Se la letteratura di una nazione declina,
la nazione si atrofizza e decade
Ezra Pound
Leggere non è mai operazione indolore, costa fatica e dedizione. Leggere poesia poi è la cosa più ardua che un lettore possa immaginare di fare. Mi viene quasi da dire che leggere poesia è più duro che scriverla, ma mi astengo perché non sono poeta e posso giudicare solo per sentito dire.
Chi si accosta alla poesia non può mai farlo a cuor leggero, non può pensare di non dover pagare uno scotto e non può utilizzare nessuna scorciatoia. Per decifrarne il significato, per abbandonarsi al verso, per assaporare il ritmo non è sufficiente la buona predisposizione d’animo o una volontà ferrea. Ciò che è necessario è imparare a leggerla, piegandosi al duro percorso dell’apprendistato.
Niente nella poesia è pura casualità, niente può zampillare liberamente. Ogni impressione di levità e musicalità è frutto incessante e sfibrante basato su conoscenza, tecnica, esercizio. Il poeta è come il pugile che salta leggero sul ring schivando, roteando, danzando, incassando e colpendo con una naturalezza che naturale non è mai. È il frutto di una macerazione nelle spossanti sedute d’allenamento in cui, in compagnia soltanto di se stesso e del suo maestro apprende a scarnificare il suo corpo, piroettando con la sua ombra, fino ad apparire senza peso quando si esibisce di fronte alla folla dei tifosi.
Accostarsi alla lettura della poesia richiede la medesima consapevolezza. E sbigottiti di fronte al cammino da intraprendere, quando un sottile sentimento di paura ci assedia, la prima domanda che ci si rivolge è: “chi mi può insegnare?”. È per questo motivo che ho accolto con giubilo la ristampa che Garzanti ha deciso de L’ABC del leggere di Ezra Pound, lo zio Ezra che ancora una volta ci stupisce.
È un onore non da poco accostarsi alle pagine di questo manualetto, perché il (più?) grande poeta del Novecento decide di vestire i panni dell’educatore nel tentativo di concedere a noi lettori una chiave che ci permetta di aprire, magari solo per uno spiraglio, quella porta che ci divide dalla poesia.
Impresa ardua insegnare a qualcuno come leggerla, ma Pound è grande non solo per le sue opere maggiori, ma per l’incessante, ingenua volontà di regalare aiuto a tutti coloro che ne facciano richiesta. Il suo intento è quello di «offrire un manuale leggibile, tanto per diletto come per profitto, a chi non frequenta più le scuole, a chi non è mai stato a scuola, o infine a quanti ai tempi della loro istruzione hanno dovuto soffrire quello che hanno sofferto molti della mia generazione».
Un approccio iniziale che potrebbe sembrare populista. La poesia spiegata a tutti, facile accesso a chi non ha struttura per leggerla. Niente di più sbagliato. Pound, che non ha mai concesso sconti, in primo luogo a se stesso, costruisce il suo percorso in un modo che potrebbe scoraggiare chiunque ed afferma che la poesia è, sì di tutti, ma di tutti coloro che intendo accostarla nell’unica maniera possibile, studiando, faticando, sudando, crescendo poco a poco in consapevolezza.
Pound non ha nessuna intenzione di dire che, per renderlo accessibile, un testo va svilito e portato al livello del lettore. Piuttosto pensa che sia il lettore a dover arrampicarsi con dolore al livello del testo e per questo si prende la briga di insegnarcelo. Sembrerebbe un cammino di spine e stenti, di noia e di professorale distacco. Niente di più falso anche questo.
Pound delinea una strada totalmente antiaccademica, sui generis, inorganica se non caotica ma ricca di un sentimento quasi struggente che si traduce nella parola amore. A partire da una semplice definizione «La letteratura è linguaggio carico di significato», il suo insegnamento si dipana attraverso una serie di raccomandazioni operative che tendono a dilatare il senso della lettura, così come della scrittura che diventano il rovescio della stessa medaglia.
È così che, tra gli esercizi indicati per il lettore, trova spazio un compito in apparenza facile «Descrivere un oggetto comune come un gatto o una mela». Cosa non facile se si presta attenzione all’aneddoto del pesce che Pound riporta nel suo libro e che gli fa dire «il metodo conveniente allo studio della poesia e delle buone letture è lo stesso del biologo contemporaneo: attenta e diretta osservazione dell’oggetto, e continuo raffronto tra vetrini o campioni».
È solo così che si può preservare la buona poesia, visto che «è indispensabile strappare le erbacce se il Giardino delle Muse deve restare un giardino». È solo attraverso questo metodo analitico che si possono selezionare le parole, limarle nel loro senso, parsimoniosamente dispensarle, per incastrarle nel verso e farle vibrare nel ritmo. E per poter imparare a leggere è indispensabile che gli allievi, una volta composto il loro testo, se lo scambino tra loro per trovare nel testo altrui quante parole inutili vi sono state inserite, quante di queste ne occultano il significato. Per imparare a capire se una frase è ambigua e se una parola collocata in posizione anomala rende la frase stessa più interessante o più dinamica.
Pagine indispensabili che fanno da parte operativa a quelle in cui vengono sondati i segreti del linguaggio, fondati sull’intreccio tra suono e vista e dove sono fissate alcune considerazioni vivificanti: «è convinzione dell’autore che la musica isterilisce se si allontana troppo dalla danza; che la poesia isterilisce se si separa troppo dalla musica; ma questo non implica che ogni buona musica è musica da balletto o che tutta la poesia è lirica. Bach e Mozart non sono mai molto distanti dal movimento fisico».
Si ha l’impressione di un ritorno alle origini assolute dell’arte, in cui una poesia non è mai un testo scritto o letto su un foglio di carta ma una vivida rappresentazione della vita, se non la vita stessa. La poesia, mi sembra di capire da Pound, non si legge (come non si scrive). La poesia, si guarda, si annusa, si gusta, si ascolta, in una parola si vive, con tutta quella fisicità che il termine implica.
In un manualetto breve, la seconda parte è un’antologia di poeti selezionati dal Poeta, si condensano tante di quelle considerazioni che lascio scoprire al lettore, memore anche di un’ulteriore considerazione di Pound che sembra proprio rivolta a me «l’incompetenza è denotata dall’uso di troppe parole».
Pound nella sua enorme lungimiranza aveva capito che non basta essere poeti sommi, è necessario al contorno far crescere una consapevolezza diffusa che permette un arricchimento necessario perché «se la letteratura di una nazione declina, la nazione si atrofizza e decade».