” del “virus buono”, pronti a diffondere il “contagio” della guarigione. Secondo la teologia della crescita, aggiungono Pallante e Salvi, i curiosi «diventano dei soggetti “anti-sociali” perché non si sforzano adeguatamente di far crescere il Pil e si dedicano ad attività strane quali l’autoproduzione dei beni (ad esempio pane, yogurt, frutta e verdura) e lo scambio di oggetti o servizi non mediato dal denaro ma basato sul dono o sulla reciprocità».
Tradotto: sono persone che «passano più tempo con i figli e gli amici e si prendono cura dei genitori anziani, riparano gli oggetti anziché gettarli fra i rifiuti e comprarne di nuovi, dedicano meno tempo alla produzione di merci e all’accumulo di denaro». E ancora: «Coltivano l’orto, guardano la televisione poco o niente, preferiscono fare una passeggiata in montagna o un giro in bici». Tutto questo, perché «amano vivere nella natura, si dedicano alla lettura, al volontariato oppure alla meditazione e alla contemplazione». Tutte attività che non fanno crescere il Pil ma, per citare una celebre frase pronunciata da Bob Kennedy nel 1968, «rendono la vita degna di essere vissuta».