Destra e sinistra, il peccato culturale
di Danilo Eccher* - 01/11/2012
Caro direttore, l'episodio della nomine dell'onorevole Melandri alla Presidenza del Maxxi merita alcune riflessioni generali, non tanto sulle polemiche di questi giorni quanto sui criteri e sulle anomalie emerse di conseguenza. Ora, non ci si può scandalizzare che un politico presieda un'importante istituzione culturale, ciò avviene in molti Paesi occidentali senza alcun clamore o scandalo, neppure ci si deve stupire che un parlamentare possa vantare competenze specifiche, interessi culturali e anche preparazione tecnica. Dunque, cosa dovrebbe stupire più di ogni altra cosa? Innanzitutto il clamore e l'attenzione sull'arte contemporanea, e sui musei ad essa dedicati, da parte di una classe politica vergognosamente assente in tutti questi anni. Personaggi che raramente hanno solcato le porte di un qualsiasi museo si sono improvvisamente svegliati dal torpore e sentiti in dovere di esprimere la loro opinione sul Maxxi, una struttura che probabilmente non hanno mai visto né sanno dove sia ubicata.
Certamente si dirà che le valutazioni politiche possono e debbono prescindere dalla specificità dell'oggetto, che il piano procedurale e legale non richiede una conoscenza diretta del campo d'intervento, e così, chiunque è legittimato a esprimere ogni sciocchezza. Leggere le opinioni di Cicchitto, Gasparri, Fassina, Vendola su questioni di carattere museale è probabilmente oltre ogni immaginazione, è il segno di un'incontinenza verbale che ha travalicato gli argini della vergogna. Ma qui s'innesta anche una riflessione sul ruolo di una destra e una sinistra nell'ambito culturale in Italia. Definitivamente tramontata e scomparsa una destra «futurista», sepolti gli eroi del pensiero eccellente, da Julius Evola a Filippo Tommaso Marinetti, da Ezra Pound a Ernst Junger, è rimasta una destra «chierichetta», codina, moralista, conservatrice nel senso più deteriore. Una destra genuflessa, maggiordomo di un capitalismo gaudente e vizioso, una destra culturalmente malata, incapace di leggere una contemporaneità complessa e frammentata, solo nostalgica di un passato formale, insulso e caramelloso.
Non sta certo meglio la sinistra che, gettando in fretta e furia la propria ideologia, non si è accorta di gettare anche quello spirito di ricerca, di antagonismo, di situazionistica «fantasia al potere», attraverso il quale si era formato il suo sapere e definita la sua anima. Ha confuso lo spirito etico di una cultura alta con una ridicola spocchia di un perbenismo salottiero, ha ridotto in cenere un supposto primato dell'intelletto confondendolo con un più cinico snobismo manierista, ha perfino perso l'elementare ruolo di difesa dei propri alleati. «Utopia» è diventata una parolaccia, una volgarità da ragazzi, l'idea che la cultura indichi una strada che la politica deve poi costruire è un processo totalmente ignoto alla sinistra. Solo ora ci si accorge che il Pd ha addirittura un responsabile per la cultura, Matteo Orfini, faccia simpatica ma totalmente sconosciuta al mondo dell'arte.
In queste condizioni, e a pochi mesi dalle elezioni politiche nazionali, chiedere o semplicemente sperare che destra e sinistra possano illustrare un programma di politica culturale è poco più che una battuta umoristica. Eppure, vorremmo sfidare i partiti a dichiarare quali impegni per la cultura intendono sottoscrivere; vorremmo chiedere quali strumenti intendono attivare per sostenere e promuovere la cultura in Italia; vorremmo capire quali e quante risorse saranno destinate al nostro patrimonio culturale e alla nostra creatività.
Una seconda questione riguarda il ministro dei Beni e attività culturali, un ministero quasi sempre giudicato di «risulta» che ha visto dal dopoguerra, tranne rarissimi casi di qualità, una processione di figure improbabili, inaffidabili, incompetenti, in alcuni casi addirittura caricaturali. Non è il caso del ministro Ornaghi, certamente un fine intellettuale, forse troppo «fine», al limite della trasparenza. Non ci si può dunque stupire se poi, lungo la fragile catena di comando istituzionale, ci troviamo sul territorio nazionale assessori alla Cultura imbarazzanti, spesso privi della pur minima competenza o sensibilità culturale, incapaci di dialogare con le istituzioni che rappresentano, colpevolmente presuntuosi. Il problema allora non è quello di una nomina più o meno controversa, quanto piuttosto l'urgenza di restituire al mondo culturale, a quello delle università, della ricerca, dei musei, dei teatri, del cinema, della letteratura, dell'architettura, della musica, del paesaggio, della creatività quella centralità e quella dignità che in questi anni è stata saccheggiata ma che comunque rimane il dna di ogni società e di ogni nazione.
*Direttore della Galleria
d'arte moderna (Gam) di Torino