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Afghanistan spaccato e agli americani tocca tifare per il "mostro"

di Massimo Fini - 22/09/2012




Mentre in tutto il mondo arabo si susseguono le proteste per il documentario "L’innocenza dei musulmani", in Afghanistan non ci sono state manifestazioni. Gli insorti afgani hanno a che fare con qualcosa di più serio delle blasfemie; devono battersi contro il più potente, tecnologico e, bisogna pur dirlo, vile esercito del mondo. Domenica scorsa una cinquantina di talebani stavano assediando una base della polizia afgana nella valle di Noarlam Saib. Poichè i soldati occidentali non hanno più il fegato di battersi sul terreno, vis a vis, la Nato invece di inviare truppe di terra in soccorso agli assedianti, ha mandato i bombardieri e hanno ucciso nove donne (fra cui bambine di dieci anni) e ferite altre otto, che in un bosco stavano facendo legna. I piloti le avevano scambiate per guerriglieri talebani.

È questo modo di combattere, anzi di non combattere, che fa imbestialire gli afgani e non solo gli insorti. Quello afgano è, per storia e indole, un popolo guerriero (ma se non gli si va a mettere i piedi sulla testa è anche un popolo gentile. Si legga il bel libro "La battaglia quando l’uva è matura" di Pellizzari) ma nello scontro tu devi poter vedere la faccia del tuo nemico. Un nemico invisibile è inconcepibile e spregevole. Se gli invasori occidentali si sono alienati le simpatie degli afgani è anche per questo modo di combattere, anzi di non combattere. Di tutt’altra matrice e significato è l’attentato kamikaze compiuto a Kabul mercoledì che ha preso di mira un pullman di stranieri che lavorano per un’agenzia americana, Usaid, uccidendone 14. L’attentato non è stato rivendicato dai telebani ma da Hezb-I-Islami un gruppo ultraradicale che lo ha motivato proprio come reazione al documentario blasfemo. Il fatto è che è in atto una spaccatura nella galassia degli insorti. Il Mullah Omar, finora capo indiscusso della resistenza, ha aperto un’ambasciata in Quatar dove suoi emissari stanno trattando con gli americani per consentire loro quella "exit strategy" di cui hanno assoluto bisogno. Anche se le condizioni che pone sono assai indigeste per gli Usa: lo smantellamento delle quattro basi aeree che hanno in Afghanistan. Omar, che non è nè un terrorista, nè un pazzo, ma un uomo molto pragmatico, vuole arrivare alla "pacificazione nazionale" ed è disposto a fare anche qualche concessione alla mentalità occidentale. In un paio di lunghi comunicati, che sono in realtà un programma di governo, si è impegnato, tra l’altro a garantire il diritto di istruzione alle donne (in verità tale diritto esisteva anche quando il Mullah governava - si leggano gli editti dell’epoca - ma solo in teoria, per ragioni che lo spazio non mi consente di spiegare).

Ma tutti sanno che se gli occidentali se ne andranno davvero, il governo di Karzai cadrà in una settimana. Per la merà è formato da infiltrati talebani, dall'altra da poveri ragazzi di Kabul che non hanno altro modo di sbarcare il lunario. Si creerà un vuoto di potere, in cui cercano di inserire gruppi come Hezb-I-Islami e la rete Haqqauni che, a differenza del Mullah Omar che pensa solo al suo Paese, hanno in testa la jiad universale contro l’Occidente. Così siamo arrivati al paradosso che gli americani, dopo aver bollato il Mullah Omar come "mostro" "terrorista" e avergli messo sulla testa una taglia di 25 milioni di dollari, sono costretti a sperare che proprio Omar conservi la forza per tagliare le unghie agli jiaadisti universali.