Il futuro del Fronte Polisario del Sahara Occidentale
di Mohamed Abdelaziz - Anna Maria Turi - 19/09/2012
Spina nel fianco dell’assetto geopolitico del Maghreb, e non solo, ma anche dei rapporti degli Stati africani con quelli europei, il Sahara Occidentale, per la sua condizione irrisolta – e pendente ormai da circa quarant’anni – torna a minacciare la guerra. Affacciato sull’Atlantico per 1110 chilometri, confinante con il Marocco, l’Algeria e la Mauritania, fu decolonizzato nel 1975 dopo un secolo di dipendenza dalla Spagna, ma, lasciato ufficialmente il 27 febbraio del 1976 e nello stesso giorno proclamato Repubblica Araba Sahrawi Democratica (RASD), già dall’ottobre precedente le truppe del Marocco ne avevano iniziato l’invasione.
Su un’area di 284.000 km quadrati, per il 70% occupato e per il restante 30%, una striscia desertica, appartenente alla RASD, il suo popolo di circa un milione di persone, tra abitanti dei territori occupati, quelli del territorio libero, rifugiati – ben 160.000 – nel sud dell’Algeria e diaspora, vive tutti i disagi che tale lacerazione comporta. Un muro di sabbia di 2720 km, il più lungo del mondo, è stato costruito dal Governo marocchino a difesa dell’occupazione. Nei villaggi della zona liberata dopo sedici anni di guerra si trova parte delle istituzioni statali della RASD. Le altre sono in esilio in Algeria, nella zona di Tindouf, al servizio della popolazione rifugiata, come i Ministeri dell’Educazione, della Salute, dell’Economia. Presso il Ministero degli Esteri ha iniziato la sua carriera Omar Mih, da dieci anni Rappresentante in Italia del Fronte Polisario, sigla del movimento indipendentista Fronte Popolare di Liberazione del Saguia El Hamra e del Rio de Oro, le due regioni del Sahara Occidentale.
Fondato nel 1973, il Fronte ha combattuto prima contro il presidio spagnolo e, dopo l’accordo di Madrid (1975), contro le truppe d’occupazione marocchine e mauritane, concludendo un trattato di pace separata con la Mauritania nel 1979. La guerra contro l’esercito dell’occupazione marocchina, iniziata nel 1976, è terminata nel 1990 con un accordo per il cessate il fuoco durato fino ad oggi; ma, stando alle recentissime dichiarazioni del Segretario Generale del Fronte Polisario e Presidente in esilio della RASD, Mohamed Abdelaziz, si tratta di un cessate il fuoco messo in forse.
Nel corso dei decenni varie risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e del Consiglio di Sicurezza hanno non solo stabilito e ribadito il diritto del popolo sahrawi all’autodeterminazione, ma con i propri inviati hanno anche cercato di superare gli ostacoli frapposti per giungere a un referendum popolare.
Omar Mih ha svolto attività a carattere diplomatico in diversi Paesi d’Europa e per due anni presso le Nazioni Unite come osservatore del processo di identificazione del corpo elettorale per il referendum, decisivo per dare finalmente unità e costituzione politica al Paese.
Il Presidente Abdelaziz, in una recente dichiarazione, ha ventilato l’ipotesi di un attacco armato al presidio del Marocco nel caso che non venga attuato il tanto atteso e sospirato referendum. A cosa aspira, in linea generale, in questo momento, il popolo sahrawi?
Esso aspira soprattutto all’indipendenza dal Marocco, non tanto all’autonomia che ne riconoscerebbe la sovranità, mentre il Marocco mira ovviamente all’integrazione. Diverse risoluzioni delle Nazioni Unite hanno decretato il referendum popolare per giungere a una soluzione del problema. Voglio ricordare, ad esempio, la 1514 del 1960 e la 40/50 del 1985, che recepisce il dispositivo della risoluzione 104 (XIX) dell’OUA del 1983 (Organizzazione dell’Unità Africana divenuta nel 2002 UA, Unione Africana), in cui tra l’altro si chiede un referendum per l’autodeterminazione del Popolo Sahrawi. Per fissarne una data, l’ONU aveva inviato nel territorio una missione esplorativa, la MINURSO (Missione delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara Occidentale), ma il Governo marocchino, per prendere tempo, sostenendo che il Sahara Occidentale era terra di nessuno (res nullius), chiese che la questione venisse rimessa al Tribunale Internazionale dell’Aja. La cui sentenza fu che il Sahara Occidentale non era mai stato terra di nessuno, ma che su di esso c’era un popolo con la sua organizzazione, senza dipendenza per sovranità dal Marocco o dalla Mauritania. Una sentenza molto chiara, che tra l’altro invitava l’Assemblea Generale dell’Onu a procedere con l’applicazione della risoluzione 1514 e quindi con il referendum. Oggi la Repubblica Sahrawi è riconosciuta da più di 82 Paesi nel mondo.
