Controlli sui conti, il muro dei deputati
di Sergio Rizzo - 19/09/2012
Domanda da rivolgere ai partiti: se i bilanci dei gruppi parlamentari sono puliti e regolari, che paura c'è a farli certificare da un soggetto indipendente? I tedeschi, per esempio, fanno così. Senza che nessuno si scandalizzi perché qualcuno non appartenente al Bundestag ficca il naso nei loro conti. E poi la certificazione esterna dei bilanci delle formazioni politiche, già da tre anni volontariamente introdotta dal Pd, non è stata forse resa obbligatoria con una legge votata appena prima dell'estate?
Vero è che senza gli scandali dei rimborsi elettorali della Margherita e della Lega Nord difficilmente una cosa del genere sarebbe passata. Come è pur vero che in quella legge ci sono molte cose discutibili. Per esempio, il fatto che il controllo «pubblico» sui bilanci non sia affidato alla Corte dei conti, come sarebbe naturale e come peraltro sostiene anche Giuliano Amato nella sua relazione a Mario Monti sui costi della politica, bensì a un collegio dove i giudici contabili sono affiancati da magistrati della Cassazione e consiglieri di Stato. Ma l'analogia con le norme approvate pochi mesi fa è un argomento difficilmente contestabile.
Anche perché, sebbene il particolare sfugga a molti, i contributi ai gruppi parlamentari della Camera e del Senato sono a pieno titolo una fetta del finanziamento pubblico dei partiti. Basterebbe rileggersi la legge del 1974, quella abrogata dal referendum promosso dai radicali nel 1993. Fu quel provvedimento che stabilì, appunto come parte del finanziamento pubblico, il contributo con fondi statali anche ai gruppi parlamentari. Poi diventato consuetudine, nonostante il famoso referendum.
E non sono certamente cifre modeste. La Camera ha in bilancio per il 2012 poco meno di 35 milioni di euro: per l'esattezza, 34 milioni 915 mila euro, contro i 36 milioni 250 mila euro dell'anno scorso. Il Senato, con metà dei parlamentari rispetto all'assemblea di Montecitorio, ha uno stanziamento addirittura superiore: 37 milioni 750 mila euro, contro 37 milioni 600 mila euro del 2011. Totale quest'anno: 72 milioni 665 mila euro. La somma dei contributi ai gruppi parlamentari delle due Camere non è quindi molto lontana dai 91 milioni l'anno fissati come tetto massimo dei rimborsi elettorali dalla nuova legge.
Perché questa somma debba avere sul piano dei controlli un trattamento diverso, francamente non si capisce. «È l'autodichìa, è l'autodichìa», ripetono i sostenitori di questa tesi. Molto più numerosi di quanto non si possa immaginare. Che cosa vuol dire quella parola? Semplicissimo. Siccome il Parlamento è autonomo e nelle sue scelte nessuno può mettere becco, ecco allora che i soldi pubblici versati ai gruppi parlamentari, pur essendo parte del finanziamento pubblico, devono essere controllati da un soggetto scelto dagli stessi gruppi che li spendono. Un contorsionismo che nasconde qualche riserva mentale? Boh...
Per non dire della scelta di tempo. Davvero incauta. Da settimane le pagine dei giornali sono piene delle vicende sconvolgenti che hanno investito il consiglio regionale del Lazio, dove alcuni politici utilizzavano i finanziamenti scandalosamente generosi concessi proprio ai gruppi per comprare auto di lusso, pagare conti da migliaia di euro al ristorante e perfino servizi fotografici. Una vergogna che ha gettato ancora più discredito sui partiti. E che forse avrebbe suggerito di affidarsi, più che all'«autodichìa», al banale buonsenso. Ma questa, si sa, nella nostra classe politica non è purtroppo una qualità molto comune.