Paese destinato a un sicuro declino
di Giuseppe Bedeschi - 27/09/2012
Da molto tempo assistiamo a un blocco nel ricambio della classe di governo, la quale è, da svariati lustri, sempre la medesima. Di qui le lamentele sempre più diffuse: i leader politici non cambiano da decenni, non emergono nuove personalità, non c'è ricambio. E ciò sia a destra (dove Berlusconi sta decidendo se presentarsi come leader alle elezioni), sia a sinistra (dove si fanno sempre più intense le richieste di «ricambio», o, con parola sgarbata ma efficace, di «rottamazione»).
Diceva Vilfredo Pareto che in ogni società c'è uno strato inferiore (molto ampio), che egli chiamava la «classe non eletta» (ovvero la classe dei governati), e c'è uno strato superiore, che egli chiamava la «classe eletta», da lui suddivisa poi in due parti: a) la «classe eletta di governo», e, b) la «classe eletta non di governo». Quest'ultima noi oggi la chiamiamo per lo più «classe dirigente», in senso lato: essa comprende infatti tutti coloro che (per ritornare al linguaggio di Pareto) «hanno gli indici più elevati nel loro ramo di attività», cioè tutti quelli che hanno meritato buoni voti nell'esame della vita, oppure, più semplicemente, hanno estratto numeri fortunati alla lotteria dell'esistenza sociale.
Quali rapporti intercorrono fra queste classi? La «classe eletta di governo», rispondeva Pareto, è forte e vitale nella misura in cui essa assorbe gli elementi migliori della «classe eletta non di governo» (cioè della classe dirigente). Ma questo certo non basta: è necessario anche che la «classe di governo» assorba continuamente gli elementi di qualità superiore che crescono negli strati inferiori (cioè nella «classe non eletta»). Se questo assorbimento (o «circolazione delle élite», come la chiamava il grande sociologo) non avviene, allora la «classe di governo» non è in grado di reagire al proprio invecchiamento, alla propria decadenza, al proprio logoramento. Spiegava Pareto: «Vi è un processo simile a quello che si osserva nell'animale vivente, che non sussiste se non eliminando certi elementi e sostituendoli con altri, che assimila. Se questa circolazione è soppressa, l'animale muore, è distrutto. Accade lo stesso per l'élite sociale, e se la distruzione può essere più lenta, essa non è meno sicura».
Credo che questi concetti svolti da Pareto siano assai utili per capire la situazione attuale del nostro Paese. Da molto tempo, infatti, assistiamo a un vero e proprio blocco nel ricambio della classe di governo, la quale è, da svariati lustri, sempre la medesima. Di qui le lamentele sempre più diffuse: i leader politici non cambiano da decenni, le facce sono sempre le stesse, non emergono nuove personalità, non c'è nessun ricambio nella classe politica. E ciò sia a destra (dove Berlusconi sta decidendo se presentarsi come leader alle elezioni per la sesta volta), sia a sinistra (dove si fanno sempre più intense le richieste di «ricambio», ovvero, con parola sgarbata ma efficace, di «rottamazione»). Per usare il linguaggio di Pareto, le nostre élite politiche governanti, sempre più vecchie ed esauste, non assorbono più elementi validi emergenti dalla classe dei governati. Inoltre, ai livelli intermedi (Regioni, Province, Comuni), esse si circondano di vecchi professionisti della politica (per non dire, in molti casi, di maneggioni), che danno di sé lo spettacolo che danno.
Come si è arrivati a questa situazione? Si tratta certo di un fenomeno complesso, e quindi caratterizzato da diversi aspetti. È probabile che fra le sue cause ci siano anche il crollo delle ideologie (le quali erano sì «sistemi chiusi», e quindi per tanti versi nocivi, e tuttavia erano altamente mobilitanti per i giovani, ai quali davano una forte carica ideale), e il processo di secolarizzazione della nostra società (nei primi decenni della cosiddetta Prima repubblica le grandi organizzazioni cattoliche — l'Azione Cattolica, le Acli ecc. — furono vivai di vitale importanza per la Democrazia Cristiana, ai fini del reclutamento di nuovi dirigenti). Ma io credo che nell'attuale decadenza dei partiti abbia avuto un ruolo fondamentale la prova estremamente deludente che essi hanno dato nella cosiddetta Seconda Repubblica (dove pure, a differenza di quanto avveniva nella Prima Repubblica, si è avuta una alternanza fra due schieramenti): non fu uno spettacolo entusiasmante la litigiosità e l'inconcludenza dei governi di centrosinistra, e fu uno spettacolo deprimente il venir meno del centrodestra a tutte le altisonanti promesse di riforme liberali. Entrambi gli schieramenti, di destra e di sinistra, hanno gravemente deluso le attese, in quanto, una volta al governo si sono dimostrati del tutto incapaci di incidere sui meccanismi economico-sociali paralizzanti, sui privilegi corporativi, sui gravi difetti della macchina dello Stato e della pubblica amministrazione che bloccano la crescita del nostro Paese. Finché si è arrivati sull'orlo del baratro, e i partiti stessi hanno fatto, significativamente, un passo indietro (confessando così il proprio fallimento e la propria impotenza), e hanno insediato un governo di tecnici. Quale entusiasmo, quale passione può suscitare una situazione di questo genere nelle giovani generazioni e nelle classi governate? Come può spingerle a entrare nei partiti, a rinsanguarli, a dedicarsi alla politica, divenuta ormai arena di arrivisti, non di rado senza scrupoli?