Aspirando all’indipendenza, quali connotazioni il popolo sahrawi vanta per la sua identificazione rispetto agli altri popoli (ad esempio l’etnia, la lingua, le tradizioni, ecc.) e quindi per la richiesta di diventare Nazione con un territorio?
Il popolo Saharawi deriva dalla fusione di tribù berbere e beduine autoctone, di elementi arabo-yemeniti arrivati nel Magreb e anche di Africani dell’Africa nera. Tutti integrati dalla lingua e dalla religione. Il Sahara Occidentale e il Marocco storicamente non hanno mai avuto niente in comune e non sono stati mai insieme. La nostra lingua è diversa, noi parliamo l’hassanya. Sono diverse le nostre tradizioni, anche quelle alimentari. Il vestire è diverso, e così lo stile di vita. Noi eravamo un popolo nomade, i Marocchini sono sedentari. Anche il nostro territorio ha caratteristiche diverse: è in gran parte desertico, ma ricchissimo di risorse minerarie. Le nostre coste sono pescosissime. Perché è nato il conflitto col Marocco? Se il nostro territorio fosse solo sabbia e cammelli, ci sarebbe stata concessa l’indipendenza. Ma la terra ha tante risorse naturali, i fosfati, il petrolio, il gas. Le miniere di fosfati si trovano su un’area di 250 chilometri quadrati, che è la più vasta del mondo, ed è al centro di una regione mineraria stimata in 1200 chilometri quadrati. C’è da aggiungere che il Governo marocchino, fedele alla politica del Grande Marocco, nel 1960 ha rivendicato il territorio della Mauritania come parte integrante del proprio territorio, nel 1963 ha fatto guerra all’Algeria per prendere Béchar e Tindouf, nel 1975 ha invaso il Sahara Occidentale, nel 1979 ha preso quella parte della nostra terra che la Mauritania aveva evacuato dopo averla occupata nel 1975 e nel 2002 ha fatto guerra alla Spagna per l’isola del Prezzemolo (Illa des Penjats). Il Marocco è l’unico Paese della nostra regione del quale non si conoscono i confini!
Lei conferma che vi preparate alla guerra con il Marocco?
Nel dicembre scorso a Tiffariti, capitale provvisoria del territorio liberato, il Fronte ha tenuto un Congresso al quale hanno partecipato i Rappresentanti dei territori occupati e quelli dei territori liberi, dei rifugiati e della diaspora. Nella valutazione della situazione, sono emerse due linee. Una ha fatto presente come con sedici anni di guerra ci si è avvicinati maggiormente alla soluzione del problema che, dopo il cessate il fuoco, con venti anni di collaborazione con le Nazioni Unite. Questa linea è sostenuta dalla maggioranza dei giovani. L’altra linea sosteneva l’opzione pacifica. Quest’ultima durerà? Non credo, perché i Sahrawi non possono aspettare all’infinito. La minaccia di guerra è vera se non si arriva a dei risultati concreti, vale a dire al referendum.
Armi, da chi? Esercito, quanti uomini?
L’Algeria ci dà le armi. Noi abbiamo un esercito di 20.0000 soldati contro quello del Marocco che è di 150-180.000 uomini. Quindi non si tratterebbe di guerra in campo aperto, ma di una guerra di resistenza, cioè di guerriglia.
Voi continuate a far pressione sull’opinione pubblica internazionale. Sono vere le voci di un prossimo riconoscimento da parte dell’Iran?
L’Iran è lontano dalla nostra causa. Vota comunque tutte le risoluzioni che riconoscono il nostro diritto all’autodeterminazione. Occorre precisare che la questione del Sahara Occidentale non è religiosa, di sunniti o di sciiti, così come non lo è, politicamente, di sinistra o di destra, ma è una questione di diritto. Anche nel Parlamento italiano, quando si parla di Sahara Occidentale, tutte le forze politiche votano per il diritto all’autodeterminazione. Perciò dire che la RASD ha un legame speciale con l’Iran o con altri Paesi non è corretto. Ancora una precisazione. I Sahrawi non sono dei fondamentalisti. Noi non abbiamo gli hezbollah. Non abbiamo Hamas. Non vogliamo fare una Repubblica talebana. La religione del popolo saharawi è un Islam vissuto in maniera tollerante. Condividiamo con molte forze del mondo valori fondamentali quali il rispetto della libertà, della democrazia, dei diritti umani, della donna. Basta vedere come vive oggi il popolo sahrawi nei campi dei rifugiati dove è la donna a gestire la vita, una donna che è presente nel Parlamento e nel Governo.
Qual è la posizione dell’EU rispetto al vostro problema?
L’Europa non ha una posizione comune. C’è quella della Spagna, che avendo una responsabilità politica, giuridica e anche morale nei nostri confronti perché ci ha colonizzato per un secolo, ribadisce che il popolo ha diritto alla autodeterminazione e vuole che si faccia il referendum. La Francia la pensa al contrario, sponsorizzando la politica espansionista del Marocco, che è sostenuto anche dagli Stati Uniti, pur votando tutte le risoluzione delle Nazioni Unite, anche nel Consiglio di Sicurezza. Il Parlamento europeo e il Consiglio d’Europa hanno posizioni molto chiare di sostegno dell’autodeterminazione ma, come ho appena detto, la UE non presenta un fronte unico.
L’Italia, governo, partiti, società civile, in genere che posizione ha?
Nei partiti la posizione circa il problema del Sahara Occidentale è trasversale. Invece la società civile è compatta e molto attiva. La nostra realtà è la più gemellata in Italia per quanto riguarda i patti di amicizia e di solidarietà con il popolo sahrawi con più di 350 tra Comuni e Province che aderiscono alle varie iniziative di sostegno e di aiuto. Vi sono inoltre le parrocchie che sostengono rifugiati e bambini, molti dei quali sono ospitati periodicamente in Italia da famiglie italiane.
La vostra “questione” e quella palestinese hanno cause comuni per quanto riguarda la mancata soluzione?
Le due questioni non sono del tutto assimilabili. Il Sahara Occidentale è piuttosto nella posizione in cui si trovò di Timor Est, già colonia portoghese, che l’Indonesia invase nel novembre del 1975. E’ stato il referendum, dopo varie vicende, a rendere Timor Est uno Stato indipendente nel 2002. Per quanto ci riguarda, chi ostacola il referendum è il solo Marocco e lo fa per ragioni economiche, e cioè per lo sfruttamento delle nostre risorse. E c’è un Paese, membro del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che lo sostiene: la Francia.
Cosa fanno per voi l’Unione Africana e la Lega Araba?
La Lega Araba non fa nulla. Invece l’Unione Africana, dalla quale il Marocco è uscito quando noi ne siamo diventati membri, è un vero partner.
La cosiddetta “primavera araba” coinvolgerà altri Paesi?
Vale la pena ricordare che il popolo sahrawi è stato il primo, nel novembre del 2010, a tenere una manifestazione ch’era stata proibita dalle autorità marocchine. Nessuno avrebbe potuto sfilare portando la nostra bandiera. Quand’è così, ti prendono, ti processano e ti danno due o tre anni di carcere. Allora i Sahrawi decisero di sfilare nel deserto, a 15 Km dalla capitale El Ayun, quindi di montare un campo di tende, 20’000 persone con 8000 tende, e cominciarono a rivendicare casa e lavoro e il rispetto dei diritti. Ci fu un mese di lunghi negoziati tra il Marocco e i dimostranti. Alla fine il Marocco decise di reprimere la manifestazione e di sgomberare con la forza il campo di Gdeim Isik. Ma quella era stata la nascita della “primavera araba”.
Da dove vengono gli aiuti che permettono la vostra sopravvivenza e di che cosa avete maggiormente bisogno?
Noi usufruiamo degli aiuti di tutti gli organismi governativi e non governativi preposti alla solidarietà internazionale. Ma ciò di cui abbiamo maggiormente bisogno è che si faccia al più presto il referendum e che lo si faccia nei giusti termini, e cioè che esso contenga non la sola opzione dell’autonomia, così come vuole il Marocco, ma varie opzioni, tra le quali quella dell’indipendenza. Se si chiede solo l’autonomia, come ho detto in principio, ciò significa riconoscere la sovranità del Marocco.
Diventando indipendenti, che sorte avranno i Marocchini che sono stati trapiantati da voi?
E’ certo che non li butteremo a mare.
Intervista realizzata da Anna Maria Turi